Introduzione al Paradiso, terza cantica del poema Divina Commedia

Una nuova sfida poetica. Nella terza cantica Dante, accompagnato da Beatrice, la sua nuova guida, giunge in Paradiso a contemplare Dio e può cogliere la luminosa beatitudine di chi vive nella gloria dei cieli. Il viaggio nel terzo regno si articola in modo analogo a quello svoltosi nell’Inferno e nel Purgatorio, ma il Paradiso ha anche dei tratti a sé stanti e pone dunque nuove sfide poetiche.

Analogie e differenze con gli altri regni. Dante si trova con il suo corpo tangibile di essere umano a confrontarsi con un luogo immateriale, fatto di puro spirito e pura luce: è perciò costretto a vivere attraverso i sensi e a riportare tramite la lingua umana un’esperienza che va al di là dell’umano. Quindi il linguaggio stesso si affina e generalmente il tono diventa più sostenuto e alto per raccontare adeguatamente la condizione di beatitudine di cui Dante fa esperienza.

A differenza degli altri due regni l’analogia con il mondo terrestre cessa; allo stesso modo non c’è continuità spaziale con la Terra: mentre Inferno e Purgatorio sono collocati da Dante in luoghi della Terra stessa (il primo in una voragine sotto Gerusalemme e il secondo su di un monte nell’emisfero meridionale), il Paradiso è posto nei cieli.

La struttura del Paradiso. Il regno di Dio è costituito da nove cieli, nel rispetto delle teorie tolemaiche: ciascuno corrisponde a un pianeta del sistema solare così come allora era conosciuto, mentre l’ottavo e il nono cielo sono quelli delle stelle fisse e del primo mobile. Ciascun cielo è mosso da una intelligenza angelica. Al di sopra dell’ultimo cielo c’è l’Empireo, dove risiede Dio e tutt’intorno la rosa dei beati che contemplano la sua immagine. Più esattamente i beati risiedono nella Candida rosa, nel cui centro è posta la Vergine Maria. Non esiste quindi una vera gerarchia tra i beati, perché tutti godono di eguale misura della beatitudine e della grazia di Dio.

L’incontro con i beati. Il viaggio di Dante in questo luogo di pura luce è un attraversamento dei cieli, così come avvenuto per gli altri regni. In questo caso però, le anime si staccano dagli altri beati per attendere Dante nei cieli che più corrispondono all’esperienza spirituale vissuta sulla Terra dal personaggio incontrato. Per esempio, nel caso di Piaccarda Donati, la prima beata a parlare con Dante nel Paradiso, l’incontro si svolge nel primo cielo, quello della Luna, associato agli spiriti che non poterono adempiere ai voti.

Un percorso per gradi di conoscenza. Un modello per il viaggio verso Dio è offerto a Dante dall’Itinerarium mentis in Deum di Bonaventura da Bagnoregio, una sorta di percorso per gradi di conoscenza – da quella sensibile a quella intellettuale – che porta lo spirito alla rivelazione. È in virtù di questa progressiva acquisizione di conoscenza, mediata dalle anime dei beati e soprattutto dalle figure di San Bernardo e della Vergine Maria, che Dante può contemplare la Trinità.

Il tema dell’ineffabilità. Il canto XXXIII, l’ultimo dell’intera opera, è infatti anche quello in cui la poesia dantesca tocca le vette più alte della sua ispirazione e si scioglie in un’invocazione-preghiera alla Vergine, al fine di ottenere la sua intercessione presso Dio. È lo stesso canto in cui «A l’alta fantasia qui mancò possa» per essersi spinta così in alto: ciò che Dante vede è ineffabile, la parola cede, a testimonianza della minorità delle capacità umane al confronto con la divinità. Allo stesso tempo, l’incapacità di andare oltre è indice del già elevatissimo traguardo poetico raggiunto dall’autore con la Commedia, che qui merita a tutti gli effetti l’attributo di Divina.