Introduzione al poema Divina Commedia

La datazione. L’eccezionale concezione dell’opera e la sua complessità rendono difficile stabilire con esattezza l’arco temporale in cui la Commedia è stata scritta, anche in ragione della mancanza di documenti che ne possano accertare la datazione. Quasi sicuramente l’inizio della composizione avviene nei primi anni dell’esilio: l’Inferno è stato composto dopo il 1304 e terminato probabilmente prima del 1309; il Purgatorio data tra il 1309 e il 1313 e il Paradiso tra il 1316 e il 1321. È probabile che Dante abbia rivisto le prime due cantiche negli anni precedenti alla stesura del Paradiso e li abbia pubblicati subito dopo. Boccaccio sostiene che Dante abbia poi diffuso presso gli amici i canti del Paradiso man mano che fossero completati.

Il titolo. Comunemente conosciuto come Divina commedia, il poema dantesco in origine era intitolato semplicemente Comedìa, un titolo che rimanda a un genere letterario specifico. Come esplicitato da Dante nell’epistola a Cangrande, «La commedia […] propone all’inizio le difficoltà di un evento, ma lo sviluppo di questo approda a un esito felice», allo stesso modo, la Comedìa comincia in modo «orribile e ripugnante, poiché descrive l’Inferno, alla fine appare positiva, desiderabile e gradevole, perché illustra il Paradiso». Inoltre – è sempre Dante a scrivere – «viene impiegato un linguaggio misurato e umile, in quanto usa la lingua volgare in cui si esprimono le donnette». È interessante notare che la parola comedìa compare due volte nell’Inferno, mentre nel Paradiso Dante usa l’espressione poema sacro.

Una commistione di stili. Nelle sue delucidazioni sulla natura del poema Dante non esprime solo argomenti in linea con la retorica medievale (la commedia come genere umile), ma supera i principi estetici dei classici: l’autore infatti ritiene che anche una commedia talvolta possa prevedere un linguaggio più alto, avvalorando la sua posizione mediante le riflessioni contenute nell’Ars poetica di Orazio. Anche Sant’Agostino si rivela una fonte preziosa in tal senso, perché nella Dottrina cristiana sostiene che un autore cristiano è autorizzato a usare ogni stile. Da qui il pluristilismo della Commedia dantesca, che riesce a coniugare l’abietto con il sublime.

Le tre cantiche. L’opera è costituita da tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta suddivise in 33 canti, con l’eccezione dell’Inferno che ne conta 34 poiché il primo canto funge da introduzione all’intero poema. In questo modo si raggiunge un numero simbolico, 100, che si affianca al 3, elemento strutturale dell’opera e chiaro simbolo della trinità. Infatti la terzina, metro introdotto proprio da Dante con la Commedia, ribadisce l’importanza simbolica del numero 3 e una certa attenzione alla numerologia e alle simmetrie dell’opera, aspetti che riscuotono largo interesse nel pensiero medievale cristiano.

La varietà delle fonti e l’unicità del Poema. L’aspetto numerologico rimanda alle Sacre Scritture, dove le relazioni di simmetria, il ripetersi di numeri sono alcuni dei tratti fondanti, in linea con la tradizione ebraica. La Bibbia è quindi certamente tra le fonti d’ispirazione di Dante, così come lo sono l’Eneide di Virgilio (non solo per la discesa di Enea negli inferi, che rimanda anche ad Omero), le Metamorfosi di Ovidio e molta letteratura di ambito religioso che tratta l’esperienza del viaggio oltremondano. Vanno inoltre tenute in conto le opere di argomento didattico-allegorico, come il Tesoretto di Brunetto Latini, maestro di Dante, nonché le opere di San Tommaso d’Aquino, Sant’Agostino, Averroè per gli aspetti dottrinali e filosofici. È tuttavia impossibile trovare modelli, generi e forme letterarie precedenti alla Commedia, che nel suo genere è un unicum, un’opera di straordinaria visionarietà, di concezione eccezionale in cui confluisce tutto il sapere dantesco, una sorta di distillato di quello medievale.

L’aspetto visionario. In comune con alcune di queste opere la Commedia ha anche l’aspetto della visione che si esprime attraverso il viaggio in mondi oltremondani e immaginari: Dante attraversa gli scenari macabri e a tinte forti nell’Inferno, il monte del Purgatorio – un mondo assimilabile al nostro, sospeso tra passione e salvezza – ed esperisce l’inesprimibile levità del Paradiso, sintetizzato nell’enigmatico e fantasmagorico “trasumanar”, che «significar per verba / non si poria». Il viaggio non si risolve solo in un percorso individuale teso alla salvezza dell’anima, ma assume a tutti gli effetti i caratteri della missione redentrice, del percorso salvifico per l’umanità.

Missione e rivelazione: i modelli. La missione tuttavia consiste anche nel raccontare il viaggio, nel riportare la speranza della salvezza in un linguaggio a misura d’uomo, senza svilire l’onnipotenza divina: è l’aspetto didattico del poema dantesco, il motivo che fa della Commedia anche un complesso testo allegorico, avvicinandolo alla letteratura teologica. La posta in palio, in sostanza, è altissima. Del resto i modelli e le fonti di ispirazione sono importanti e rimandano al mondo classico e a quello cristiano: Enea e San Paolo in primis, esempi fulgidi di visitatori dell’aldilà per missioni che vanno ben oltre il piano individuale. Le rivelazioni che entrambi ricevono sono la base su cui Dante costruisce la propria missione. Allo stesso tempo un ruolo fondamentale svolge l’Apocalisse di Giovanni come modello di profezia, di retorica e repertorio di immagini per alimentare il complesso congegno dantesco, mentre il mistico Gioacchino da Fiore esercita sotto traccia una notevole influenza per il suo portato profetico, al punto da essere annoverato tra i beati del Paradiso, nonostante l’eresia ratificata nel 1263. Da non trascurare infine un testo di ambito islamico, il Libro della scala, in cui è narrato il viaggio di Maometto verso il Paradiso e da cui Dante ha molto probabilmente tratto materia, visioni e situazioni per il proprio viaggio.

Il tono profetico. Non è un caso dunque che il tono di molti passaggi della Commedia sia quello della profezia, che annuncia il rinnovamento del mondo e l’arrivo di figure provvidenziali. Alla profezia si accompagna l’invettiva, che si esprime nella denuncia della corruzione in seno alla Chiesa, un argomento ricorrente del poema: per il sommo poeta la salvezza dell’anima va di pari passo con la redenzione politica, il miglioramento del mondo terreno, dei costumi e delle consuetudini degli uomini. Inoltre la collocazione temporale del viaggio nel 1300 («Nel mezzo del cammin di nostra via») consente a Dante di introdurre un artificio letterario: le profezie di eventi successivi al 1300, quindi posteriori al viaggio oltremondano, ma che nella realtà erano già accaduti (ricordiamo che la stesura dell’Inferno è iniziata dopo il 1304). Questo fa sì che Dante si ponga come poeta vate, oltre che per la sua missione, anche per l’aspetto visionario della sua ispirazione e per il carattere profetico del proprio viaggio.

I quattro sensi della Commedia. L’attraversamento dei tre regni va oltre la semplice «favola de li poeti» e richiede una lettura che vada al di là della pur stupefacente narrazione dei fatti: in breve, la Commedia ha un significato allegorico e didattico. Passare dalla selva oscura al Paradiso equivale a passare dalla tentazione e dal peccato alla redenzione e alla salvezza eterna. Nel Convivio Dante aveva esposto i quattro sensi della scrittura – letterale, allegorico, morale e anagogico – e nell’Epistola a Cangrande non si sottrae dall’interpretare anche la Commedia attraverso tale chiave. L’autore sottolinea che l’opera non è una «bella menzogna» di poeti, ma un’opera allegorica assimilabile a quelle dei teologi.

Un’opera simbolica. Figlia del Medioevo, la Commedia è un’opera dall’importante portato simbolico, che la rende carica di significati e ricca di sfumature. Lo studioso Erich Auerbach si è soffermato sull’interpretazione “figurale” dell’opera, un’esegesi in voga nell’età medievale in ottemperanza alla visione cristiana di quegli anni. Secondo tale interpretazione, gli eventi e i personaggi storici del nostro mondo preludono a verità superiori e fungono da anticipatori del disegno divino. In questo senso Beatrice, che in vita è stata l’amata di Dante, l’angelo inviato da Dio sulla terra, nell’aldilà diventa la sua guida nonché il simbolo della teologia. Allo stesso tempo, Enea e san Paolo, citati nel secondo canto dell’Inferno, non sono altro che figure anticipatrici di Dante, prefiguranti la sua missione di salvezza. Questa interpretazione, oltre ad avallare la chiave allegorica, non sminuisce quella letterale, costruita intorno a figure e fatti storici, che rappresentano pur sempre le fondamenta dell’intero poema.

La lingua della Commedia. La fondamentale importanza del “poema sacro” nella lingua e nella cultura italiana non è dovuta solo alla straordinarietà della concezione dell’opera, alla sua visionarietà e agli aspetti allegorici, ma anche alla novità linguistica. Dante è considerato il padre della lingua italiana perché il suo sforzo letterario ha contribuito alla nobilitazione del fiorentino e alla sua naturale candidatura a rappresentante dell’italiano letterario. Ciò non è dovuto a un capriccio dei critici, ma alla ricchezza ineguagliata della Commedia sul piano linguistico e lessicale, capace di spaziare su molti registri ed ambiti settoriali: basti ricordare che il poema consta di quasi 13.000 parole, un numero che pone le basi della nostra lingua. Dante, infatti, è stato un vero e proprio “creatore” di parole, di espressioni entrate nell’italiano comune, di neologismi originati dal latino, dal provenzale o di frasi la cui origine e il cui significato restano oscuri (si pensi alle frasi pronunciate da Pluto o da Nembròt). In un certo senso Dante è stato un prestigiatore della lingua, al punto da innestare formule, espressioni e frasi intere di altri idiomi nel tessuto linguistico dell’italiano. È anche per questo che è lecito parlare di Dante come il primo consapevole rappresentante dell’italiano letterario.