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La trama:
Protagonista del romanzo di Pirandello è Mattia Pascal, bibliotecario presso il comune di Miragno, un paesino immaginario della Liguria.
Convinto dall’amico, il Reverendo Don Eligio, l’uomo decide di raccontare in un manoscritto la propria particolarissima vita: Mattia Pascal è già morto due volte, solo la terza morte sarà l’ultima e definitiva. Il protagonista può per questo considerarsi già fuori dalla vita e quindi senza obblighi e scrupoli di sorta; questa sua condizione particolare gli consente così di raccontare in dettaglio tutte le sue vicende, anche quelle che non potranno di certo fargli onore.
La morte del padre, quando Mattia ha soli 4 anni, è l’inizio del declino per la famiglia Pascal. La madre, totalmente incapace di gestire la consistente eredità lasciata dal marito, un facoltoso commerciante, affida la piena gestione del patrimonio familiare, che comprende anche diverse proprietà terriere, a Batta Malagna, un uomo disonesto e senza scrupoli. Mattia ed il fratello Roberto, detto Berto, possono vivere una vita di rendita nell’ozio più totale, senza regole: non frequentano prima la scuola e poi, una volta adulti, non si cercano nemmeno un lavoro. Ma il tempo della loro agiatezza è destinato a scadere: simulando mese dopo mese cattivi raccolti e problemi di ogni genere, Malagna dilapida totalmente il patrimonio della famiglia Pascal divenendone proprietario.
Quando la moglie muore, Malagna sposa una ragazza di nome Oliva dalla quale non riesce però ad avere un figlio. L’uomo, attribuendo la mancata figliolanza alla ragazza, nonostante sia sana, robusta e molto più giovane di lui, inizia ad interessarsi allora alla propria nipote Romilda, figlia della vedova Pescatore. Anche Mattia inizia a frequentare la casa di quest’ultima, l’intenzione è quella di intercedere per l’amico Pomino sottraendo la ragazza a Batta, ma l’esito finale è disastroso: il protagonista mette incinta Romilda e poco dopo anche Oliva, viene smascherato ed è costretto infine da Malagna a sposarne la nipote andando a vivere in casa della vedova Pescatore.
La nuova condizione di povertà in cui si viene a trovare Mattia gli provoca l’odio della moglie e della suocera e la sua vita diviene un inferno. Le due gemelle date alla luce da Romilda muoiono a poca distanza di tempo. Muore anche la madre del protagonista. Mattia si trova ad essere totalmente solo e, stufo delle continue liti in famiglia, decide di allontanarsi dal paese per recarsi a Marsiglia e prendere una nave per andare in America e farsi una nuova vita. Abbandona però subito l’idea: ha poco denaro in tasca, non basterebbe. Preso dallo sconforto e dalla disperazione decide anche di giocarselo tutto al casinò di Montecarlo, ma inaspettatamente la fortuna sembra sorridergli. Dopo quasi due settimana passate ininterrottamente a giocare alla roulette in uno stato di trance, Mattia riesce a racimolare una importante somma di denaro e decide infine (scosso dalla vista del cadavere di un giocatore suicida per aver perso tutto) di fare ritorno a casa.
Mentre è in treno una notizia di cronaca nera letta su un giornale locale sconvolge però i suoi piani: a Miragno è stato ripescato il cadavere putrefatto di un uomo… che è stato riconosciuto da tutti come Mattia Pascal. Dopo lo sgomento iniziale, il protagonista decide di utilizzare a proprio vantaggio il malinteso per cambiare identità e farsi veramente una nuova vita, senza moglie, senza suocera e nemmeno debiti. Si costruisce un passato, cambia d’aspetto tagliandosi la barba, facendosi crescere i capelli ed indossando degli occhiali per coprire lo strabismo dell’occhio sinistro, e si sceglie anche un nuovo nome: Adriano Meis. Mattia Pascal è ora veramente morto.
Mattia, ora Adriano Meis, inizia a girare per il mondo; si sente libero, ma la sua nuova condizione inizia presto a mostrargli tutti i suoi lati negativi: può solo avere relazioni superficiali, sente il bisogno di avere vicino qualcuno ma non può permettersi di avere amici e nemmeno un cagnolino a fargli compagnia. I soldi vinti al casinò non possono inoltre durare in eterno.
Il primo compromesso a cui deve scendere, rinunciato un poco alla sua tanto amata libertà, è quello di avere dimora stabile in una città ed il protagonista sceglie Roma. Prende così in affitto una stanza presso una famiglia composta dal signor Paleari, dalla figlia Adriana e dal cognato di lei Terenzio Papiano. Il capo famiglia è ossessionato dal pensiero della morte ed ha un forte interesse per il paranormale. Nella casa si tengono anche sedute spiritiche, orchestrate da Terenzio e da suo fratello Scipione con la complicità di un’altra inquilina, Silvia Caporale. Nonostante l’intenzione di tenersi sempre lontano da qualunque relazione, visto che il suo non esistere non può permettergli di averne, Mattia alla fine si innamora di Adriana e la ragazza sembra contraccambia il sentimento, attirando così l’antipatia di Terenzio. L’uomo infatti, per evitare di dover restituire la dote della moglie defunta, sorella di Adriana, punta apertamente a sposare la giovane.
Vedendo fallire i propri piani, Terenzio approfitta proprio di una seduta spiritica per fare rubare dal fratello Scipione a Mattia una somma di denaro pari alla dote che doveva restituire. È un duro colpo che fa vacillare la solidità del protagonista, già combattuto dai sensi di colpa per il bacio rubato ad Adriana durante la stessa seduta. Mattia si rende conto che la sua libertà si basa sulla menzogna, sente di stare prendendo in giro la povera ragazza e si accorge anche di quanto è debole e totalmente esposto alla volontà altrui: gli possono rubare tutto senza che lui possa presentare denuncia (deludendo Adriana, che sperava di poter diffamare finalmente il cognato), perché lui non esiste per la legge e non ha quindi nessun diritto.
Il colpo di grazia lo dà poco dopo a Mattia il pittore spagnolo Bernaldez, amante di Pepita, la figlia del Marchese Giglio d’Auletta per cui lavora Terenzio. Deciso a farsi odiare da Adriana così da ricevere il giusta trattamento per tutte le bugie dette, il protagonista inizia a corteggiare Pepita durante una visita presso il Marchese. Questo atteggiamento accende d’ira il pittore che sfida a duello Mattia. Il protagonista è messo ancora una volta di fronte alla sua misera condizione: non esiste e non può proprio difendersi.
La disperazione porta Mattia a vagare per tutta la notte per Roma. Il forte desiderio di suicidarsi gli dà inaspettatamente una via di fuga: simula la morte di Antonio Meis lasciando cappello e bastone sul ponte Margherita e prende il primo treno per la Liguria per vendicarsi della moglie e della suocera. Credeva di aver guadagnato la libertà ma in realtà erano le due donne ad essersi liberate facilmente di lui, riconoscendolo frettolosamente in un cadavere mezzo putrefatto.
Antonio Meis muore. Mattia Pascal è morto una seconda volta.
Prima di fare ritorno a Miragno il protagonista fa tappa a Pisa e si reimpossessa subito della vecchia immagine di Mattia Pascal: si taglia i capelli, si fa crescere nuovamente la barba ed abbandona gli occhiali. Del defunto Antonio Meis gli rimane in eredità solamente l’occhio sinistro, adesso dritto dopo che a Roma si è sottoposto ad una operazione per curare lo strabismo.
Mattia Pascal fa quindi visita al fratello Berto che ora vive a Oneglia, sempre in Liguria, nella casa avuta in dote dalla ricca moglie. Viene così a sapere che poco dopo la sua prima morte la moglie Romilda si è sposata con l’amico Pomino. Scopre inoltre che ha ora tutto il diritto di riprendersi la donna visto che, essendo ancora in vita, il nuovo matrimonio perde di validità.
Sempre più acceso dal desiderio sfrenato di vendicarsi delle due donne, ed ora anche dell’amico, Mattia parte la sera stessa per il paese natio e si reca quindi subito di corsa a casa di Pomino. Romilda, la vedova Pescatore e l’amico rimangono sconvolti dal trovarsi di fronte quell’uomo che era stato riconosciuto come morto non solo da loro ma da tutta la comunità. Mattia si prende gioco dei tre continuando a rivendicare il suo diritto di riprendersi la propria sposa. Tra suppliche, lacrime e scene di isterismo, commosso dalla vista del bambino avuto da Romilda, il protagonista ammette infine che non ha nessuna intenzione di farsi riconoscere in vita e non avanzerà quindi nessuna pretesa verso la donna. Pomino può stare tranquillo.
Mattia Pascal va infine a vivere con sua zia Scolastica, che ha ora un maggiore considerazione di lui, e torna anche al suo lavoro di bibliotecario. Ogni tanto va anche a fare visita alla sua tomba, rendendo omaggio a quell’uomo sconosciuto morto a suo nome e quindi senza che nessuno versasse per lui una lacrima. A chi incrociandolo gli chiede chi lui sia veramente:
Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo: “Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal.”
Commento e analisi:
La narrazione in prima persona. Innanzitutto Pirandello adotta un punto di vista che mette in crisi l’onniscienza del narratore ottocentesco: a narrare è infatti il protagonista stesso, Mattia Pascal, che espone i fatti capitatigli sotto forma di memorie. Il narratore è dunque autodiegetico, cioè interno al romanzo e per di più protagonista delle vicende che si appresta a raccontare. Il punto di vista, di conseguenza, non può essere onnicomprensivo, ma vistosamente parziale perché legato a ciò che compie, vede, prova, pensa il protagonista. Questa scelta narrativa implica una visione relativistica del reale, che mette in crisi la fiducia nella conoscenza dei fatti e rende inafferrabile la verità. La conoscenza del mondo può essere perciò sempre e solo frammentaria, irrisolta; e frammentaria è l’esposizione dei fatti con cui deve confrontarsi il lettore, che è chiamato a compiere un ulteriore sforzo riflessivo per saggiarne la verità e distaccarsi dall’interpretazione che il narratore gli offre. Mattia Pascal infatti chiama spesso in causa il lettore, esercitando nei suoi confronti una sorta di captatio benevolentiae per portarlo dalla sua parte e renderlo partecipe delle proprie disavventure; il suo racconto, del resto, è sempre condito con una buona dose di ironia, chiave di volta dello stile pirandelliano e della sua poetica dell’umorismo: Mattia riflette, giudica, talvolta burlandosi di se stesso.
Il romanzo filosofico. Una delle più rilevanti novità del romanzo pirandelliano risiede nell’impianto fortemente speculativo e argomentativo: sono numerose le pagine del Fu Mattia Pascal che presentano riflessioni filosofiche vere e proprie, discussioni intorno alle quali si arrovellano i protagonisti nell’atto di dover giustificare una tesi. Basti pensare alla conversazione tra Mattia e don Eligio Pellegrinotto sugli effetti della rivoluzione copernicana sulle vite degli uomini; o alla straordinaria riflessione sulla crisi novecentesca e il relativismo di Anselmo Paleari quando espone la celebre ipotesi dello “strappo nel cielo di carta” che improvvisamente turba la messa in scena della tragedia di Oreste in un teatro di burattini; o ancora la “lanterninosofia” di Anselmo Paleari, un saggio sulla relatività e soggettività della visione del mondo… Queste frequenti inserzioni saggistiche e filosofiche fanno decisamente pendere l’impianto del libro dalla parte della riflessione a discapito della narrazione dei fatti: Mattia Pascal è soltanto un ospite della vita, un inetto incapace di vivere pienamente, pertanto la sola attività che gli riesce egregiamente è riflettere e ragionare; perfino le vicende che gli accadono finiscono per essere solo degli esempi per avvalorare la sua visione del mondo, fortemente improntata al dubbio relativistico.
Il personaggio e l’inverosimiglianza del racconto. Mattia Pascal non ha niente di eroico, non ha slanci e manca di una volontà che si traduca in azione: tutto quel che gli succede è determinato e scandito dal caso, al punto da renderlo spesso fuori luogo se non addirittura estraneo alle vicende che egli stesso vive. La sua volontà è perciò sostituita dal caso che diventa il motore primo della storia: la vincita al casinò, il ritrovamento di un cadavere, la cui identità è attribuita erroneamente a Mattia Pascal, testimoniano il ridimensionamento dell’uomo nei confronti degli accadimenti del tutto casuali, e sanciscono la fine della centralità dell’essere umano nell’universo. A Pirandello quindi non interessano i “particolari oziosi” che costellano la quotidianità dell’uomo, perché l’uomo è un essere insignificante in balìa del caso, completamente alienato rispetto alla sua vita. Di conseguenza per l’autore agrigentino è molto più importante mostrare casi esemplari le cui vicende di vita sono straordinarie e inverosimili, perché appunto frutto dei capricci del caso.
La fuga, l’identità e la menzogna. La verità sfugge sempre e con essa qualsiasi possibilità di conoscere il mondo, che si rivela un maestoso inganno. In aggiunta a ciò, il protagonista del romanzo è costretto a un’esistenza grigia come bibliotecario in un paesino della Liguria. Per fuggire all’inganno e al grigiore della vita, complice la fortunosa vincita alla roulette nel casinò di Montecarlo, Mattia Pascal prova a riscattare la sua esistenza inventandosi una nuova identità e fuggendo altrove. Il miraggio è quella libertà assoluta a cui aspirano tutti i protagonisti pirandelliani: l’abbandono definitivo della gabbia della forma. Giunto a Roma Mattia Pascal assume l’identità fittizia di Adriano Meis, che nelle sue intenzioni gli avrebbe consentito di vivere pienamente la vita. Nelle nuove vesti di Adriano, il protagonista si trova quindi a recitare una parte, a inscenare un ruolo non suo, come un attore dei tanti drammi pirandelliani degli anni a venire. In realtà ogni tentativo di finzione si dimostra fallace, perché la nuova identità si rivela priva di fondamento: Adriano Meis per l’anagrafe, per la società, per le istituzioni non esiste: non può comprare una casa perché il suo nome non compare da nessuna parte, non può chiedere la mano di Adriana Paleari per lo stesso motivo, non può denunciare un furto e così via. Perciò il fu Mattia Pascal è costretto a cancellare anche la vita di Adriano Meis “suicidandolo”, cioè inscenando un falso suicidio che liberasse Mattia da questa nuova gabbia che si era creato. Altro non resta al protagonista che rientrare nel suo paesino e scrivere le proprie memorie. La conclusione, il “sugo della storia”, è affidata alle parole di don Eligio Pellegrinotto verso la fine del romanzo: «fuori della legge […] non è possibile vivere».