Riassunto canto 43 (XLIII) del poema Orlando Furioso

Rinaldo afferra la brocca che gli può fare sapere se la sua donna gli è fedele o meno, ma dopo aver riflettuto su quanto possa essere pericolosa la verità, rifiuta l’offerta, dicendo che è folle cercare una cosa che non si vuole trovare, soprattutto quando si sta bene con ciò che si crede. Il signore del palazzo scoppia in pianto, maledice chi l’aveva convinto a tentare la prova, mettendo così in dubbio la fedeltà della sua moglie, ed inizia poi a raccontare la sua storia.

Se la fortuna non l’aveva fatto nascere ricco, la natura gli aveva fatto dono di una singolare bellezza.
Nella sua stessa città aveva vissuto un uomo molto saggio che passò da solo tutta la vita, ad eccezione degli ultimi anni, durante i quali convinse con del denaro una donna a concedersi a lui, rinunciando alla propria verginità. Da lei ebbe quindi una figlia. L’uomo, non volendo che la figlia fosse simile alla madre, fece costruire a dei demoni per incantesimo quel ricco palazzo in un luogo solitario e lì si trasferì con la bambina. Fece quindi anche ritrarre in tutto il palazzo donne, del passato e del futuro, che fossero da esempio alla ragazza per essersi opposte ad un amore peccaminoso.
Quando la figlia, molto bella, saggia e dolce, raggiunse l’età per sposarsi, il signore del castello, allora ragazzo, venne ritenuto essere l’unico degno di diventarne lo sposo.

Erano al quinto anno di matrimonio quando una nobile donna della vicina città, che conosceva la magia, si accese di passione per il cavaliere. Il signore amava però a tal punto la sua donna, e tanto si fidava della sua fedeltà, che non cedette mai alle richieste della maga, di nome Melissa.
La maga iniziò però a fare cedere la fiducia dell’uomo nella sua donna. Gli disse che la sua fedeltà era conseguenza forzata del fatto che non poteva incontrare nessun altro uomo. Gli propose quindi di lasciarla sola nel castello, così da poter conoscere la sua vera natura. Melissa consegnò quindi al cavaliere quella brocca, dicendogli che sarebbe servita a mostrargli l’esito della prova.
Dal momento che l’uomo trovò difficile allontanarsi dall’amata per più di poche ore, la maga propose di fargli assumere le sembianze di un giovane e bel cavaliere, governante di una vicina città, Ferrara, che, innamorato di sua moglie, più volte si era fatto avanti con proposte amorose ed altrettante volte era stato cacciato indietro. Il cavaliere del palazzo fece come la maga gli propose e poté così vedere la moglie cedere alle lusinghe di un altro uomo. Riprese le sembianze originali, il marito accusò la donna di essere disposta a tradirlo. Lei inizialmente si vergognò per la situazione, poi si arrabbiò per il gesto del marito ed infine si accese di odio per lui. Raggiunse quella stessa note il cavaliere di Ferrara ed ancora oggi è là con lui.
Melissa era stata inizialmente contenta dell’esito della vicenda, visto però che l’odio nei suoi confronti cresceva nel cuore dell’uomo da lei amato, alla fine non poté fare altro che allontanarsi dalla città.
L’uomo soffre per il suo gesto e trova come unica consolazione il fatto che tutti i cavalieri ai quali aveva offerto la brocca non era riusciti a bere una sola goccia di quel vino.

Rinaldo non dorme presso il palazzo ma, su offerta del cavaliere, per guadagnare strada nella notte, si corica su di una barca posta nel fiume Po e spinta dai remi di sei servitori. Il mattino dopo il paladino passa presso la città di Ferrara, riporta alla mente i discorsi fatti dal cugino Malagigi, che, utilizzando le sue arti magiche, aveva previsto la ricchezza e la fama futura di quella città, e rimane così sorpreso del netto cambiamento che attende quel luogo paludoso.

Il cavaliere cristiano ripensa poi ancora alle vicende del signore del palazzo in cui era stato ospite la sera prima. All’inizio è quasi pentito di non essersi sottoposto alla prova, ma poi è contento della scelta fatta. Il gioco è troppo pericoloso: troppo bassa la vincita in confronto alla pesante perdita a cui si poteva andare incontro.
Capiti i pensieri del paladino, uno degli uomini dell’imbarcazione dice che quel signore avrebbe dovuto fare tesoro di quanto era già accaduto in precedenza nella vicina Mantova. Il marinaio racconta quindi a Rinaldo la storia di Adonio.

Tanto tempo prima a Mantova era vissuto un avvocato di nome Anselmo, molto geloso della sua bella moglie. Della stessa donna era però innamorato anche un nobile cavaliere di nome Adonio, che per conquistarla dilapidò nel giro di due anni tutto il suo patrimonio.
Finito ormai in miseria l’uomo abbandonò quindi la città. Mentre si allontanava incontrò un contadino intento a dare la caccia ad un serpente con l’intenzione di ucciderlo. Adonio intervenne, essendo la serpe il simbolo della sua stirpe (nata dai denti del drago Cadmo), e riuscì anche a fare desistere l’uomo dal dare noia all’animale.

Anselmo era stato nel frattempo scelto per stare, per un certo periodo di tempo, presso il santo Papa come ambasciatore. Prima della partenza l’avvocato aveva cercato in ogni modo di convincere la moglie, di nome Argia, a rimanergli fedele. Lei, piangendo la sua partenza, aveva giurato di preferire la morte piuttosto che essergli infedele.
Anselmo, pur credendo alla disperazione della donna, interrogò comunque un suo amico, capace di prevedere il futuro attraverso le stelle, per sapere come si sarebbe comportata la moglie durante la sua assenza. Gli astri del cielo dissero chiaramente che Argia avrebbe rotto il patto di fedeltà subito dopo la sua partenza, per denaro. Per cercare di rimediare alla profezia l’uomo consegnò alla moglie tutti i suoi averi, dandole il loro pieno potere, a patto che al suo ritorno si faccia trovare ancora casta. Anselmo mandò anche Argia a vivere in campagna, sicuro che la povertà dei contadini e degli allevatori non potesse minacciarne la fedeltà.

Adonio, irriconoscibile per la lunga barba e per gli umili vestiti, spinto dal desiderio di rivedere la donna, tornò nel frattempo a Mantova e, nel luogo dove era intervenuto in aiuto del serpente, incontrò quindi una donzella. La ragazza disse di essere la fata Manto, fondatrice di Mantova, nata anche lei dai denti del drago Cadmo. Essendo fata, Manto è immortale, ma ogni sette giorni si trasforma in un serpente e come tale rischia ogni volta di subire le percosse degli uomini. La ragazza ringraziò quindi il cavaliere di averla salvata sette anni prima da un contadino (era lei la serpe) e per ricompensarlo gli donò tre volte tanto il suo patrimonio iniziale, lo indirizzò verso la villa dove si trovava Argia e gli diede il suo aiuto per fare sua l’amata.
Trasformato lui in un pellegrino e lei stessa in un cane che ubbidisce ed esegue ogni ordine del padrone, i due andarono a fare il loro spettacolo nelle proprietà dell’avvocato Anselmo e lasciarono tutti a bocca aperta. Argia fece chiedere il prezzo di quel bellissimo cane. Adonio fece vedere che il cane poteva far comparire, scuotendosi, qualunque oggetto prezioso; disse perciò che non poteva essere comprato con denaro e propose infine di volerglielo offrire in cambio di una notte passata insieme.
La donna ,dopo un primo momento di resistenza, accettò infine la proposta, avendo anche saputo che quell’uomo era il cavaliere Adonio. La fata Manto accese anche il cuore di Argia d’amore per Adonio ed i due divennero inseparabili.

Anselmo, tornò dopo una anno a Mantova e, prima dall’amico, attraverso la lettura degli astri, e poi dalla domestica, un giorno che questa aveva bisticciato con Argia, venne a sapere del tradimento della moglie. Il giudice decise di uccidersi, ma non prima di aver fatto uccidere la donna.
L’avvocato comandò allora ad un suo fedele servitore di tendere un agguato ad Argia. Mentre però il servo, dicendo le ragioni del suo gesto, stava per avventarsi sulla donna, lei sparì alla sua vista grazie ad un incantesimo della fata e riuscì così a scappare.
Anselmo, temendo che la donna potesse trovare protezione presso un uomo potente, e che la notizia venisse così a sapersi, iniziò a fare ricerche in tutta la Lombardia per ritrovarla. Si fece infine condurre dal suo fedele servitore là dove Argia era stata vista l’ultima volta, credendo di trovarla nascosta in un bosco. Ritrovò invece un enorme, ricchissimo e bellissimo palazzo, realizzato per Argia con un incantesimo dalla fata Manto. Anselmo incontrò fuori dal palazzo un uomo etiope bruttissimo e sporco e gli chiese chi fosse il padrone di quella costruzione. L’uomo gli rispose di esserne lui il proprietario ed invitò anche l’avvocato ad entrarvi per accertarsene.
Entrati nel palazzo, l’etiope fece ad Anselmo la stessa proposta che Adonio aveva fatto ad Argia, proponendo in cambio tutto il palazzo. Dopo i primi rifiuto l’avvocato accettò di offrirsi per una notte all’uomo ed a quel punto comparve la moglie, che gli rinfacciò di aver accettato una condizione ben peggiore di quella che aveva accettato lei, e per la quale lui aveva anche tentato di punirla con la morte. Argia propose infine al marito di considerare pari le loro colpe. L’uomo accettò e tornarono entrambi a vivere d’amore e d’accordo.
Così finisce la storia del marinaio.

L’imbarcazione su cui si trova Rinaldo giunge a Ravenna ed il cavaliere prosegue il suo viaggio a cavallo. Giunto a Roma si imbarca per Trapani ed infine per  Lampedusa, scelta da re Gradasso, Agramante e Sorbino come luogo dello scontro con i tre cavalieri cristiani. Il paladino cristiano giunge all’isola quando Orlando ha già ucciso Gradasso ed Agramante.
I due pagani morti vengono portati a Biserta per essere seppelliti. Astolfo e Sansonetto vengono così a sapere della vittoria del conte, ma non riescono a gioire, essendo venuti a conoscenza anche della morte di Brandimarte. Fiordiligi aveva previsto in sogno la morte dell’amato, quando ne riceve notizia certa cade a terra svenuta per poi disperarsi e volersi uccidere. Rimpiange di non aver seguito Brandimarte in quella impresa, per non averlo potuto avvertire dell’arrivo di re Gradasso, per non avergli potuto fare da scudo con il proprio corpo e per non aver potuto abbracciarlo un’ultima volta.

Orlando raggiunge nel frattempo la Sicilia, insieme ad Oliviero, per dare degna sepoltura a Brandimarte. Il pomposo funerale si svolge la sera dopo.
Orlando si lamenta per non poter stare più al fianco dell’amico, ne esalta le qualità e conclude dicendo che i cavalieri ancora in vita non possono che invidiargli la gloriosa morte. Il conte dà infine indicazioni perché venga costruito un sepolcro monumentale.
Dopo che il conte è partito sarà Fiordiligi stessa a condurre i lavori. La donna deciderà di fare costruire una cella nella tomba dell’amato, in cui poter passare il resto della propria vita. A nulla serviranno i tentativi del paladino Orlando per convincerla ad uscire. Fiordiligi morirà non molto tempo dopo.

Orlando, Oliviero,  peggiorato in salute, e Rinaldo lasciano la Sicilia e, prima di tornare in Francia, su consiglio del comandante della nave, si fermano presso uno scoglio abitato da un eremita (lo stesso che aveva battezzato Ruggiero) capace di compiere azioni miracolose. Il religioso, che era già stato avvisato da Dio della loro venuta, prega il Salvatore, dà la sua benedizione ad Oliviero e lo fa così guarire all’istante.
Re Sobrino, visto il miracolo, subito si dichiara pronto a convertirsi al cristianesimo. Il pagano viene tenuto a battesimo dall’eremita ed anche lui guarisce subito.

Durante il sontuoso banchetto allestito per festeggiare le due guarigioni e la conversione di Sobrino, Ruggiero viene riconosciuto da tutti i cavalieri presenti e quindi festeggiato per la sua fresca conversione religiosa.
Tra tutti, è Rinaldo il cavaliere che lo festeggia ed onora con maggiore affetto.

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