Parafrasi canto 4 (IV) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto IV del Purgatorio – Dante e Virgilio iniziano la salita attraverso uno stretto sentiero. Il sommo poeta incontra l’amico Belacqua, pentitosi anche lui dei suoi peccati solo sul punto di morte.

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Quando su gioie o su dispiaceri,
che qualche nostra facoltà accoglie in sé,
la nostra anima si concentra completamente,

appare allora chiaro che non riesce più ad occuparsi di nessuna
altra funzione; e ciò è contrario a quel modo sbagliato di
credere che in noi esistano più anime sovrapposte tra loro.

Perciò, quando si ascolta o si vede qualcosa
che attrae fortemente l’anima a sé,
il tempo passa senza che l’uomo se ne accorga;

perché la potenza intellettiva, che ascolta e vede, è una, ed è
un’altra, la potenza sensitiva, quella che occupa l’anima intera:
la prima è legata all’anima, l’altra le è invece separata, quindi non attiva.

Di questo fenomeno io ho avuto un diretta esperienza,
ascoltando lo spirito di Manfredi e meravigliandomi delle sue
parole; dal momento che ben di cinquanta gradi era salito

in cielo il sole, senza che io me ne accorgessi, quando
giungemmo in un luogo in cui quelle anime all’unisono
ci gridarono: “Questo è il luogo che ci avete chiesto”.

Un’apertura di dimensioni maggiori spesso viene ricoperta
con un mucchietto di pruni spinosi
dal contadino, quando l’uva comincia a maturare,

rispetto al sentiero per il quale cominciò a salire
la mia guida, ed io dietro a lui, e rimanemmo così soli,
non appena la schiera di anime si allontanò da noi.

A San Leo si sale ed a Noli si scende,
sui monti Bismantova e Cacume ci si arrampica
soltanto a piedi; ma in quel punto bisognava volare;

intendo volare con le veloci ali piumate
del desiderio di purificazione, dietro a quel condottiero
che mi dava speranza e mi illuminava la strada.

Salivamo attraverso quello stretto sentiero scavato nella
roccia, stretti da ogni parte dalle sue pareti laterali, ed
il fondo era tanto ripido da richiedere l’uso di mani e piedi per salire.

Non appena fummo arrivati al limite superiore
dell’alto pendio, su una spianata scoperta,
chiesi a Virgilio: “Mio maestro, che direzione prenderemo adesso?”

E lui mi rispose: “Nessun tuo passo sia in discesa, sali;
continua a procedere verso l’alto stando dietro a me,
finché non avremo incontrato qualcuno che sappia guidarci.”

La sommità del monte si trovava tanto in alto da non poter
essere vista, e l’inclinazione del pendio molto superiore
ai quarantacinque gradi.

Ero oramai affaticato e cominciai pertanto a dire:
“Mio caro padre, voltati a guardare
come resto distanziato da te se non ti fermi un momento.”

Mi disse lui “Figliolo mio, arrampicati fino a qui”,
indicandomi un luogo pianeggiante poco più in alto,
che girava intorno a tutto quel lato del monte.

Le parole della mia guida mi incitarono a tal punto
che avanzai a carponi dietro a lui con gran fatica,
fintanto che non arrivai ad avere sotto i piedi il ripiano.

Ci sedemmo lì entrambi
volgendoci ad Est, da dove eravamo saliti,
direzione verso la quale porta bene guardare.

Dapprima rivolsi lo sguardo in basso verso la spiaggia;
dopo li alzai verso il sole, e mi meravigliai di vedere
che i suoi raggi ci colpivano da sinistra.

Si rese ben conto il poeta Virgilio del fatto che stavo
rivolto, immobile per lo stupore, verso il sole,
che passava tra noi ed il Nord.

Mi disse pertanto: “Se Castore e Polluce, la costellazione dei
Gemelli, si trovassero in compagnia del sole, che illumina
con la sua sua luce entrambi gli emisferi della terra,

tu vedresti la parte più rossa dello Zodiaco, quella con il sole,
ruotare vicino all’orsa Maggiore e Minore,
se non uscisse dal suo eterno corso.

Come possa accade ciò che vedi ora, se vuoi provare a
pensarci, concentrati bene e prova ad immaginare che
Gerusalemme e questo monte stanno sulla terra

in modo tale che entrambi hanno un solo orizzonte
anche se emisferi diversi; perciò il percorso del sole, la strada
che Fetonte non fu capace di percorrere, con suo danno,

vedrai ora come debba procedere verso questo monte
da una parte, quando procede verso Gerusalemme dall’altro,
se la tua intelligenza si concentra al punto da vedere chiaramente la verità.”

Risposi io a lui: “Certo, mio maestro, non
ho mai visto così chiaro come vedo adesso, proprio
su una questione per cui la mia mente sembrava insufficiente,

che il cerchio mediano del moto celeste, che
viene chiamato Equatore dall’astronomia, e la cui posizione
è sempre a metà tra il sole e l’emisfero in cui è inverno,

per la ragione che mi hai spiegato, dista da noi
verso il Nord, tanto quanto gli Ebrei di Gerusalemme
lo vedono distante guardando a Sud.

Ma sei hai il piacere di dirmelo, vorrei molto volentieri
sapere per quanto dobbiamo ancora salire; perché il monte si
innalza in cielo più di quanto possano fare i miei occhi.”

Mi rispose allora Virgilio: “Questo monte ha una fisionomia
tale da risultare molto difficile da scalare nella sua prima parte;
ma quanto più si sale in alto, tanto minore sarà la difficoltà.

Perciò, quando la salita ti sembrerà tanto piacevole
che l’arrampicarti ti risulterà tanto facile
quanto lo è il navigare seguendo la corrente,

allora saprai di essere giunto alla fine di questo sentiero;
aspetta di essere a quel punto per riposarti delle fatiche.
Non so dirti altro, ma sono certo di ciò ti ho appena rivelato.”

E non appena Virgilio ebbe completato il suo discorso,
una voce risuonò vicino a noi: “Forse
avrai bisogno di sederti prima di aver raggiunto la vetta!”

Nell’udire queste parole, ci voltammo entrambi
e vedemmo alla nostra sinistra un grande masso
del quale non ci eravamo accorti prima né io né Virgilio.

Ci avvicinammo al macigno; e lì vidimo delle anime
che sostavano all’ombra del masso,
nell’atteggiamento tipico che l’uomo assume per pigrizia.

E una di loro, che all’apparenza sembrava stanca,
si abbracciava le ginocchia stando seduta,
e tra di esse vi nascondeva il viso.

Dissi allora a Virgilio “Mia dolce guida, guarda
quello spirito che mostra più apatia
di quanta ne potrebbe avere se la pigrizia fosse sua sorella.”

Allora quell’anima rivolse lo sguardo verso di noi e ci guardò
con attenzione, sollevando il viso appoggiato sulla coscia,
e disse: “Sali pure tu, che sei così bravo!”

Riuscii allora a riconoscerlo, e quell’affanno
che mi accelerava ancora il respiro,
non mi impedì comunque di andare da lui; e dopo

che l’ebbi raggiunto, lui alzò a fatica la testa
e mi disse: “Hai ben compreso il motivo per cui il sole
sale in cielo da sinistra?”

I suoi movimenti pigri e le sue poche parole
mi spinsero ad un piccolo sorriso;
poi cominciai a dire: “Belacqua, non mi dispiace

oramai più per te, dal momento che ti vedo qui; ma dimmi:
perché te ne stai qui seduto? Stai forse aspettando una guida,
oppure hai semplicemente ripreso la tua vecchia abitudine?”

Mi rispose lui: “Fratello, a che cosa mi può servire salire?
Dal momento che non mi lascerebbe entrare, a subire i
tormenti dell’espiazione, l’Angelo di Dio che sta a guardia della porta del Purgatorio.

Prima che io entri in Purgatorio, è necessario che il cielo si
muova intorno a me, mentre sto fuori dalla porta, tante volte
quanti furono i miei anni di vita, poiché rimandai agli ultimi istanti il mio pentimento,

a meno che non mi aiuti ad entrare prima una preghiera
che, recitata da un’anima in grazia di Dio, salga fino al cielo;
un’altra preghiera a che servirebbe, non venendo ascoltata in Cielo?

Ma già il poeta Virgilio ricominciava a salire
e mi diceva: “Seguimi dai; vedi
che il sole è già sul meridiano e che la costa

del Marocco sta già per essere coperta dall’orlo della notte.”

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