Parafrasi canto 23 (XXIII) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto XXIII dell’Inferno – Dante e Virgilio attraversano la sesta bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti gli ipocriti, costretti a camminare sotto pesantissime cappe di piombo. Qui incontrano due frati Godenti e Caifa, insieme agli altri sinedri. Virgilio alla fine scopre l’inganno di Malacoda riguardo al ponte.

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Stando in silenzio, soli, senza nessuna altra compagnia
proseguivamo il nostro cammino in fila, l’uno davanti all’altro,
come sono soliti procedere i frati minori.

Era rivolto alla favola d’Esopo
tutto il mio pensiero, stimolato dalla rissa appena vista,
favola in cui Esopo racconta della rana e del topo;

perché le parole “mo” (adesso) e “issa” (adesso) non sono tra loro
identiche più della favola e della rissa, se si fanno coincidere
il principio e la fine di entrambe prestando bene attenzione.

E siccome da ogni pensiero ne nasce in modo naturale subito un altro,
così dal mio primo (la favola) ne nacque subito dopo un altro, che
mi fece provare una paura ancora maggiore a quella provata per i diavoli.

Pensai così: “Quei demoni, per causa nostra,
sono stati umiliati con un danno ed una beffa
tali, che credo siano alla fine rimasti assai infastiditi.

Se l’ira si aggiunge alla loro naturale malvagità, allora temo
che ci correranno dietro spinti da una crudeltà maggiore di quella
di un cane che riesce infine ad azzannare la lepre che sta inseguendo.”

Già sentivo tutti i miei capelli che si rizzavano in testa per la paura,
e stavo molto attento a quello che accadeva alle mie spalle,
quando alla fine dissi: “Maestro, se non metti al riparo

sia te che me il primo possibile, io temo che potremmo subire danni
dai demoni Malebranche: sono già sulle nostre tracce:
me li immagino tanto bene, che già li sento anche addosso.”

E Virgilio a me: “Se io fossi uno specchio, non riuscirei a ritrarre
la tua immagine esteriore meglio e più prontamente in me, di quanto
riesco adesso a definire i tuoi pensieri (la tua immagine interiore).

E proprio adesso i tuoi timori andavano ad aggiungersi ai miei,
con la stessa modalità e con la stessa espressione,
cosicché da entrambi ho quindi tratto una unica conclusione.

Se c’è un punto in cui la costa alla destra di questo argine declina,
così da poter scendere nella bolgia successiva, la sesta,
noi riusciremo allora a sfuggire all’inseguimento temuto.”

Virgilio ebbe appena finito di dare un tale consiglio,
che io li vidi venirci incontro con le ali tese ormai non molto lontani
da noi, con l’intenzione di prenderci con gli artigli.

La mia guida Virgilio allora mi afferrò immediatamente,
come una madre che si sveglia al rumore di qualcuno che grida
e vedendo vicine a sè le fiamme divampanti dell’incendio,

prende subito con sè il figlio e fugge via senza fermarsi un attimo,
avendo più cura di lui che di se stessa,
tanto che ha solo una camincia addosso, non bada neanche a vestirsi;

allo stesso modo, Virgilio, dalla cima dell’argine
si abbandonò supino, sulla schiena, lungo il declivio roccioso
che chiude uno dei due lati dell’altra bolgia.

Mai l’acqua corse così veloce lungo un canale
a far poi girare la ruota di un mulino fisso su terraferma,
quando più si avvicina alle sue pale,

come fece il mio maestro scivolando giù per il margine
della nuova bolgia, portando me sopra il suo petto,
come se fossi suo figlio e non il suo compagno.

Non appena i suoi piedi toccarono il fondo basso
della sesta bolgia, i Malebranche raggiunsero la cresta dell’argine
sopra di noi; ma ora non vi era oramai più motivo di aver paura;

perchè la suprema provvidenza di Dio che li ha voluti
come ministri della quinta bolgia,
toglie a tutti loro il potere di allontanarsene.

Laggiù ci trovammo di fronte gente con viso e abiti dipinti
che facevano il giro intorno alla bolgia con passi molto lenti,
piangendo e con un aspetto stanco e abbattuto.

Essi portavano indosso mantelli con cappucci tenuti bassi
davanti agli occhi, fatti sulla taglia
che si usa per i monaci di Cluny.

Esternamente sono tutti dorati, cosicchè abbagliano la vista;
ma dentro sono tutti di piombo, e tanto pesanti, che, in confronto
a quelle che Federico II faceva mettere ai traditori, sembravano di paglia.

Oh manto eternamente faticoso da portare!
Anche noi ci misimo di nuovoin moto verso sinistra
insieme a loro, tutti concentrati sulla loro triste pena;

ma a causa del peso che portava addosso, quella gente stanca
camminava così lentamente che noi avevamo al fianco nuovi
dannati ad ogni nostro passo fatto in avanti.

Perciò io dissi alla mia guida: “Fa’ in modo di trovare
qualcuno che si conosca di nome o per le sue opere, per le sue azioni,
e con lo sguardo, mentre ci muoviamo, cerca intorno a noi”.

E una di quelle anime, che capì la mia parlata toscana,
ci gridò dietro: “Frenate il passo,
voi che correte tanto in quest’aria offuscata!

Perché forse potrai già avrere da me quello che tu hai chiesto”.
Quindi Virgilio si voltò e mi disse: “Aspettalo,
e poi cammina tenendo il suo passo”.

Io mi fermai, e vidi due dannati mostrare col viso la grande fretta,
che avevano nell’animo, di stare in mia compagnia;
ma il carico e la via stretta li facevano tardare, li rallentavano.

Quando giunsero al mio fianco, mi guardarono per un po’ con gli
occhi di traverso a causa del cappuccio senza dire nessuna parola;
poi volgendosi l’uno verso l’altro e dissero:

“A guardare il moto della gola nel respirare, costui sembra vivo;
ma se invece son morti, per quale privilegio
possono camminare senza essere coperti dal pesante mantello?”.

Poi rivolgendosi a me dissero: “O Toscano, tu che fino al collegio
dei tristi ipociti sei giunto,
non rifiutarti ora di dirci chi sei”.

E io risposi loro: “Io sono nato e cresciuto
sulle belle rive dell’Arno, nella grande Firenze,
e sono qui con il corpo che ho sempre avuto.

Ma chi siete voi due, ai quali vedo venire giù
dalle guance così tanto dolore?
e che pena è la vostra che vi fa luccicare così tanto?”.

E uno dei due mi rispose: “Le cappe, dorate fuori,
sono fatte di piombo e sono talmente massicce che il loro peso
fa cigolare le nostre ossa come fossimo bilance.

Noi due in vita siamo stati frati Godenti, e siamo nati a Bologna;
Io sono Catalano e lui si chiama Loderingo,
e dalla tua terra fummo chiamati insieme ad amministrarla,

cosa che di solito è fatta da un uomo solo (il podestà), al fine di
ristabilire la pace; in realtà poi ci comportammo talmente male come
si può ancora vedere dalle rovine delle case degli Uberti, vicino alla torre del Gardingo”.

Io comiciai a dire: “O frati, i vostri mali..”;
ma non aggiunsi altro, perchè il mio occhio fu attratto
da un condannato crocifisso in terra con tre pali.

Quando egli mi vide, si contorse tutto,
soffiando nella barba con i suoi profondi sospiri;
e il frate catalano, che si accorse di questo,

mi disse: “L’uomo crocififfo che tu stai guardando
è Caifa, colui che consigliò ai Farisei che conveniva
mettere a martirio un uomo (Gesù Cristo) per il bene del popolo.

È posto così di traverso lungo la via, e nudo,
come tu lo vedi, così che possa sentire sul suo corpo
quanto pesa chiunque passi di qui.

E allo stesso modo è condannato a soffrire suo suocero
in questa fossa, e anche gli altri membri del Sinedrio che, condannando
Cristo, furono il seme malvagio che attirò l’ira di Dio sui Giudei”.

Allora vidi Virgilio meravigliarsi
guardando colui che era disteso in croce
ed esposto così alla derisione di tutti nell’eterno esilio.

Poi si rivolse al frate Catalano e pose questa domanda:
“Non vi dipiaccia dirci, se vi è possibile,
se a destra c’è un qualche varco

dal quale noi due possiamo uscire da qui,
senza costringere qualche diavolo
a venire a levarci da questo fondo”.

Rispose allora Catalano: “Più vicino di quanto tu non speri
c’è un sasso che partendo dalla grande cinta esterna di Malebolge
sovrasta tutte le feroci bolgie come un ponte,

tranne che sopra questa, perchè è rotto, e non ci passa quindi sopra:
potrete arrampicarvi su per le sue macerie,
che giaciono lungo la costa e dal fondo salgono verso l’alto”.

Virgilio stette un poco con il capo chino, meditabondo;
poi disse: “Quindi ha raccontanto falsamente come stanno le cose
Malacoda, colui che uncina i peccatori al di là della sesta bolgia”.

E il frate disse: “Già a Bologna sentii parlare
dei molti vizi del diavolo, tra i quali sentii dire anche
che egli è un bugiardo, anzi, è il padre della menzogna”.

La mia guida Virgilio si allontanò a grandi passi,
con l’aspetto un poco turbato dall’ira;
perciò anch’io mi allontanai da quei dannati sovraccarichi

seguendo le care orme del mio maestro.

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