COME IL SOLE DOPO LA TEMPESTA di Erica Brusco

Ricordo ancora quando il sole è finalmente entrato nella mia vita. Sono passati otto anni ma ricordo ogni singolo istante come se il mio cuore avesse scattato delle istantanee per poi imprimerle nell’album della mia mente.
Era l’afosa estate di un anno molto travagliato, trascorso tra gli sbalzi di gioia e di dolore; ero come a bordo di una nave immersa nel mare mosso: la nascita, infatti, della prima nipotina, motivo d’infinita felicità all’interno della famiglia, era stata seguita, dopo soli due mesi, dalla morte della mia cara nonna materna. La presenza della nuova creatura riusciva in qualche modo ad aiutare me e mia madre a reagire di fronte al lutto, ma era inutile dire che comunque era dura: avevo perso l’unica nonna che mi era rimasta e che potevo dire di aver davvero conosciuto e amato, perché allora ero già adulta.
Me ne stavo in casa a guardare la televisione, uno dei pochi luoghi sopportabili dove trascorrere quel pomeriggio di agosto in cui le temperature, ormai da due mesi, non andavano al di sotto dei trentacinque gradi, quando udii la classica melodia del mio Nokia 3310, ormai alla fine della sua esistenza.
“Ciao Erica!” Mi salutò la voce allegra della mia omonima amica. La conoscevo dall’ultimo anno del liceo e insieme condividevamo ormai il sudore e i sacrifici, ma anche le soddisfazioni della vita universitaria. Allora eravamo cafoscarine veneziane da due anni e lei era la mia migliore amica, alla quale confidavo tutto e l’unica cosa bella che era rimasta con me dopo il liceo, di quella classe di cui le persone che ricordo volentieri e con nostalgia, stanno sulle dita di una mano.
“Ciao cara!” Ribattei.
Dopo esserci scambiate i soliti convenevoli, mi disse che aveva una proposta da farmi per la serata dell’indomani.
“Vieni a cena da me e poi facciamo due passi con mia cugina alla sagra a Badia!”
“Va bene, allora ci vediamo lunedì!”
Non ero molto allegra in quel periodo, ma la distrazione era quello che mi ci voleva.
Così, quel diciotto agosto, mentre la mia pelle già ricominciava a imperlarsi di goccioline subito dopo la doccia, mi trovai a scegliere cosa indossare quella sera. Scartai i jeans lunghi e preferii il corpetto turchese e una gonna nera che mi arrivava alle ginocchia. Non mi scordai i miei sandali con le zeppe, che erano la mia salvezza e dopo aver preso la borsa con l’occorrente per la notte e aver salutato i miei, mi avviai a Baruchella.
Il sole ancora alto giocava con la mia pelle tra la fila di platani mentre ero stordita dall’aria che entrava dai finestrini della Y10, lasciati aperti per respirare.
Quando arrivai, Erika mi accolse con un abbraccio e la madre mi salutò altrettanto affettuosamente. La cena passò tranquilla, parlando del più e del meno; dalla scuola ai ricordi della settimana al mare.
Dopo cena, con la pelle sempre abbronzata e i riccioli ramati ben definiti, fece la sua comparsa Elena, la cugina. Tutte e tre finimmo di truccarci, prima di avviarci in piazza.
“C’è tutta la compagnia”. Ci informò.
“Jolly e tutti gli altri?” Chiese Erika. Io non li conoscevo, ma era chiaro che parlavano di ragazzi del paese. La mia amica era già superfidanzatissima da alcuni anni, mentre io non avevo mai avuto un ragazzo. Naturalmente le cotte non mi erano mancate, così pure le delusioni: ragazzi immaturi che sembravano provarci e cui credevo di piacere, che poi di punto in bianco non sentivo più, senza saperne la ragione. All’inizio ci rimanevo male ma poi passava, perché ero convinta che sarebbe arrivato il ragazzo giusto, quello che fin da bambina si sogna quando si ascoltano le fiabe. Oltre alla mia famiglia, un paio di ragazzi mi avevano detto che ero carina, ma spesso non colpivo perché ero piccola di statura e di conseguenza, lo sembravo anche di età. Non nego che un po’ invidiavo le ragazze che erano riuscite a trovare qualcuno, ma a me era stata inculcata l’idea che era meglio aspettare la persona giusta, ed io ci credevo ciecamente. Riempivo le pagine del mio diario con queste idee sul dolce e tanto atteso principe azzurro che mi avrebbe amata così com’ero, portandomi via sul suo cavallo bianco. Ad ogni modo, in altre occasioni, l’idea della presenza maschile mi avrebbe eccitata con la speranza di riuscire a far colpo su qualcuno, ma quella sera no. La cosa non mi fece né caldo né freddo. Venivo da due mesi duri di esami, la malattia e la scomparsa di mia nonna, l’arrivo tanto atteso della mia nipotina: non avevo avuto tempo di pensare ai ragazzi.
Ci avviammo a piedi, mentre il cielo, sopra di me, era ormai un manto lucente di stelle. In cinque minuti arrivammo in piazza. Dall’angolo della Chiesa, seguiti dalla loro fedele ombra, si avvicinarono due ragazzi, che Erika prontamente salutò.
Uno era di statura media, i capelli completamente impomatati e tirati all’indietro. Mi puntò i grandi occhi, abbastanza distanziati tra di loro e con un sorriso benevolo si presentò.
“Mi chiamo Alex”.
“Erica”. Risposi, stringendogli la mano che mi aveva porto. Mi schioccò due baci sulle guance. L’altro era piuttosto alto; il suo abbigliamento casual (camicia verde-blu e jeans) lo rendeva squisitamente semplice. I capelli scuri, pettinati a spazzola, lucevano al chiarore dei lampioni.
“Mi chiamo Thomas”. Sussurrò timidamente. Strinsi la mano anche a lui e sentii il suo sguardo penetrante percorrermi dalle radici dei capelli alla punta dei piedi.
Io distolsi lo sguardo, ma sentendo il suo su di me, continuavo a rivolgergli la coda dell’occhio, restando in silenzio. Ero leggermente imbarazzata, ma mi piaceva essere notata.

Alex ci offrì un passaggio sulla sua Punto bianca fino a Badia e durante il breve tragitto, Erika ed io ridacchiammo per le bottiglie di plastica che rotolavano accanto ai nostri piedi. Ai due ragazzi si aggiunse Paolo, stempiato e grassottello ma simpatico.
La serata passò allegramente e finii pure per sbattere la nuca addosso al pilastro che avevo dietro di me. Alex non perdeva occasione per farmi capire che mi trovava carina e per informarsi se ero fidanzata. Peccato però che le stesse adulazioni le rivolgeva scherzosamente anche alla mia amica. Tuttavia non me la presi a male per la sua civetteria, perché in fondo era simpatico. Ogni tanto incontravo lo sguardo di Thomas, più taciturno di Alex e sorrisi nel notare le sue palpebre bianche, che alla luce artificiale contornavano gli occhi nocciola vestiti da lunghe ciglia.
Allo scoppiare dei fuochi di mezzanotte, lo stomaco mi faceva quasi male a furia di ridere. Dal bar vedemmo il cielo notturno illuminarsi di frammenti d’arcobaleno che, come meteore, ardevano in un lampo per poi spegnersi. E mentre assistevo a quello spettacolo, mi sentivo sollevata: avevo fatto bene a uscire; mi stavo divertendo molto.
Verso l’una, Alex ci riaccompagnò a Baruchella, dove ci trattenemmo un’altra ora buona tutti insieme a parlare delle vacanze.
Non appena tornammo a casa, Erika mi informò di aver sentito chiaramente che Thomas era rimasto colpito da me e così prese in mano il suo cellulare per mandargli un messaggio col mio numero. Subito dopo un paio di minuti, la suoneria mi fece balzare il cuore.
Grazie mille –Diceva- avevo voglia di conoscere una ragazza così.
Erika mi assicurò che era un ragazzo serio, molto più di Alex. Ero felice di avere il suo numero, ma temevo si ripetesse l’ennesima batosta.
Ridendo e chiacchierando, quella notte facemmo fatica a prendere sonno; riuscimmo persino a sentire i rintocchi delle sei del mattino.
Il pomeriggio seguente, mentre ero a casa, il mio cellulare trillò all’arrivo di un messaggio. Era di Thomas e sentii il sangue affluire tutto insieme alle guance quando lessi le parole: Ciao, come stai?mi ha fatto molto piacere averti conosciuta.
Emozionata, gli risposi che speravo ci saremmo rivisti e lui contraccambiò. Il venerdì successivo mi misi d’accordo con Erika per uscire di nuovo, con la speranza di trovare la compagnia. Indossai anche il bel vestito bianco e grigio che avevo comprato al mare, che danzava leggero alla dolce brezza. Lui c’era, assieme agli altri, ma quando venne a sedersi con noi non parlò molto. La serata fu tranquilla, quasi monotona e alla fine si limitò a salutarmi con un “ciao”.
Nel frattempo io e la mia famiglia partimmo per Molveno, ma durante quei giorni, deliziati dal panorama ameno, dove le acque turchesi erano incorniciate dalle Dolomiti, pensavo a lui e speravo tanto che si facesse sentire. Il mio desiderio fu ripagato perché dopo qualche giorno mi mandò un sms per chiedermi della vacanza e per invitarmi al compleanno di Paolo il sabato successivo. Avendo intuito che non eravamo da soli io e lui, allungai l’invito anche alla mia amica d’infanzia Laura. Purtroppo però, anche in quell’occasione, non fu molto espansivo, ma ci limitammo a parlare ogni tanto del più e del meno, mentre io ammiravo il miele dei suoi occhi. Quando mi salutò, mi promise di venire al mio compleanno.
“Sei sicura che gli piaccio?” Chiesi a Erika.
“Credimi, non è il tipo che manda messaggi, comunque ci penso io a parlarci”.
L’estate volgeva ormai al termine e le giornate diventavano più corte, portandosi via le lunghe ore di luce; con loro iniziavano anche le lezioni a Venezia.
Il venerdì del mio compleanno, il tre di ottobre, Erika tornò a casa con me dall’università per farsi una doccia e andare insieme in pizzeria. C’erano tutti, anche i miei nuovi amici. E soprattutto c’era lui. Dopo la pizza vidi Erika che gli parlava e lui, di punto in banco, diventò rosso come un peperone.
Prima di salutarci alla fine della serata, la mia amica mi pizzicò un braccio.
“E’ timido e va con i piedi di piombo, ma gli piaci”. Sussurrò.
“E perché non mi chiede di uscire?”
“L’ha fatto ma dice che ti sei portata Laura”.
“Per forza” sbottai io. “Non eravamo soli”.
“Non temere, lo farà”.
Il giorno dopo, infatti, mi arrivò un suo messaggio che mi fece quasi cedere le gambe.
Ciao, ieri sera è stata davvero una bellissima festa. Volevo chiederti se ti va di uscire da soli questa sera, perché con gli altri non riesco a dimostrare la mia attrazione per te.
Naturalmente accettai subito di buon grado. Arrivò persino in anticipo, fermandosi con la Peugeot 306 sul ciglio della strada. Andammo alla fiera al Tresto e poi a Este, dove avemmo occasione di conoscerci meglio. Era un semplice operaio, ma era un tipo molto dolce e pacato. A fine serata, però, mi sentii terrorizzata: non sapevo come comportarmi, ero totalmente inesperta in fatto di ragazzi. Ero combattuta tra Dai scema che non ti capiterà più e lo conosco appena. Non me la sentivo ancora di appartarmi con lui e di baciarlo. Lui però si dimostrò comprensivo e mi riaccompagnò a casa. Ero stata davvero bene e nello stomaco sentivo volare farfalle.
Mi promisi di farmi più coraggio e fui io a invitarlo per il venerdì successivo, dato che non avevo lezione fino a tardi.
Quella sera, la più importante della mia vita, segnò una rinascita: andammo al cinema, a vedere una pellicola horror e quando salimmo in macchina, mi colse di sorpresa con un bacio. Le sue labbra, calde e morbide, si posarono sulle mie, guidandomi.
“Non ho mai avuto un ragazzo”.
Mi accarezzò dolcemente la guancia.
“Non temere” Mi sussurrò. “Ti insegnerò io tutto”. Mi guardò intensamente e pronunciò le parole che mi fermarono quasi il respiro.
“Sono innamorato di te…ci mettiamo insieme?”
In quel momento fu come se si aprisse un bivio: potevo scappare oppure intraprendere quella nuova avventura, accettando i rischi e lasciando da parte i mille interrogativi del futuro. Mi persi nei suoi meravigliosi occhi buoni e accettai di iniziare la mia nuova vita. Da allora le nostre anime sono diventate una sola: lui mi ha accompagnato e continua tuttora, in ogni singola tappa del nostro rapporto, con infinita dolcezza, profondo rispetto e devozione, dimostrandomi il suo amore. Con lui è come se oltre a mia madre, fosse sceso un altro angelo dal cielo, che mi ha insegnato questo nuovo sentimento e che accetta anche il peggio di me. Il tocco della sua mano è un balsamo di tranquillità e sicurezza. Questa è la prova che quando ti dicono “credici che il meglio deve ancora arrivare”, è vero: l’attesa viene ricompensata. Ora siamo marito e moglie ed è meraviglioso sentire il suo respiro notturno e aspettarlo la sera, quando torna dal lavoro. Ovviamente il nostro cammino è ancora lungo, ma con lui la mia vita è illuminata dal sole di un’eterna primavera.

Racconto di Erica Brusco, www.ericabrusco.it