IL VISCONTE DIMEZZATO di Italo Calvino | Riassunto, analisi e commento

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Trama:
Nel suo primo giorno di battaglia della guerra in Boemia tra cristiani e turchi, il visconte Medardo da Terralba si spinge valorosamente all’attacco della batteria nemica, dove si trovano le armi da fuoco pesanti tenute in continuo movimento per mantenere sempre sotto attacco la linea cristiana che stava avanzando. Tradito dall’entusiasmo e dall’inesperienza, il visconte salta di fronte al cannone a spada tratta credendo di spavenare il nemico ma viene invece subito colpito in pieno petto da un proiettile. Il corpo di Medardo è orrendamente mutilato: gli mancava un braccio e una gamba, non solo, ma tutto quel che c’era di torace e d’addome tra quel braccio e quella gamba era stato portato via, polverizzato da quella cannonata presa in pieno. Del capo restavano un occhio, un orecchio, una guancia, mezzo naso, mezza bocca, mezzo mento e mezza fronte: dell’altra metà del capo c’era più solo una pappetta. A farla breve, se n’era salvato solo metà, la parte destra, che peraltro era perfettamente conservata, senza neanche una scalfittura.. Nonostante le ferite, i medici del campo riescono miracolosamente a tenere in vita l’uomo, che può così fare ritorno in patria.
Il ritorno del visconte richiama nella corte del castello gente da tutte le vallate. La notizia che Medardo aveva subito gravi ferite era già arrivata a Terralba ma nessuno, ignorandone la natura e l’entità, riesce a trattenere il proprio orrore quando si intuisce che la parte sinistra del mantello e del cappuccio che l’uomo indossa non contengono nulla. Dopo aver pagato i portatori della lettiga metà del compenso da loro richiesto per portare un uomo (intero), il visconte si richiude nel castello isolandosi da tutti.
Aiolfo, il padre di Medardo, che per propria decisione vive rinchiuso in una voliera, prova ad avvicinare il figlio mandando alla finestra della sua camera uno dei suoi amati uccelli: Medardo strazia e uccide il povero animale infierendo su una sua metà (un’ala, una zampetta ed un occhio). Aiolfo per il gran dolore si ammala e muore.
Un sera improvvisamente il visconte dimezzato esce dal castello lasciando dietro di sè una serie di animali, frutti e funghi divisi di netto con la spada. Viene ritrovato dai sui servitori sulla riva di uno stagno mentre osserva tutte le metà dei funghi commestibili che galleggiando, per un gioco di riflessi, sembrano tornare interi. Tutte le metà dei funghi velenosi l’uomo le ha regalati al suo giovane nipote (nato dalla relazione tra la sorella di Medardo ed un bracconiere, e adottato da Aiolfo alla morte dei due genitori) e narratore del romanzo perché li friggesse e mangiasse.
È oramai chiaro a tutti che a salvarsi e fare ritorno è stata la metà cattiva del visconte Medardo. Gli atti di crudeltà dell’uomo iniziano infatti a succedersi: condanna all’impiccagione accusati, accusatori e sbirri nei processi ai quali è chiamato a giudicare; cerca nuovamente di uccidere il proprio nipote insieme all’amico dottor Trelawney (inglese, ex dottore di bordo del capitano Cook, che con la medicina non ha proprio niente a che fare visto che il genere umano e la malattia lo inorridiscono e si appassiona invece sempre a esperimenti e fenomeni strambi, come i fuochi fatui) segando il ponte in legno su cui dovevano passare (ma uccidendo invece così gli uomini che li inseguivano); inizia a dare fuoco alle case e al suo stesso castello; fa riconoscere come lebbra le bruciature provocate alla vecchia balia di famiglia Sebastiana dal rogo da lui stesso generato per ucciderla, e la fa così allontanare; assilla una comunità di Ugonotti scappati dalle persecuzioni in Francia per poi proporre loro di diventare la sua guardia nella lotta contro i principi cattolici.

Medardo spiega a suo nipote, voce narrante, la sua ossessione di dover di dividere tutto in due dicendo che essere metà è l’unico modo per vedere e comprendere chiaramente il mondo. La perfezione è nella metà: bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani (pezzi).

Un giorno Medardo decide di essere innamorato della giovane pastorella Pamela che gira sempre per i boschi in compagnia di una anatra e di una capra. Inizia così a lasciare doni dimezzati nei luoghi che è solita frequentare ed infine anche animali mutilati o straziati come messaggi per fissare un incontro e dirle la sua proposta: vuole che lei vado a vivere rinchiusa nel suo castello. La ragazza, temendo per la propria sorte, rifiuta l’invito ed il visconte cerca allora di averla facendo leva sui suoi genitori: i due la chiudono in casa e vanno ad avvisare Medardo di mandare qualcuno a prenderla. Pamela riesce però a scappare e va a vivere nel bosco. Il visconte riprende invece a riempire le sue giornate di atti crudeli verso chiunque e qualunque cosa abbia la sfortuna di trovarsi lungo la sua via.

Improvvisamente strani avvenimenti mettono in confusione il villaggio: Medardo sembra avere una doppia natura e le sue crudeltà iniziano ad essere intervallate da atti di estrema bontà. Spesso sembra anche che lo stesso visconte prima compia un danno e poi ponga egli stesso rimedio: rondini storpiate con la sua balestra venivano viste volare nuovamente in cielo tutte fasciate e steccate. È Pamela stessa a scoprire la verità, accorgendosi che a comportarsi bene è la parte sinistra del corpo di Medardo ritornata alla Boemia: la cannonata non aveva lasciato intatta solo la parte destra distruggendo la sinistra, come si credeva, ma aveva diviso il corpo del visconte esattamente a metà; anche la parte sinistra era stata salvata, medicata da alcuni eremiti, ed aveva così potuto infine fare ritorno in patria.

Anche il Buono, così inizia ad essere chiamatà la metà sinistra, si innamora di Pamela e le spiega da dove nasce tutta la sua bontà: essere metà è l’unico modo per vedere e compredere chiaramente il dolore che al mondo deriva dal suo essere incompleto: non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. La base del suo pensiero risulta così comune a quella del Gramo (l’Infelice), come inizia ad essere chimamatà la metà destra del visconte.

Anche le iniziative del Buono iniziano però ben presto ad essere mal viste in paese: saputo che gli Ugonotti sfruttano il loro buon raccolto di segala per trarre vantaggio economico dalla carestia che ha colpito il resto del paese, agisce in segreto con il risultato di rovinare i loro affari; le sue continue prediche nel villaggio dei lebbrosi mettono fine a tutte le loro feste, spesso oscene, ed i malati si trovano così di fronte alla loro triste malattia; l’artigiano Pietrochiodo, incaricato dal Gramo di costruire i suoi strumenti di tortura, vive oramai nell’angoscia e nel rimorso perché, incaricato dal Buono di costruire macchine impossibili che non riesce nemmeno a progettare, è sempre più convinto che la cattiveria sia propria del suo animo visto che sono quelle per il Gramo quelle che gli riescono al meglio.
A Terralba non si sa più chi sia meglio tra il Buono ed il Gramo. Entrambi vengono evitati.

Un giorno il Buono ed il Gramo, in contemporanea, cercano di convincere i genitori di Pamela a dare in sposa la ragazza all’altra metà: il Buono parla con il padre e con quel matrimonio vuole fare felice, ultimo gesto prima di lasciare il paese, sia la pastorella che il Gramo; il Gramo parla con la madre e intende prendersi comunque lui la ragazza sfruttando il fatto che il matrimonio sarà in ogni caso sempre e solo a suo nome, Medardo di Terralba. La pastorella capisce però subito che c’è sotto un tranello e decide quindi di ingannare tutte dicendo di sì ad entrambe le metà del visconte. Il giorno del matrimonio però, a causa di un incidente a cavallo, il Gramo arriva in ritardo alla chiesa, quando Pamela ha già sposato il Buono. Il Gramo sfida a duello l’altra metà per fare valere il suo diritto di avere la ragazza.

Durante tutto il combattimento entrambi continuano a portare colpi alla metà mancante del proprio avversario, come se fossero spinti a ferire sé stessi (la propria e non l’altra metà). Infine, in una fase confusa, con un colpo di spada accidentale si feriscono l’un l’altro lungo la cicatrice laterale, riaprendo la vecchia ferita generata della cannonata. Il dottor Trelawney, nel quale l’interesse per l’uomo era rinato proprio grazie all’arrivo del Buono, interviene prontamente ricongiungendo le due metà in un unico corpo tenuto insieme da bende.

Curato da Sebastiana, che pur vivendo in mezzo a lebbrosi era riuscita ad evitare il contagio grazie alla sua conoscenza delle erbe medicinali, il visconte Medardo di Terralba alla fine si risveglia:
dapprincipio la sua espressione era stravolta: aveva un occhio aggrottato e l’altro supplice, la fronte qua corrugata là serena, la bocca sorrideva da un angolo e dall’altro digrignava i denti. Poi a poco a poco ritornò simmetrico.
Il dottor Trelawney disse: – Ora è guarito.


Così mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser dimezzato.

Il romanzo termina con la partenza del dottor Trelawney da Terralba. Il capitano Cook aveva una partita in sospeso a tresette con lui ed è passato a riprenderlo.

Commento e analisi:
Al di là del realismo e del lirismo. La scelta del fantastico ha un duplice effetto sulla narrazione e sullo stile che Calvino adotta: oltre al superamento del realismo (sebbene Vittorini nel risvolto di copertina del volume scrivesse di “fiaba a carica realista”), l’autore si pone al riparo da ogni eccesso di lirismo e soggettivismo, evitando da un lato la possibile identificazione del lettore con il protagonista, dall’altro che il protagonista diventi un alter ego dell’autore, un personaggio tramite il quale esprimere il proprio stato d’animo e il proprio travaglio interiore. Al contrario Calvino con la lucidità e la razionalità che caratterizzano la sua scrittura riesce a conferire alla favola un alto valore allegorico, facendo in modo che da una situazione inverosimile e in un contesto storico assai distante da quello dell’Italia del Novecento si possa riflettere sullo stato presente del paese.

Una doppia provocazione. La storia del visconte dimezzato è nota: durante le guerre turco-austriache di fine Seicento, il visconte Medardo di Terralba fu colpito da una palla di cannone che divise il suo corpo in due parti; da queste, che incredibilmente continueranno a vivere separatamente, nascono due personaggi: il Buono e il Gramo, emblemi rispettivamente del bene e del male, ma entrambi dannosi e in mancato equilibrio col mondo. La storia è chiaramente inverosimile, ma dietro l’assurdità della situazione e il tono leggero con cui Calvino la racconta c’è una doppia provocazione. La prima è di ambito letterario: la letteratura italiana dell’epoca in cui Calvino scriveva, immersa nel clima neorealista, era quanto più distante si possa immaginare dalla cultura del fantastico e dell’inverosimile, per cui con questo libro l’autore spiazzò l’ambiente letterario e volle ribadire la necessità di uno sguardo diverso e meno ancorato alla concretezza del reale. La seconda provocazione riguarda proprio il clima storico-politico dell’epoca, ancora scosso dall’esperienza della Seconda guerra mondiale e rinvigorito dalla Resistenza partigiana: Calvino dimostrò che la letteratura poteva parlare di attualità anche da una prospettiva stilistico-narrativa differente da quella in voga all’epoca. Infatti tramite la scissione del personaggio l’autore alludeva proprio alle opposte fazioni della lotta partigiana e, forse, all’irrigidirsi delle posizioni di Usa e Urss, allo spettro della guerra fredda, infine, alla spaccatura dell’Italia tra comunisti e democristiani e all’inasprirsi dello scontro sociale.

L’allegoria dell’incompletezza. La scissione del visconte è quindi un’allegoria dell’incompletezza: Calvino vuole ricordarci che la divaricazione estrema e l’opposizione di due poli porta inevitabilmente a una visione parziale e incompleta del mondo, a un disorientamento e a una perdita dell’equilibrio. La sua visione della letteratura e della realtà è quindi non ideologica, come ribadirà in seguito in La giornata d’uno scrutatore. Da qui l’auspicio di una riconciliazione per un mondo migliore: non a caso Medardo alla fine troverà il tanto agognato ricongiungimento grazie a una formidabile operazione chirurgica. Nello stesso tempo Calvino esplora uno dei temi classici della letteratura, quello del doppio, e per certi versi rinnova la tradizione della dissociazione che aveva trovato nuova linfa nella letteratura italiana grazie al Fu Mattia Pascal di Pirandello. Calvino tuttavia sembra voler andare oltre e chiudere i conti con quella fase della narrativa che lasciava senza soluzione la crisi dell’uomo novecentesco.