A Zacinto di Ugo Foscolo

Il motivo ispiratore del sonetto A Zacinto, uno dei più belli e famosi di Ugo Foscolo, è la condizione esistenziale di esule dello scrittore ed il suo presagio di essere destinato ad una sepoltura lontano dalla sua madre terra e dai suoi cari, e per questo senza pianto. Foscolo fu in questo un buon profeta del proprio destino: morì infatti a Londra e solo nel 1871, grazie alla generosità degli inglesi, le sue ossa furono rese all’Italia per essere messe a riposare nella chiesa di Santa Croce a Firenze.

Il tema del sonetto di Ugo Foscolo verte come detto sulla precarietà della sua condizione di esule e sul sentimento nostalgico nei confronti di quella piccola isola del mar Ionio, Zacinto appunto, dove il poeta era nato. La triplice negazione iniziale lascia da subito trasparire la convinzione di non potervi più fare ritorno e, dopo una fugace analogia tra sé stesso ed Omero (Foscolo canta le proprie sventure mentre Omero celebrò i viaggi di Ulisse), Ugo Foscolo confronta quindi con amarezza il proprio destino a quello di un altro esule, Ulisse, il quale, ricco di fama e di sventura, riuscì però a ritornare infine ad Itaca.

La poesia procede senza soluzione di continuità in un crescendo di tensione che toglie il respiro, con l’ultima terzina che riprende e chiude il tema iniziale.
La composizione è perfetta, a rima ABAB ABAB CDE CED, ricca di allitterazioni consonantiche come la c- l – f – e suoni vocalici come la e – i – o.

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell’onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

Parafrasi:

Non toccherò più le sacre rive
dove ho vissuto quando ero ragazzo ,
mia Zacinto, che ti specchi nelle onde
del mio mar Ionio, dalle cui acque nacque

la dea Venere, che ha reso fertili quelle isole
con il suo primo sorriso; non potè perciò fare a meno di celebrare
le tue limpide nuvole e i tuoi boschi,
il verso illustre di Omero, il poetà che

cantò il peregrinare per mare voluto dal destino e l’esilio, con esito diverso,
in seguito al quale, ricco di fama e di sventura,
Ulisse potè baciare la sua rocciosa Itaca.

Tu, Zacinto, avrai solo la poesia di questo tuo figlio (io, Foscolo),
oh (Zacinto) mia terra madre, per me il destino ha previsto
una sepoltura in terra straniera che non sarà confortata dalle lacrime dei parenti.