Parafrasi canto 5 (V) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto V dell’Inferno – L’incontro con il giudice infernale Minosse e l’accesso al secondo cerchio dell’Inferno, destinato ad accogliere i Lussuriosi, battuti in eterno da una bufera infernale. Dante vede le anime di Elena di Troia, Didone ed Achille; parla infine con Paolo Malatesta e Francesca da Rimini.

Leggi il testo del canto 5 (V) dell’Inferno di Dante

Sera del venerdì santo (8 Aprile 1300), Dante e Virgilio lasciano il primo cerchio dell’inferno, il limbo, per entrare nel secondo, custodito da Minosse e destiato ad accogliere i lussuriosi, coloro che in vita si erano abbandonati in modo incontrollato al piacere carnale.
Il poeta sottolinea subito nei primi verso l’aumento di sofferenza dei dannati rispetto al limbo. La punizione inflitta alle anime è infatti destinata ad aggravarsi man mano che si scende di cerchio in cerchio.

L’entrata del secondo cerchio è custodita da Minosse, mitico re di Creta, che, trasformato in demonio, da grande conoscitore dei peccati, svolge la funzione di giudice infernale: valuta i peccati delle anime ed indica, utilizzando la propria coda, il girone di destinazione. Il demonio si accorge che Dante è ancora in vita e subito si rivolge a lui in tono minaccioso. Virgilio interviene prontamente ancora con la celebre frase “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare“, “così è stato deciso in Paradiso, là dove si può fare ciò che si vuole, e non chiedere altro”, ed i due proseguono quindi oltre.
Le anime dei dannati, dei lussuriosi, sono lasciate al buio e sono battute in eterno da una bufera infernale, che cambia direzione in ogni momento, sbattendoli ora dall’una ed ora dall’altra parte. Dante è commosso dalla condizione delle anime e le paragona quindi per pietà a degli stornelli.

virgilio indica a Dante alcune anime. C’è Semiramide, leggendaria regina d’Assiria, che rese lecita la sua lussuria emettendo leggi ad hoc. Ci sono anche Didone (si innamorò di Enea venendo meno al giuramento fatto sulle ceneri del defunto marito), Elena di Troia (la cui lussuria causò la famosa guerra) ed Achille (spinto alla morte dall’amore per Polissena).

Dante vede due anime muoversi in coppia e le invita a raggiungerlo per parlargli e raccontargli la loro storia; sono Paolo Malatesta a Francesca da Rimini.

La bufera si calma improvvisamente e la donna racconta la loro storia (lei parla per entrambi, lui piange per entrambi, come fossero un unico corpo). Celebre la frase “Amor ch’a nullo amato amar perdona“, “L’amore che esige che chi è amato contraccambi l’amare”.
Lei era sposa di Gianciotto da Rimini, uomo potente ma deforme. L’amore per il fratello del marito, Paolo, portò entrambi gli amanti ad una tragica fine (furono entrambi trafitti in un agguato da Gianciotto) e li destinò al secondo cerchio dell’Inferno. Gianciotto si trova invece nell’ultimo cerchio, tra i traditori dei parenti.
Dante si commuove per il loro destino, che risveglia in lui ricordi personali; vuole avere più dettagli, vuole sapere come si è manifestata la loro passione amorosa. Lei racconta che a scatenarla era stato il romanzo di Lancilotto e di Ginevra, moglie di re Artù, ed in particolare il passaggio in cui la donna cede alle lusinghe dell’amante e lo bacia.

Spinto dalla commozione e dalla pietà (in crescendo durante tutto il canto, raggiungono il loro culmine al termine dello stesso) Dante perde i sensi.


Scesi così dal primo cerchio dell’inferno
giù nel secondo, che circonda un logo meno vasto
ma racchiude un dolore maggiore, che spinge a guaire.

Minosse sta sull’entrata, ringhiando e con atteggiamento
orribile: esamina le colpe delle anime all’ingresso;
le giudica e le indirizza a seconda di come avvolge la coda.

Dico che quando la disgraziata anima
giunge dinanzi a lui, fa a lui piena confessione dei peccati;
ed egli, grande conoscitore dei peccati,

capisce quale girone dell’inferno è più adatta ad essa;
si cinge con la propria coda tante volte quanti sono i gironi
per i quali vuole che l’anima sia fatta precipitare.

Di fronte a lui stanno sempre molte anime:
ciascuna secondo il proprio turno si sottopone al suo giudizio,
confessano, ascoltano e poi vengono gettate nell’abisso.

“Oh tu, che viene in questo luogo pieno di dolori”,
disse Minosse rivolto a me quando mi vide,
abbandonando le funzioni del suo alto compito,

“guardati bene da quello che fai entrando qui e da colui nel quale poni la tua fiducia;
non ti illudere vedendo l’entrata dell’inferno tanto ampia ed agevole!”
E la mia guida verso di lui: “Perché continui a gridare?”

“Non cercare di impedire il cammino a cui è destinato:
così è stato deciso in paradiso, là dove di può fare
ciò che si vuole, e non chiedere altro.”

Le voci straziate delle anime dannate cominciano adesso
a giungere al mio orecchio; sono ora giunto
in un luogo dove pianto disperato mi ferisce l’orecchio.

Giunsi in un luogo completamente buio,
che rumoreggiava come fa il mare agitato da una tempesta,
quando viene percosso da venti tra loro opposti.

La bufera infernale, che mai si arresta,
travolge nel suo turbine gli spiriti dannati;
li tormenta sbattendoli qua e là e percotendoli.

Quando giungono davanti al dirupo:
urla d’ira, richieste di compassione, lamenti estenuanti;
bestemmiano contro il potere divino che li condanna.

Compresi che a simile tortura
sono dannati i peccatori carnali, i lussuriosi,
che sottomisero la ragione alle voglie della passione.

E così come gli stornelli sono portati dalle ali,
durante la stagione invernale,  in una schiera larga e compatta,
così quel vento gli spiriti maligni

conduce ora di qua, ora di là, ora in basso ed ora in alto;
Non possono avere il conforto della speranza,
non solo di poter riposare, ma nemmeno di poter avere minore pena.

E come le gru che vanno cantando con le loro voci lamentose,
creando in cielo un lunga riga di sé,
così vidi venire, emettendo guaiti di dolore,

anime dannate portate dalla tormenta di cui parlo;
Domandai perciò: “Maestro, chi sono quelle
anime che la cupa tormenta tortura in questo modo?”

“La prima di loro della quale
tu vuoi avere notizie”, mi disse allora Virgilio,
“fu imperatrice di molte nazioni, di popoli di svariate lingue.

Al vizio della lussuria fu tanto devota,
da rendere il suo capriccio rese legittimo tramite una legge,
per cancellare la mala fama in cui era caduta.

Lei è Semiramide, della quale si legge
che sia succeduta a Nino, re Assiro, e fu prima sua sposa:
dominò le terre ora governate dal Sultano.

L’altra è Didone, colei che si uccise perché innamorata e trascurata da Enea,
e tradì il giuramento fatto sulle ceneri del marito defunto Sicheo;
l’ultima infine è la lussuriosa Cleopatra.

Vedi quindi Elena di Troia, a causa della quale tanto tempo
infelice fu trascorso in guerra, e vedi anche il famoso Achille,
che alla fine della propria vita combatté e fu sconfitto dall’amore per Polissena

Vedi poi Paride, Tristano”; e più di mille
anime mi indicò con il dito e nominò,
che a causa dell’amore abbandonarono la vita.

Dopo che ebbi udito il mio maestro
nominare le donne del tempo passato ed i cavalieri,
fui invaso dalla pietà e fui quasi turbato.

Comincia quindi a dire: “Poeta, volentieri
parlerei a quei due che vanno insieme,
e nel vento sembrano essere tanto leggeri

E lui mi disse: “Attendi che siano
più vicini a noi; pregali allora di parlarti
in nome di quell’amore che li conduce, ed essi verranno a te.”

Non appena il vento li fece curvare verso di noi,
iniziai a parlare: “Oh anime tormentata,
venite a parlare con noi, se nessuno ve lo impedisce!”

Come colombe, chiamate dal desiderio dei loro piccoli,
con le ali innalzate e ferme al dolce nido
vanno per via aerea, condotte dal proprio affetto;

così costoro uscirono dalla schiera di anime dove c’era Didone,
per venire da noi attraverso quel vento maligno,
tanto fu forte il mio grido affettuoso.

Disse una: “Oh uomo ancora, vivo dal cuore delicato e cortese,
che vieni a visitare, attraverso questa scura atmosfera,
noi che in vita abbiamo macchiato il mondo con il nostro sangue,

se Dio, re dell’universo, ci fosse amico,
lo pregheremmo perché tu possa vivere in pace,
poiché mostri pietà per il nostro male perverso.

Dicci puro che cosa vuoi udire e di cosa hai piacere di parlare,
noi vi ascolteremo e parleremo con voi volentieri,
finché il vento si mantiene quieto qui dove siamo.

Io nacqui a Ravenna, dove la terra poggia
sulla costa del mare, là dove il Po sfocia nell’Adriatico
per avere pace insieme ai suoi affluenti.

L’Amore, che subito accende il cuore gentile,
infiammò questo mio compagno attraverso quel bel corpo
che mi fu tolto; ed il modo selvaggio in cui mi fu tolto ancora oggi mi offende.

L’Amore, che esige che chi è amato contraccambi l’amare,
mi infiammò tanto forte per la bellezza di costui,
che, come puoi vedere, ancora non mi abbandona.

L’Amore ci condusse ad una stessa morte.
Ma la Caina, nell’ultimo cerchio infernale, attende colui che ci tolse la vita.”
Queste parole furono da loro pronunciate a noi.

Quando appresi la storia di quelle anime tormentate,
chinai il viso, pensoso, e lo tenni basso per molto tempo,
fino a ché il poeta mi chiese: “A cosa stai pensando?”

Quando potei rispondere, cominciai a dire: “Misero me,
quanti dolci pensieri, quanta passione
condusse costoro al doloroso passo della morte!”

Quindi mi rivolsi alle anime e fui io a parlare,
dissi: “Francesca da Rimini, le tue pene
mi strappano lacrime di tristezza e pietà.

Ma dimmi: al tempo dei vostri dolci sospiri d’amore,
con che segno ed in che modo l’Amore vi permise
di conoscere l’inespresso desiderio dell’altra persona?”

E Francesca rivolta a me: “Non c’è maggiore dolore
che quello che si prova richiamando alla memoria il tempo felice,
quando ci si trova ormai in miseria; e questo lo sa bene la tua guida.

Ma se desideri tanto conoscere il primissimo inizio
del nostro amore,
te lo racconterò, mischiando le lacrime alle parole.

Un giorno stavamo leggendo insieme, per puro piacere,
la storia di Lancillotto e di come l’amore lo infiammò;
eravamo soli e senza alcun sospetto del pericolo.

Per più volte  quella lettura spinse i nostri occhi ad incontrarsi,
e ci fece perdere colore in viso;
ma solo un punto della storia vinse la resistenza di entrambi.

Quando leggemmo che la bocca ridente di Ginevra, tanto desiderata,
venne baciata da quel tanto famoso amante,
il mio compagno, che mai potrà essere separato da me,

tutto tremante mi baciò sulla bocca.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno non riuscimmo a leggere oltre.”

Mentre uno spirito mi raccontava questa storia,
l’altro, Paolo Malatesta, piangeva; tanto che, per la pietà,
persi i sensi e svenni, come se fossi morto di crepacuore.

E caddi inerte, come cadrebbe un corpo morto.

 < Parafrasi Canto 4Parafrasi Canto 6 >

2 pensieri riguardo “Parafrasi canto 5 (V) dell’Inferno di Dante

I commenti sono chiusi.