[nextpage title=”Testo” ]
Muor giovane colui ch’al cielo è caro
(MENANDRO)
Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte
 Ingenerò la sorte.
 Cose quaggiù sì belle
 Altre il mondo non ha, non han le stelle.
 Nasce dall’uno il bene,
 Nasce il piacer maggiore
 Che per lo mar dell’essere si trova;
 L’altra ogni gran dolore,
 Ogni gran male annulla.
 Bellissima fanciulla,
 Dolce a veder, non quale
 La si dipinge la codarda gente,
 Gode il fanciullo Amore
 Accompagnar sovente;
 E sorvolano insiem la via mortale,
 Primi conforti d’ogni saggio core.
 Nè cor fu mai più saggio
 Che percosso d’amor, nè mai più forte
 Sprezzò l’infausta vita,
 Nè per altro signore
 Come per questo a perigliar fu pronto:
 Ch’ove tu porgi aita,
 Amor, nasce il coraggio,
 O si ridesta; e sapiente in opre,
 Non in pensiero invan, siccome suole,
 Divien l’umana prole.
Quando novellamente
 Nasce nel cor profondo
 Un amoroso affetto,
 Languido e stanco insiem con esso in petto
 Un desiderio di morir si sente:
 Come, non so: ma tale
 D’amor vero e possente è il primo effetto.
 Forse gli occhi spaura
 Allor questo deserto: a se la terra
 Forse il mortale inabitabil fatta
 Vede omai senza quella
 Nova, sola, infinita
 Felicità che il suo pensier figura:
 Ma per cagion di lei grave procella
 Presentendo in suo cor, brama quiete,
 Brama raccorsi in porto
 Dinanzi al fier disio,
 Che già, rugghiando, intorno intorno oscura.
Poi, quando tutto avvolge
 La formidabil possa,
 E fulmina nel cor l’invitta cura,
 Quante volte implorata
 Con desiderio intenso,
 Morte, sei tu dall’affannoso amante!
 Quante la sera, e quante
 Abbandonando all’alba il corpo stanco,
 Se beato chiamò s’indi giammai
 Non rilevasse il fianco,
 Nè tornasse a veder l’amara luce!
 E spesso al suon della funebre squilla,
 Al canto che conduce
 La gente morta al sempiterno obblio,
 Con più sospiri ardenti
 Dall’imo petto invidiò colui
 Che tra gli spenti ad abitar sen giva.
 Fin la negletta plebe,
 L’uom della villa, ignaro
 D’ogni virtù che da saper deriva,
 Fin la donzella timidetta e schiva,
 Che già di morte al nome
 Sentì rizzar le chiome,
 Osa alla tomba, alle funeree bende
 Fermar lo sguardo di costanza pieno,
 Osa ferro e veleno
 Meditar lungamente,
 E nell’indotta mente
 La gentilezza del morir comprende.
 Tanto alla morte inclina
 D’amor la disciplina. Anco sovente,
 A tal venuto il gran travaglio interno
 Che sostener nol può forza mortale,
 O cede il corpo frale
 Ai terribili moti, e in questa forma
 Pel fraterno poter Morte prevale;
 O così sprona Amor là nel profondo,
 Che da se stessi il villanello ignaro,
 La tenera donzella
 Con la man violenta
 Pongon le membra giovanili in terra.
 Ride ai lor casi il mondo,
 A cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
Ai fervidi, ai felici,
 Agli animosi ingegni
 L’uno o l’altro di voi conceda il fato,
 Dolci signori, amici
 All’umana famiglia,
 Al cui poter nessun poter somiglia
 Nell’immenso universo, e non l’avanza,
 Se non quella del fato, altra possanza.
 E tu, cui già dal cominciar degli anni
 Sempre onorata invoco,
 Bella Morte, pietosa
 Tu sola al mondo dei terreni affanni,
 Se celebrata mai
 Fosti da me, s’al tuo divino stato
 L’onte del volgo ingrato
 Ricompensar tentai,
 Non tardar più, t’inchina
 A disusati preghi,
 Chiudi alla luce omai
 Questi occhi tristi, o dell’età reina.
 Me certo troverai, qual si sia l’ora
 Che tu le penne al mio pregar dispieghi,
 Erta la fronte, armato,
 E renitente al fato,
 La man che flagellando si colora
 Nel mio sangue innocente
 Non ricolmar di lode,
 Non benedir, com’usa
 Per antica viltà l’umana gente;
 Ogni vana speranza onde consola
 Se coi fanciulli il mondo,
 Ogni conforto stolto
 Gittar da me; null’altro in alcun tempo
 Sperar, se non te sola;
 Solo aspettar sereno
 Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto
 Nel tuo virgineo seno.
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[nextpage title=”Parafrasi” ]
Parafrasi:
Il fato generò Amore e Morte
come fratelli.
Il mondo di quaggiù e le stelle
non hanno nessun’altra cosa più bella.
Dal primo nasce il bene,
nasce il piacere maggiore
che si trova nel mare dell’universo;
l’altra fa cessare ogni grande sofferenza,
ogni grande male.
[La Morte] è una bellissima fanciulla,
bella a vedersi, non come
la dipinge la gente codarda,
[che] spesso ha il privilegio di accompagnare
il fanciullo Amore;
e insieme volano sopra la vita degli uomini,
in qualità di conforti principali di ogni cuore saggio.
E nessun cuore fu mai più saggio e più forte
che, colpito dall’amore, non disprezzò la vita;
né vi fu mai cuore [cuore più saggio e più forte] che
fosse pronto a lottare per un altro padrone che non fosse l’amore:
amore, dove tu porgi aiuto, fai nascere
o risollevare il coraggio;
tanto che il genere umano diventa saggio nelle sue azioni,
e non sterile nei pensieri,
come in genere invece accade.
Quando un nuovo profondo
sentimento amoroso
nasce nel cuore,
insieme ad esso si avverte nel petto
un desiderio di morte
che infonde languore e spossatezza:
non so come questo avvenga: ma questo
è il primo potente effetto dell’amore vero.
Forse questa vita desolata
terrorizza gli occhi dell’innamorato:
egli vede la terra come inabitabile ormai
senza quella nuova, unica, infinita felicità
che s’immagina il suo pensiero:
ma a causa sua, prefigurandosi un gran travaglio
nel cuore, desidera quiete,
desidera rifugiarsi in un porto
di fronte a quel potente desiderio
che ruggendo oscura intorno ogni cosa.
Poi quando questo tempestoso desiderio
avvolge tutto,
e l’invincibile affanno fulmina il cuore,
o Morte, quante volte implorata
con desiderio intenso,
sei presso l’amante che si affanna [per il tormento d’amore]!
quante volte di sera e quante all’alba
abbandonando il corpo stanco
[l’amante] si riteneva beato
se in seguito non avesse alzato più
il corpo [dal letto] e non fosse tornato a guardare
l’amara luce del giorno.
E spesso, quando suonavano le campane funebri,
al canto delle salmodie funebri,
con più sospiri ardenti
che provenivano dal profondo dell’anima,
invidiava colui che se ne andava
ad abitare tra le anime dei morti.
Perfino la gente incolta,
il contadino, del tutto all’oscuro
di ogni virtù che deriva dal sapere,
perfino la fanciulla timida e schiva,
che al nominare la parola morte
si sentiva drizzare i capelli,
osa guardare la tomba, gli apparati funebri,
con sguardo fermo,
osa rivolgere costantemente il pensiero
alla spada e al veleno,
e giunge a comprendere la gentilezza della morte
nella sua mente, sebbene sia priva di cultura.
Il sentimento amoroso porta
alla morte. Una volta giunta a tal punto
la passione amorosa
le capacità umane non possono
sopportare le sue sofferenze:
o il corpo indebolito cede
a queste atroci sofferenze, e in questo modo
a prevalere è la Morte, fratello dell’Amore;
o l’Amore sollecita il contadino incolto
e la tenera donzella così dal profondo
che questi pongono fine con il suicidio
alle loro vite.
Gi uomini, a cui il destino
concede pace e la possibilità di giungere alla vecchiaia,
ridono di questi casi [di suicidio giovanile per amore].
Agli uomini ardenti, ai felici,
alle menti inesauste,
possa concedere a voi il destino,
come amici del genere umano
questi signori [l’amore o la morte],
al cui potere nessun’altra forza è pari,
eccetto quella del fato.
E tu, bella Morte,
che fin da giovane ho sempre
invocato con onori e rispetto,
solo tu in grado di aver pietà
delle sofferenze degli uomini [perché vi poni fine],
poiché ti ho sempre celebrata
e ho tentato di ricompensare
il disprezzo che la gente mostra verso di te
con la celebrazione del tuo stato divino,
non tardare più a venire,
esaudisci queste mie
insolite preghiere;
chiudi questi miei occhi tristi
ormai, oh regina del tempo!
Ma quale che sia l’ora in cui tu
accoglierai queste mie preghiere,
sicuramente troverai
la mia fronte fiera, e me pronto a combattere
e resistente al destino,
che non benedico la morte, imbrattata dell mio sangue innocente,
come usa fare
la gente per viltà;
[troverai me] che allontano
ogni vana speranza
e ogni sciocco conforto,
con cui di solito si consola
la gente, come fanciulli;
[troverai me] che non spera altro
di trovare te sola in ogni momento;
[troverai me] aspettare serenamente
quel giorno che io piegherò il mio capo
sul tuo virgineo seno.
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[nextpage title=”Analisi” ]
Analisi:
La forma e lo stile. Amore e morte è il secondo componimento del cosiddetto “ciclo di Aspasia”, blocco di cinque poesie composte da Giacomo Leopardi a seguito dello sfortunato innamoramento del poeta per la fiorentina Fanny Targioni Tozzetti. Il testo fu composto a Firenze tra il 1832 e il 1833. Il binomio amore-morte, come momento inscindibile della vita, compare in una lettera dell’agosto 1833 che Leopardi invia a Fanny, e sintetizzano il pensiero del poeta in quel particolare momento della propria vita: «l’amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate». Lo stesso binomio figura quasi alla lettera nei vv. 99-100 del coevo Consalvo: «Due cose belle ha il mondo: / amore e morte». Come il precedente componimento, Il pensiero dominante, il testo si fonda dal punto di vista concettuale e stilistico sulle antitesi – a partire dal titolo stesso e dai primi versi del canto – e s’indirizza verso una necessaria fusione; al contempo lo stile si tiene in equilibrio tra l’aridità del vero («vana speranza» vv. 117) e la ricerca di una dolcezza che ricorda ancora l’atteggiamento dinanzi alle illusioni dei “grandi idilli”.
I temi. Molto vicina dal punto di vista tematico al Pensiero dominante, la lirica pone in primo piano non già la donna amata, quanto il concetto stesso di amore. In questo caso, «il racconto dell’esperienza fa tutt’uno con una vera e propria teoria d’amore» (P. Frare). La predilezione per un soggetto astratto caratterizza l’intero ciclo di Aspasia, dove il poeta indugia di più sui concetti e adotta un lessico che punta all’astrazione. In questa lirica l’amore è l’illusione suprema che si avvia ad essere smascherata, è fonte di tormento ma permane il desiderio, che infine sconfina nell’annullamento dell’io e nella sovrapposizione con la morte. Per questo motivo Amore e morte segna il momento più drammatico e di maggiore tensione nel rapporto tra Leopardi e il sentimento amoroso, rapporto segnato, appunto, dalla passione del poeta per Fanny. L’atteggiamento di Leopardi qui si fa titanico: pur consapevole che nessuna «forza mortale» può sostenere il «gran travaglio interno» (vv. 76-77) dovuto all’amore, e che presto sarà la morte a prevalere, il poeta affronta con determinazione e resistenza eroica la morta che viene, raffigurata nelle sembianze di una donna, sul cui seno il poeta piegherà «addormentato il volto» (vv. 124).
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