Parafrasi canto 13 (XIII) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto XIII del Purgatorio – Seconda cornice del Purgatorio che accoglie le anime di coloro che in vita furono invidiosi: ricoperti di ruvido cilicio, hanno le palpebre cucite con filo di ferro e sono ricoperti da un mantello del colore della roccia. Il sommo poeta incontra Sapìa.

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Io e Virgilio eravamo giunti in cima alla scala,
là dove per la seconda volta è tagliato tutto intorno il monte
del Purgatorio, che purifica dai peccati chi lo scala.

In quel punto una cornice circonda
la montagna, così come faceva la prima cornice;
se non per il fatto che la sua curva è più stretta.

Non c’è lì né ombra né traccia alcuna che appaia alla vista:
appaiono soltanto la parete del monte e la nuda strada,
nel colore livido della pietra.

“Se aspettiamo qui l’arrivo di qualche anima per chiedere la
direzione da prendere”, ragionava Virgilio, “temo che forse
la nostra decisione verrà ritardata troppo.”

Fissò poi lo sguardo sul sole;
fece perno sul lato destro del suo corpo,
e girò la parte sinistra in quella direzione.

“O dolce luce, per fiducia nella quale io intraprendo
il cammino in questo territorio ignoto, guidaci”,
disse, “come conviene essere guidati in questo regno.

Tu riscaldi il mondo, tu risplendi sopra di esso;
se nessun altro motivo ci spinge in un’altra direzione,
i tuoi raggi devono essere sempre la nostra guida.”

Un distanza pari a quella che sulla terra corrisponde al miglio
avevamo già percorso lungo quel sentiero,
in breve tempo, tanta era la nostra volontà di salire;

quando udimmo volare verso di noi,
senza però riuscire a vederli, spiriti che con le loro parole
ci lanciavano cortesi inviti alla mensa dell’amore divino.

La prima voce che passò volando
sopra di noi disse “Non hanno vino”, e continuò
a ripeterlo anche dietro a noi, dopo averci superato.

E prima che il suo suono non fosse più udibile
per la distanza, un’altra “Io sono Oreste” gridò
passando oltre, ed anche questa non si interruppe.

Chiesi a Virgilio “Padre, che voci sono queste che sentiamo?”
E non appena ebbi formulato la domanda, ecco passare una
terza voce che disse: “Amate coloro dai quali avete ricevuto del male”.

Il mio buon maestro mi rispose: “Questa cornice purifica
la colpa dell’invidia, e per questo motivo
gli incitamenti alla purificazione sono esempi d’amore.

Il freno che trattiene dal peccato è rappresentato da frasi di
senso opposto; credo che udirai esempi di invidia punita
prima di arrivare al passaggio che porta alla cornice successiva.

Ma guarda attentamente dinnanzi a te:
vedrai davanti a noi delle anime sedute,
ciascuna appoggiata alla parete rocciosa del monte.”

Aprii allora gli occhi più di prima;
guardai dinnanzi a me e vidi spiriti coperti da mantelli
di colore identico a quello della pietra.

E dopo che fummo avanzati ancora un poco,
li sentii gridare: “Maria, prega per noi”:
e li sentii invocare “Michele”, “Pietro” e “Tutti i santi”.

Non credo che esista sulla terra
un uomo tanto spietato da non provare
compassione alla vista di ciò che vidi subito dopo;

perché, quando fui giunto vicino a loro abbastanza
da riuscire a distinguere chiaramente la loro condizione,
il profondo dolore che provai mi costrinse a versare lacrime.

Mi apparvero ricoperti da un ruvido cilicio,
e si sostenevano l’un l’altro con la spalla,
e tutti erano sorretti dalla parete.

Questo stesso atteggiamento viene assunto dai ciechi, a cui
manca il necessario per vivere, durante le feste religiose per
chiedere l’elemosina, ed ognuno tiene il capo chino sul proprio vicino,

così da riuscire a suscitare pietà nelle altre persone,
non solo con il lamento delle loro parole,
ma anche con il loro aspetto, che non ne ispira di meno.

E come ai ciechi non arriva la luce del sole,
così agli spiriti di questa cornice, di cui sto parlando ora,
la luce del sole non si concede;

poiché un filo di ferro attraversa le palpebre di tutte le anime
cucendole, così come viene fatto con gli sparvieri selvaggi
perché non stanno tranquilli.

Mi sembrava, camminando oltre, di fare una scortesia,
perché io li vedevo senza essere visto a mia volta:
mi voltai pertanto verso il mio saggio consigliere.

Egli aveva già ben compreso che cosa significasse il mio
silenzio; non attese perciò la mia domanda
ma mi disse subito: “Parla loro, in modo breve ma efficace”.

Virgilio procedeva al mio fianco da quella parte
della cornice da cui si può cadere giù,
non essendo circondata da nessuna sponda;

dall’altra parte si trovavano le anime devote,
intente a pregare, le cui lacrime spingevano contro
l’orribile cucitura tanto da riuscire infine a bagnare le guance.

Mi rivolsi loro e “O anime sicure”,
cominciai a dire, “di vedere Dio, unico
desiderio di cui vi curate,

possa la Grazia divina detergere subito dalle scorie
del peccato la vostra coscienza, così che limpido,
attraverso di essa, possa scorrere il fiume della memoria,

ditemi, perché sarebbe per me cosa molto gradita,
se si trova tra di voi una anima italiana;
e forse per lei sarà un bene se lo vengo a sapere.”

“Fratello mio, ognuna di queste anime è cittadina
dell’unica vera città, quella di Dio; ma tu intendi dire
che visse in Italia quando fu al mondo.”

Queste parole mi sembrò di udire per risposta,
provenienti da un luogo poco oltre a dove mi trovavo,
feci pertanto sentire la mia voce ancora più in là.

Tre le altre, vidi uno spirito nell’atteggiamento di chi aspetta;
e se qualcuno domandasse quale fosse tale atteggiamento,
teneva il mento sollevato come fanno i ciechi.

Gli dissi: “Spirito, che per salire in cielo ti sottometti a queste
pene, se sei colui che mi ha risposto, fatti conoscere,
dicendomi o il tuo luogo di nascita o il tuo nome.”

Rispose l’invidioso: “Fui un abitante di Siena, e con queste
altre anime pongo qui rimedio alla mia vita colpevole,
implorando con le lacrime Dio perché si conceda a noi.

Non fui saggia in vita, nonostante che Sapìa (Savia)
fosse il mio nome, e fui delle disgrazie altrui
molto più contenta che della mia buona sorte.

E perché tu non creda che io non ti stia dicendo la verità,
ascolta come fui, come ti racconterò, sconsiderata,
quando ero già nella seconda parte della mia vita.

I miei concittadini si trovavano a Colle di Val d’elsa
intenti in uno scontro con i loro avversari, i fiorentini, ed io
pregavo Dio perché accadesse ciò che in effetti volle, e accadde.

I senesi furono sbaragliati e costretti a percorrere l’amara
via della fuga; e vedendoli inseguiti dai vincitori,
provai una gioia che non era paragonabile a nessuna altra,

tanto che in tono di sfida rivolsi al cielo il mio viso,
e gridai a Dio: “Ormai non ho più paura di te!”,
come fa il merlo che in inverno canta l’arrivo della primavera dopo solo pochi giorni di sole.

Mi riappacificai con Dio quando ero oramai alla fine
della mia vita; e non sarebbe ancora diminuito il mio giusto
debito con lui grazie alla penitenza che sto subendo,

se non fosse che mi ricordò
nelle sue devote preghiere Pier Pettinaio,
al quale, per la sua bontà, dispiacque per me.

Ma dimmi adesso che sei tu, che le nostre condizioni
ci chiedi, che hai gli occhi liberi dal filo di ferro,
come immagino che sia, e che parli respirando?”

Gli risposi “Anche a me sarà tolta qui la vista,
ma solo per un breve periodo, perché sono poche le volte
che l’ho usata erroneamente con l’invidia.

Maggiore è la paura che attanaglia la mia anima
per il tormento della prima cornice, tanto che già
mi sembra di sentire addosso il peso che si porta laggiù”.

Mi domando ancora Sapìa: “Chi ti ha allora condotto
qua su tra noi, se sei convinto di ritornare di sotto?”
Ed io risposi: “Costui che è qui con me ma non parla.

Sappi anche che sono vivo; chiedimelo perciò pure,
spirito eletto, se tu vuoi che io agisca
in tuo favore una volta tornato sulla terra.”

“Questa è una notizia mai sentita prima”,
esclamò l’anima, “un enorme indizio dell’amore che Dio prova per te;
aiutami perciò tu stesso qualche volta con le tue preghiere.

E ti chiedo anche, in nome di ciò che più desideri (la salvezza
eterna), se mai passerai per la Toscana,
di restituirmi una buona fama presso i miei parenti.

Tu li potrai trovare tra quella gente sciocca, i senesi,
che spera nel porto di Talamone, e ci perderanno in ciò
più speranza di quelli che cercarono invano il fiume Diana;

ma più di loro vi perderanno i loro ammiragli.”

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