Parafrasi canto 22 (XXII) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto XXII dell’Inferno – Dante e Virgilio proseguono il cammino attraverso la quinta bolgia, dei frodolenti, accompagnati dai demoni guidati da Barbariccia. Assistono alla cattura di Ciampòlo che, dopo aver detto loro di trovarsi insieme a Frate Gomita e Michele Zanche, sfugge ai demoni rituffandosi nella pece.

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Già mi capitò di vedere i cavalieri muoversi verso il campo,
e lanciarsi in combattimento e mettersi in assetto,
e qualche volta anche scappare, abbandonando il campo per mettersi in salvo;

di vedere drappelli fare ispezioni nella vostra terra,
o Aretini, e di vedere fare scorrerie, razzie,
e di vedere combattere nei tornei e correre nelle giostre;

e, a seconda dei casi, si davano segnali ora con trombe, ora con campane,
oppure con i tamburi e con bandiere o fuochi accesi dai castelli,
con modalità tradizionali nostrane oppure imparate dagli stranieri;

ma mai mi capitò di vedere con una così diversa cornamusa (come quella di
Barbariccia) mettere in moto cavalieri o pedoni,
e neppure navi che si muovessero per cenni di terra o per apparire di stelle.

Noi proseguivamo quindi il cammino con i dieci demoni:
ahi che terribile compagnia! ma è normale che in chiesa
ci siano i santi, e nelle taverne i golosi.

Stavo sempre attento anche alla pece,
per vedere tutte le condizioni della bolgia
e delle persone che dentro di essa ardevano.

Come fanno i delfini, quando lanciano segnali
ai marinai facendo emergere l’arco della loro schiena, così che abbiano
cura di mettere al sicuro la loro nave da una imminente tempesta,

allo stesso modo, a volte, per ridurre la sofferenza della loro punizione,
alcuni peccatori venivano a galla mostrando la schiena,
per reimmergerla di nuovo subito dopo, all’istante.

E così come sull’orlo dell’acqua di un fosso
se ne stanno le rane con solo la loro testa fuori all’aria,
celando in questo modo nell’acqua le zampe ed il grosso corpo,

allo stesso modo se ne stavano da tutte le parti i peccatori;
ma non appena si avvicinava loro Barbariccia,
(per evitare la punizione) subito si ributtavano dentro la pece bollente.

Vidi quindi, ed ancora il mio cuore rabbrividisce quando ci penso,
un dannato rimanere invece a galla, come fa ogni tanto una rana intontita,
quando ci si avvicina, mentra la sua vicina è già saltata via;

allora Graffiacane, che era il più vicino a quel miserabile,
con il suo uncino gli afferrò i capelli tutti ricoperti di pece
e lo tirò fuori dalla fossa, tanto che mi parve una lontra.

Io avevo già imparato il nome di tutti quei demoni,
avendoli notati quando furono chiamati uno ad uno da Malacoda,
ed, anche, quando si chiamavano, stavo attento a chi di loro rispondeva.

“Oh Rubicante, fa’ in modo di mettergli
addosso i tuoi unghioni, per scuoiarlo!”
gridarono tutti insieme quei maledetti demoni.

Ed io dissi allora a Virglio: “Maestro mio, se puoi, fai
in modo di conoscere il nome di quell’anima disgraziata
caduta nelle mani dei suoi nemici.”

La mia guida allora si avvicinò a lui;
chiedendogli di dove fosse, da dove venisse, e l’altro rispose:
“Io sono nato nella Navarra (in Spagna).

Fui messo al servizio di un signore locale da mia madre,
che mi aveva dato alla luce dalla relazione con furfante,
sperperatore dei propri beni ed anche della sua vita (suicida).

In seguito entrai nella corte del valoroso re Tebaldo:
e là mi misi a fare il barattiere;
di quelle mie azioni pago ore le conseguenze in questa pece calda.”

A quel punto Ciriatto, dalla cui bocca sporgevano,
una per parte, due zanne come ad un cinghiale,
gli fece sentire come (con la zanna) fosse capace di stracciare la carne.

La povere anima era finito come un topo tra gatte malvagie;
ma Barbariccia lo strinse tra le sue braccia, e disse agli altri:
“State lontani voi, mentre io lo tengo così, come inforcato.”

E al mio maestro Virgilio rivolse quindi la sua faccia:
“Fai le tue domande” disse, “adesso, se desideri sapere altro
da lui, prima che intervenga qualcun’altro e lo faccia a pezzi.”

La mia guida allora domandò: “Dimmi adesso: tra tutti i peccatori,
ne conosci tu qualcuno che sia stato italiano ed ora
si trova immerso nella pece?”. E quello rispose: “Io mi allontanai,

proprio poco fa, da uno che abitò vicino all’Italia:
potessi stare ancora immerso là nella pece insieme a lui!
non sarei ora qui a temere né le unghie né gli uncini.”

Allora Libicocco disse “Abbiamo già aspettato troppo”;
e gli afferrò quindi il braccio con il suo bastone uncinato,
in moda da, stracciando, strappargli un pezzo di carne viva.

Anche Draghignazzo volle afferrarne il corpo
in basso alle gambe; ma Barbariccia allora, loro comandante,
si volse tutti intorno verso di loro con modi molto più aggressivi.

Quando tutti i demoni si furono un poco calmati,
al peccatore, che stava ancora guardando la ferita subita,
Virgilio domandò senza esitare oltre:

“Chi è colui dal quale ti sei malauguratamente separato,
come hai detto tu di aver fatto, per finire poi su questa riva?”
Ed egli rispose: “È frate Gomita,

quello che abitava in Gallura, maestro di ogni tipo di truffa,
che, avuti in mano i nemici del suo padrone, lì tratto
in un modo che può ancora essere motivo di vanto per ciascuno di loro.

Ricevette del denaro e li lasciò liberi con un processo sommario,
come dice lui nel suo gergo (sardo); ma anche negli altri suoi incarichi
agì non solo come barattiere, ma come il re dei barattieri.

Insieme a lui si trova anche il signor Michele Zanche
di Logudoro; e di parlare della loro Sardegna
non si stancano mai le loro due lingue.

Ohimé, vedete anche voi l’altro demone che digrigna i suoi denti:
Io continuerei anche a parlare, ma temo che egli
si stia preparando a grattarmi la rogna di dosso.”

A queste parole Barbariccia, il grande capo, si rivolse a Farfarello
che stava stralunando gli occhi per vibrare il colpo e ferire Ciampòlo
e disse:”Fatti più in là, allontanati, uccellaccio maligno”.

“Se voi volete vedere e sentire”
riprese a parlare allora Ciampòlo, ripreso un poco il coraggio,
“anime Toscane o Lombarde, io ne farò venire a galla qualcuna;

ma è necessario che i diavoli Malebranche stiano un pò distanti,
cosicchè i miei compagni non abbiamo a temere la loro vendetta;
allora io, stando seduto in questo stesso posto in cui mi trovo,

pur trovandomi da solo, ne farò venire a riva sette, mettendomi
solo a fischiettare, come siamo soliti fare quando qualcuno
si tira a galla, fuori dalla pece, e vede che non ci sono pericoli.”

Cagnazzo, sentendo una simile proposta, alzò il muso scrollando
il capo in segno di disapprovazione, e disse: “Senti che inganno
si è inventato per riuscire a scapparci, ributtandosi nella pece.”

Ma Ciampòlo, che in fatto di inganni era un grande esperto,
rispose: “Se al limite inganno qualcuno, inganno i miei compagni,
che richiamo esponendoli a pericoli maggiori.”

Alichino non seppe allora trattenersi, e, in contrapposizione
agli altri demoni, disse all’anima: “Sappi che se tu ti getterai
giù nella fossa, io non ti correrò certo dietro,

ma verrò ad afferrarti volando veloce con le ali sopra la pece:
lasciamolo pure libero sull’argine e noi andiamo a nasconderci dietro
il pendio, e vediamo se da solo vale più di tutti noi.”

Oh lettore, sentirai adesso di una gara mai vista: ogni demonio si girò,
rivolgendo il proprio sguardo verso l’altro pendio della bolgia, primo
tra tutti Cagnazzo, che sembrava essere quello più difficile da convincere.

Ciampòlo, il navarrese, colse al volo il momento giusto:
puntò bene entrambi i piedi a terra e nello stesso istante
spiccò un salto, liberandosi da Barbariccia, il loro gran comandante.

Ogni diavolo si sentì punto dal rimorso,
ma più di tutto si sentì punto Alichino, che era stato la causa;
Perciò spiccò subito il volo gridando: “Ora ci sei! Sei mio”

Ma gli servì a poco: perché le sua ali non riuscirono a battere
in velocità la paura di Ciampòlo: questo si immerse subito nella pece,
l’altro dovette tirarsi dritto e tornare indietro a mani vuote:

non diversamente l’anatra, improvvisamente,
si tuffa sott’acqua quando sente avvicinarsi il falcone,
che torna su in alto nel cielo sconfitto e per questo adirato.

Calcabrina, arrabbiato per la beffa subita, volò subito
dietro ad Alichino sperando che Ciampòlo riuscisse a scappare,
così da poter attaccare lite con il compagno;

perciò, non appena il barattiere si fu messo al riparo sotto la pece,
rivolse subito i propri artigli verso Alichino,
lo afferò e lo trascinò così preso sopra il fosso.

Ma a sua volta Alichino si comportò da bravo rapace, riuscendo
ad afferrare a sua volta l’altro con i propri artigli, ed entrambi
caddero così nel bel mezzo della pece bollente.

Il calore spinse subito tutti e due a lasciare la presa;
ma non riuscirono comunque a sollevarsi dalla pece,
tanto avevano le ali ipiastrate ed appesantite.

Barbariccia allora, tanto addolorato per quanto era accaduto, così come
lo erano gli altri, fece volare quattro suoi demoni dalla riva opposta,
tutti dotati di bastoni uncinati, e velocemente,

da una parte e dall’altra, scesero lungo la riva fino alla pece:
allungarono i loro uncini verso i due demoni tutti invischiati;
che oramai erano già cotti dall’esterno fino al dentro;

e noi li lasciammo così, imbarazzati per l’accaduto.

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