L’INFINITO di Giacomo Leopardi | Testo, parafrasi e commento

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Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.

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[nextpage title=”Parafrasi” ]

Parafrasi:
Mi fu sempre caro questo colle solitario,
e questa siepe che impedisce alla vista
di vedere la gran parte dell’estremo orizzonte.
Ma se mi siedo e osservo, io mi immagino
nel pensiero spazi infiniti al di là di quella [siepe]
e silenzi che vanno al di là dell’esperienza umana
e una quiete assoluta, dove quasi il cuore non prova
una sensazione di forte turbamento. E quando sento
stormire (frusciare) il vento tra queste piante, io paragono
quel silenzio infinito a questo sibilo del vento: e mi vengono alla mente
il pensiero dell’eternità, delle epoche passate,
del presente che tuttora è vivo e il suo suono (quello che si manifesta con le azioni dell’uomo).
Così in questa contemplazione degli spazi infiniti
il mio pensiero si smarrisce:
e questo perdersi nel vasto mare dell’infinito mi provoca un senso di dolcezza.

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[nextpage title=”Analisi” ]

Analisi:
La forma e lo stile. La lirica più celebre degli Idilli e forse dell’intera produzione leopardiana fu composta nel 1819, anticipando in forma poetica le riflessioni del vago e dell’indefinito che troveranno posto nello Zibaldone. Il componimento con i suoi 15 endecasillabi sciolti è il più breve dei sei Idilli. La misura e la struttura avvicinano la lirica al sonetto, ma Leopardi porta il testo fuori da ogni schema precostituito, svincolandolo dalle rime e imbastendo una trama di enjambements che dà vita a sequenze nuove di endecasillabi, a cavallo dei due versi (per esempio: “ove per poco / il cor non si spaura”, “e la presente / e viva, e il suon di lei”, “così tra questa immensità / s’annega” sono altrettanti endecasillabi nati dalla fusione di due emistichi, cioè dalla parte finale di un verso e da quella iniziale del verso successivo): il risultato è una grande musicalità. La studiata simmetria è data anche dalla medesima misura che il poeta concede all’“infinito spaziale” e a quello “temporale” (vedi nei Temi): 7 versi e mezzo ciascuno.

Altrettanto notevole è la dinamica tra “questo” e “quello”, i due pronomi dimostrativi che si susseguono nel testo e indicano rispettivamente ciò che è vicino e ciò che è lontano, in un processo di distanziamento dell’io poetico dalla realtà oggettiva.

Infine, come è stato notato da qualche studioso, l’idea di infinito, e del perdersi del poeta in esso, oltre che dall’uso di un lessico “vago e indefinito”, è ottenuta sul piano formale dal progressivo aumento di sillabe che compongono le parole, man mano che la poesia procede: si passa dai bisillabi “Sempre caro” fino ai pentasillabi “interminati” e “profondissima”.

I temi. Come scrisse Leopardi il 12-23 luglio 1820 nello Zibaldone, il desiderio di infinito si alimenta a partire da un impedimento della vista. In tal modo «in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima si immagina quello che non vede […] e va errando in uno spazio immaginario». Pertanto il nucleo tematico dell’Infinito è il superamento degli ostacoli che sottraggono campo alla percezione, grazie all’immaginazione, e il perdersi dell’io lirico nella vastità infinita.

Una delle caratteristiche fondamentali della lirica è la presenza di un io lirico che non offre nessun rimando autobiografico: l’esperienza che sta per vivere è un’esperienza interiore, un viaggio che si compie tramite l’immaginazione; l’approdo di questo viaggio è il perdersi dell’io stesso, che naufraga dolcemente nell’infinito.

In questo naufragio non c’è dimensione religiosa, ma un’avventura dei sensi: il perdersi è piacevole, benché sia di una dolcezza preceduta dalla paura; si tratta di sensazioni che trovano un retroterra filosofico nelle teorie sensistiche.

Del resto l’infinito descritto dall’io ha connotazioni spaziali e temporali, evocate per via sensoriale: nei primi 8 versi prevale la sensazione visiva (la siepe, il colle, l’orizzonte…); nei restanti versi prevale la sensazione uditiva (stormire, silenzio) che introduce l’“infinito temporale”, l’evocazione delle epoche passate e il paragone con quella presente. Il naufragio finale apre inoltre a un possibile confronto tra l’infinito e il nulla, tema con cui Leopardi si confronterà negli anni a seguire.

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