Parafrasi canto 20 (XX) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto XX del Purgatorio – Lasciato Adriano V il poeta Dante incontra Ugo II Capeto che si sfoga con lui elencando tutti i delitti commessi dalla sua stirpe. All’improvviso il monte del Purgatorio è scosso da un terremoto e tutte le anime intonano il canto Gloria in excelsis Deo. Dante non comprende il senso di quell’avvenimento e riprende preoccupato il suo cammino.

Leggi il testo del canto 20 (XX) del Purgatorio di Dante


La volontà non può vincere contro una volontà superiore, più forte;
così che, contro ogni mio desiderio, per fare come lui voleva,
mi allontanai insoddisfatto (allontanai dall’acqua la spugna ancora asciutta).

Mi rimisi in cammino; e la mia guida Virgilio si rimise in cammino con me
attraverso gli spazi liberi, non occupati dalle anime sdraiate, tendosi
stretto alla parete rocciosa, così come ci si tiene attaccati alla merlatura quando si cammina lungo una cinta muraria;

perché le anime degli avari, che espiano lacrima dopo lacrima
quel male, quel vizio che ha oramai invaso tutto il mondo,
si trovavano dall’altra parte, troppo vicino al bordo esterno della cornice.

Che tu possa essere maledetta, lupa (avidità) di antiche origini, perché
hai fatto più vittime di tutte le altre bestie, di qualunque altro vizio,
spinta dalla tua fame infinita, insaziabile!

Oh cielo, il cui girare alcuni credono sia capace
di provocare i mutamenti nelle condizioni di vita nel mondo terrestre,
quando verrà chi potrà fare andare via questa bestia?

Noi proseguivamo il nostro viaggio con passi lenti e corti,
ad io osservavo ed ascoltavo con attenzione le anime, che sentivo
piangere e lamentarsi tanto da farmi impietosire;

e mi capitò di sentire le parole “Dolce Maria!”
essere pronunciate, poco davanti a noi, tra il pianto
con una voce simile a quella di una donna che sta partorendo;

ed in seguito “Tu sei stata tanto povera,
quanto possiamo vedere, intendere da quella stalla
nella quale hai deposto il bambino nato dal tuo santo parto.”

E poco dopo sentii dire anche: “Oh buon Fabrizio,
hai voluto vivere nella povertà ma come uomo onesto
piuttosto che possedere una grande ricchezza ma vivere nella corruzione.”

Queste parole mi erano piaciute a tal punto, che mi mossi
subito per riuscire a conoscere quello spirito
dal quale sembravano essere venute, che sembrava averle pronunciate.

Quello spirito parlava ancora del generoso dono
che San Nicolò fece alle tre giovani vergini,
affinché la loro giovinezza non fosse disonorata.

“Oh anima, che stai decantando esempi di generosità tanto belli,
dimmi chi sei stato in vita”, chiesi, “e perché sei la sola anima
a richiamare alla memoria questi comportamenti degni di lode.

Sappi che la tua risposta non resterà senza ricompensa, se io potrò
mai ritornare nel mondo dei vivi, a ripercorrere quel breve percorso
della vita terrena che rapido arriva alla sua fine.”

E lui a me: “Io ti darò una risposta, ma non per il compenso che potrei
aspettarmi di ricevere al tuo ritorno di là, ma perché vedo risplendere
così tanto in te la Grazia divina, prima ancora che tu sia morto.

Io sono stato la radice (il capostipite) di quell’albero (famiglia) malvagio
che ora danneggia tutto il mondo cristiano,
tanto che raramente da essa si può raccogliere un buon frutto.

Ma se le città di Douai, Lille, Gand e Bruges potessero,
fossero in grado, questa sua malvagità verrebbe subito punita;
ed io chiedo che accada a colui che tutto giudica.

Il mio nome in vita è stato Ugo Capeto;
da me sono discesi i Filippi ed i Luigi
da cui attualmente la Francia è governata.

Ero figlio di un macellaio di Parigi:
quando l’antica dinastia dei sovrani si estinse completamente,
tranne che per un discendente fattosi frate (che mise panni grigi),

mi trovai strette tra le mie mani le redini per guidare
sia il governo che il regno, ed una così smisurara potenza
derivante dalle nuove conquiste, ed una così ampia cerchia di amici,

che la corona rimasta vacante fu posta
sulla testa di mio figlio, dal quale
discese poi tutta la dinastia dei re consacrati (i Filippi ed i Luigi).

Finché il dominio della Provenza, ricevuto in dote da mia moglie,
non tolse ai miei discendenti la capacità di contenere i propri impulsi,
la dinastia aveva scarso valore, ma almeno non commetteva male alcuno.

Da lì iniziò però poi a compiere usando la forza e l’inganno
le sue rapine; ed in seguito, per espiare tale peccato,
estese il suo dominio sul Ponthieu, sulla Normandia e sulla Guascogna.

Carlo I d’Angiò venne in Italia e, per penitenza,
fece sua vittima, uccise, Corradino; e poi
rispedì anche in cielo Tommaso, sempre per penitenza.

Vedo che arriverà un giorno, non molto lontano da oggi,
in cui un altro Carlo uscirà fuori dai confini della Francia,
per far meglio conoscere il valore suo e dei suoi uomini.

Uscirà senza nessuna arma ma solo con la lancia (l’astuzia e l’inganno)
che fu in passato già utilizzata da Giuda, e la punterà
con una tale precisione da fare scoppiare la pancia a Firenze.

Pertanto, nessun dominio territoriale, ma solamente colpa e vergogna
guadagnerà con questo suo operare, tanto più grave per sé
quanto meno reputa valere una simile punizione.

L’altro Carlo (Carlo II d’Angiò), che era già uscito dalla Francia su di una
nave, come prigioniero, lo vedo vendere sua figlia e contrattare sul prezzo
così come fanno i corsari con le figlie degli altri catturate e fatte schiave.

Oh avidità, che cosa puoi fare peggio di così,
dopo che la mia discendenza, la mia stirpe hai tirato a te a tal punto
che non ha ora più cura nemmeno dei propri parenti stretti?

Ma perché sembri meno grave il male che verrà fatto e quello già compiuto,
vedo anche entrare nella cittadina di Anagni il giglio di Firenze,
e vedo Cristo essere catturato nella persona del suo vicario in terra, il papa.

Le vedo venire deriso ancora una volta;
lo vedo subire nuovamente l’offesa dell’aceto e del fiele,
ed essere infine nuovamente ucciso in mezzo a ladroni vivi.

Vedo il nuovo Pilato (Filippo il Bello) essere tanto crudele
da non sentirsi appagato da questa morte, e, senza permesso,
dirigere le vele della sua avidità contro l’ordine dei Templari.

Oh mio Signore, quando potrò finalmente gioire
nel vendere punita tanta crudeltà che, nascosta agli uomini,
rende più dolce la tua ira nella tua mente per noi inesplorabile?

Quanto ho prima detto parlando della Madonna, unica sposa
dello Spirito Santo, e che ti ha spinto
a rivolgerti verso di me per chiedermi delle spiegazioni,

è il canto liturgico alternato alle nostre preghiere recitate
per tutta la durata del giorno; ma non appena cala la notte, citiamo
esempi di valore opposto rispetto a quelli (esempi di virtù) che hai udito.

Durante le ore della notte ripetiamo esempi di avidità punita, come
Pigmalione, che traditore, ladro e assassino dei suoi stessi parenti
fu reso dal suo desiderio sfrenato di ricchezze;

e l’infelicità dell’avido re Mida, che fu
la conseguenza del suo continuare a chiedere in modo insaziabile,
per la quale (infelicità) conviene mettersi sempre a ridere.

Del folle Acan ciascuno di noi poi si ricorda,
che derubò i resti della citta di Gerico, così che l’ira
di Giosué sembra colpirlo ancora anche qui nel mondo dei morti.

Denunciamo quindi l’avvidità di Saffira e di suo marito;
lodiamo i calci che si prese Eliodoro come punizione;
e con disonore gira per tutto il monte del Purgatorio

il nome di Polinestore, che uccise Polidoro;
in ultimo gridiamo: “Crasso,
dicci, tu che lo sai: quale sapore ha l’oro?”

A volte uno di noi parla a volce alta ed un altro a voce bassa,
a seconda della forza dell’amore che ci spinge nel proseguire con le parole
una volta con una maggiore ed un’altra con una minore intensità:

pertanto, nell’elencare esempi di virtù, dei quali ci si ricorda durante
il giorno, io non ero da solo poco fa; ma, semplicemente, accanto a me
nessun’altra persona lo faceva come me, alzando la voce.”

Io e Virgilio ci eravamo già allontanati da quello spirito,
e cercavamo in ogni modo di percorrere la strada
quanto più velocemente ci era consentito,

quando io sentii, come se stesse franando qualcosa,
tremare tutto il monte del Purgatorio; e fui colto così da un gelo
simile a quello che si impadronisce di chi va incontro alla sua morte.

Non tremò certamente così tanto l’isola di Delo,
prima che Latona la scegliesse come sua dimora
dove partorire i figli Apollo e Diana, i due occhi del cielo.

Poi da ogni parte si alzò improvvisamente in cielo un grido
tanto forte, che il mio mestro si rivolse e si avvicinò a me, dicendomi,
per tranquillizzarmi: “Non temere, intanto che ci sono io come tua guia.”

“Gloria in excelsis Deo” intonavano tutte le anime presenti,
per quello che potei cogliere da quelle a me vicine,
le parole delle quali potevano essere da me meglio comprese.

Io e Virgilio stavamo immobili ed in attesa,
come fecero i pastori che per primi udirono quello stesso canto a Betlemme,
fintanto che il monte smise di tremare ed il cantare venne interrotto.

Ci riavviammo quindi lungo il nostro cammino santo,
facendo attenzione alle anime che giacevano sdraiate a terra
e che, dopo il canto, erano già tornate al loro abituale pianto.

Mai nessuna ignoranza, mancanza di conoscenza, con una tale tormento
mi fece ardere dal desiderio di sapere,
se la mia memoria non mi inganna.

quanto mi sembrò di esserlo allora ripensando ai fatti poco prima accaduti;
non osavo domandare niente a Virgilio, vista la fretta che aveva di andare,
ma non riuscivo nemmeno a capire da solo cosa poteva essere successo:

e non potei così fare a meno di camminare tutto timoroso e pensieroso.

 < Parafrasi Canto 19Parafrasi Canto 21 >