Parafrasi canto 23 (XXIII) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto XXIII del Purgatorio – La sesta cornice accoglie i golosi: smagriti dal forte desiderio di bere e di mangiare suscitato in loro da alberi a forma di cono rovesciato. Dante incontra l’amico Forese Donati, che inveisce contro i cattivi costumi delle donne del suo tempo.

Leggi il testo del canto 23 (XXIII) del Purgatorio di Dante


Mentre fissavo il mio sguardo sul verde fogliame,
con una attenzione simile a quella del cacciatore, che è solito
perdere il suo tempo stando dietro agli uccellini,

Virgilio, che è più che un padre per me, mi disse: “Figliolo,
seguimi adesso, perché il tempo che ci viene concesso
deve essere impiegato in modo più utile.”

Rivolsi allora il mio sguardo, e non meno in fretta anche i miei
passi, dietro alle due sagge anime, che parlavano in modo tale
che il camminare non mi costava alcuna fatica.

In quel momento si udirono lamenti misti ad un canto
‘Labia me, Domine’ di dolcezza tale
da fare nascere allo stesso tempo gioia e dolore.

“Buon padre, spiegami che cos’è quello che sento?”
chiesi a Virgilio; e lui mi rispose: “Sono spiriti che percorrendo
la cornice pagano il loro debito con Dio.”

Come fanno i pellegrini, chiusi nei loro pensieri, che quando
incontrano persone sconosciute durante il loro viaggio,
si limitano ad accompagnarle con lo sguardo senza fermarsi,

così da dietro a noi, muovendosi più in fretta, ci osservava
stupita, continuando a comminare per poi superarci,
quella folla di anime silenziose ed intente a pregare Dio.

Ogni anima aveva gli occhi infossati e perciò scuri,
ognuna aveva il volto pallido e tanto magro
che la pelle aveva ormai assunto la forma delle ossa.

Non credo che fino a tal punto, tanto da lasciare la sola pelle,
si fosse seccato Eresitone,
a causa del suo lungo digiuno, quando più ne ebbe paura.

Dicevo a me stesso, meditando su ciò che vedevo: “Ecco
come doveva essere ridotto il popolo ebraico che perse
Gerusalemme, quando una donna di nome Maria sbranò il proprio figlio spinta dalla terribile fame!”

Le loro occhiaie sembravano castoni di anelli senza gemme:
chi nel viso degli uomini legge la parola ‘OMO’
avrebbe potuto riconoscere in loro in modo chiaro la lettera M.

Chi avrebbe mai potuto credere, senza sapere come,
che il profumo di un frutto potesse ridurre un uomo
in tali condizioni, e lo stesso potesse fare l’acqua, producendo un intenso desiderio?

Riflettevo con stupore su che cosa potesse renderli tanto
affamati, poiché non conoscevo ancora la ragione
della loro magrezza e della pietosa secchezza della loro pelle,

quando, dal profondo della sua testa,
un’ombra rivolse verso di me i suoi occhi e mi guardò fisso;
gridò poi forte: “Chi vedo, quale grazia mi è concessa?”

Non avrei mai potuto riconoscerlo solo guardandolo in viso;
fu la sua voce a rendermi nota la sua identità,
ciò che l’aspetto in se stesso aveva eliminato.

La sua voce fu la scintilla che riaccese in me
la fiamma della conoscenza di quel volto tanto trasformato,
e riconobbi quindi la faccia di Forese Donati.

“Non fare caso alla secca scabbia
che cancella i miei lineamenti”, mi pregava lo spirito,
“né alla mia magrezza, alla mancanza di carne del mio corpo;

raccontami piuttosto di te, dimmi chi sono quelle
due anime che ti accompagnano nel tuo viaggio;
non restare in silenzio, parlarmi!”

“Il tuo viso, che piansi già quanto moristi, mi fa piangere
anche ora, procurandomi un dolore non minore”,
risposi a lui, “poiché lo vedo così sfigurato.

Dimmi perciò, per amore di Dio, che cosa vi scarnifica in
questo modo; non farmi parlare di me mentre sono ancora
vinto dallo stupore, perché chi è distratto da un desiderio ancora insoddisfatto non riesce a parlare d’altro.”

Mi disse Forese: “Dall’alto della volontà divina
scende un potere nell’acqua e nella pianta che abbiamo
ormai superato, che è la causa della mia magrezza.

Tutte queste anime che cantano tra i lamenti, per avere
in vita inseguito i piaceri della gola oltre ogni misura,
riacquistano ora qui la purezza soffrendo la fame e la sete.

Accendono il nostro desiderio di bere e mangiare
i profumi emanati dai frutti e dal getto d’acqua
che bagna il fogliame dell’albero.

E non solo per una volta, mentre percorriamo questo spiazzo
circolare, si rinnova la nostra sofferenze, ma continuamente:
uso il termine sofferenza ma dovrei parlare di piacere,

perché ci spinge verso questi alberi lo stesso desiderio
che indusse Cristo ad invocare Dio con gioia sul monte Golgota
quando liberò gli uomini dal peccato con il suo sangue.”

Dissi allora io a lui: “Forese, dal giorno
in cui passasti a miglior vita ad oggi,
non sono ancora trascorsi cinque anni.

Se in te la possibilità di commettere peccato ebbe fine prima
che arrivasse l’ora dell’ultimo pentimento, del giusto dolore
che, staccando l’uomo dal peccato, lo ricongiunge a Dio,

come mai sei già arrivato quassù? Io credevo di incontrarti
laggiù di sotto, nell’antipurgatorio, dove si deve passare
tanto tempo quanto è stato quello vissuto nel peccato.”

Mi rispose allora Forese: “Mi ha condotto così presto
a gustare la dolce amarezza della pena,
mia moglie Nella, con il suo pianto dirotto.

Con le sue preghiere devote e con i suoi sospiri mi ha tolto
dalla costa dell’antipurgatorio, dove le anime attendono la loro
pena, e mi ha anche liberato dalla permanenza in altre cornici.

Tanto è più cara a Dio e tanto da lui più amata
la mia dolce vedova, che tanto amai quando fui in vita,
quanto più  è sola ad agire correttamente;

perché la Barbagia della Sardegna
può vantare donne più oneste e pudiche
della Barbagia di Firenze, in cui morendo l’ho lasciata.

Caro fratello, che cosa vuoi che ti dica?
Posso già vedere un tempo futuro non molto lontano,
rispetto al quale il presente non sarà così antico,

in cui dal pulpito delle chiese sarà proibito
alle sfacciate donne fiorentine
di camminare mostrando con ostentazione il proprio seno.

Quali donne barbare, quali donne saracene ci furono mai
che per farle andare in giro coperte dovessero essere convinte
con pene spirituali o di altro tipo?

Ma se queste donne senza vergogna potessero sapere
ciò che il Cielo prepara a breve per loro, avrebbero già,
ancor prima di subire la pena, la bocca spalancata per urlare;

perché, se la mia capacità di preveggenza non mi inganna,
avranno motivo di essere infelici in un tempo più breve di
quello che impiega un bambino in fasce per mettere la barba.

Ma adesso, fratello, non nascondermi più la natura del tuo
viaggio! Vedi come non solo io ma anche tutte le altre anime
osservano con meraviglia come il tuo corpo faccia da scudo ai raggi del sole.”

Risposi pertanto a lui: “Se richiami alla memoria come
ci comportavamo, come operavamo quando eravamo amici,
il ricordo ti sarà ancora amaro.

Mi salvò da quella vita questo spirito
che cammina davanti a me, lo fece l’altro ieri, quando
la lune era piena, era tonda in cielo la sorella di costui”,

e dicendo costui indicai il sole; “questo spirito mi ha condotto
attraverso le tenebre profonde che avvolgono i morti,
con questo mio corpo materiale, che lo segue.

Da lì mi hanno tirato fuori i suoi consigli, salendo e girando
intorno al monte del Purgatorio, che raddrizza voi, che
siete stati stortati dagli errori commessi in vita, nel mondo.

Dice che mi sarà da guida
fino al luogo in cui ci sarà Beatrice ad aspettarmi;
da lì in poi conviene che continui il viaggio senza di lui.

Virgilio è questo spirito, che queste cose mi ha detto”,
e così dicendo lo indicai all’amico; “e quell’altro e colui
per il quale poco fa ha tremato ogni pendio

del vostro regno, perché ormai, essendosi lui purificato, lo allontana da sé.”

 < Parafrasi Canto 22 Parafrasi Canto 24 >