Parafrasi canto 8 (VIII) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto VIII dell’Inferno – Il quindi cerchio dell’Inferno, destinato ad accogliere gli iracondi e gli accidiosi, custodito da Flegiàs. L’incontro con il concittadino Filippo Argenti e l’arrivo alla città di Dite, porta di accesso agli abissi dell’Inferno.

Leggi il testo del canto 8 (VIII) dell’Inferno di Dante

Nel primo mattino del Sabato santo (9 Aprile 1300) Dante e Virgilio si trovano nel Cerchio V, degli iracondi e degli accidiosi. I dannati sono immersi, se non addirittura sommersi, nella palude fangosa chiamata Stige; ingozzati dal fango, si percuotono l’un l’altro con mani, piedi e testa, addentandosi anche fino a sbranarsi.

I due poeti stanno camminando verso le mura della città di Dite, quando la loro attenzione è attirata da due fiammelle accesse in cima ad una torre della città e da un’altra accesa molto più lontano in risposta alle prime. Dante e Virgilio sono stati intercettati dai demoni e subito, muovendosi velocissimo con una imbarcazione sulla palude, si avvicina a loro il guardiano del Cerchio, Flegiàs (mitico re dei Lapiti, punito per aver incendiato il tempio di Delfo con lo scopo di vendicare la figlia offesa da Apollo), preannunciando rabbiosamente la loro prossima cattura.
Virgilio avverte con calma Flegiàs che sta gridando a vuoto e che potrà averli con sé sull’imbarcazione solo per traghettarli dall’altra parte della palude.

Dante e la sua guida salgono così sulla barca e lo scrittore sottolinea come sia solo il suo peso a gravare l’imbarcazione, come non lo era mai stata.

Mentre stanno attraversando lo stagno, un’anima dannata chiede con tono indispettito a Dante di presentarsi. Il poeta risponde in modo generico, e con tono malevolo, di essere solo di passaggio e chiede a sua volta all’altro di presentarsi. Anche l’anima risponde in modo vago, con tono tra il dolente è l’iroso, dicendo di essere solo uno che paga per le sue colpe; ma Dante lo ha ormai riconosciuto, è Filippo Argenti, nemico personale del poeta, ed i toni della rissa si accendono.
L’anima infuriata cerca di afferrare Dante per scaraventarlo nella palude, interviene però prontamente Virgilio, prima respingendolo, poi parlando di lui in modo dispregiativo e dimostrando così di condividere l’odio del discepolo. L’occasione è anche buona per parlare male dei grandi signori di Firenze, che in vita sono molto orgogliosi ma che da morti dovranno poi stare nel fango come porci.
Dante esprime infine il suo desiderio di poter vedere quel dannato completamente immerso nel fango. Il desiderio viene subito esaudito: gli altri dannati si avventano infatti subito su Argenti, facendone un strazio tale che farà sì che Dante ringrazierà e loderà Dio per lungo tempo.

Un suono di dolore preannuncia l’avvicinarsi della città di Dite (il profondo inferno, dove sono puniti i peccati più gravi. Dite era il nome che gli antichi davano a Lucifero), le cui torri sono rese incandescenti dall’eterno fuoco che brucia al loro interno.
Dopo aver navigato a lungo nel fossato che cinge la città, i due poeti giungono finalmente alla sua porta d’ingresso e scendo dall’imbarcazione. Ad aspettarli ci sono migliaia di demoni, che accettano di parlare privatamente con Virgilio, come egli stesso chiede loro, ma lo minacciano anche di trattenerlo, dicendo a Dante di dover tornare indietro da solo, se ci riesce.
Dante è spaventato, chiede a Virgilio di non abbandonarlo ma anzi lo supplica di riportarlo indietro. La guida lo conforta dicendo che nessuno si può opporre alla volontà divina e lo lascia poi solo (conteso nell’animo tra il buono ed il cattivo esito della situazione) per andare a parlare con i demoni.

Virgilio torna poco dopo; è stato cacciato dalla città e gli vengono anche sbattute in faccia le porte. Deluso inzialmente dal trattamento ricevuto (le ciglia avea rase d’ogni baldanza), ritrova la forza d’animo subito dopo, preannunciando l’imminente arrivo di un messaggero del Cielo che farà avere loro via libera.


Devo dire, continuando nel racconto, che molto prima
di giungere ai piedi dell’alta torre,
i nostri sguardi caddero sulla sua cima

attratti da due fiammelle che vedemmo essere accese lì,
alle quali rispose un’altra fiamma da molto lontano,
tanto che l’occhio riusciva a malapena a scorgerla.

Mi rivolsi quindi a Virgilio, mare di tutto il sapere;
gli chiesi: “Cosa sta a significare tutto ciò? Che cosa gli ha
risposto quell’altro fuoco? E chi lo ha acceso?”

Mi rispose lui: “Spingendo lo sguardo sino a sopra le onde
fangose, puoi riuscire già a vedere che cosa è atteso, a meno
che le nebbie esalate dal pantano non te lo nascondano.”

Nessuna corda d’arco spinse mai una freccia
a volare tanto veloce per l’aria,
quanto era veloce la piccola nave che io vidi

venire in quel momento verso noi sull’acqua,
governata da un solo barcaiolo,
che gridava: “Ora verrai catturata, anima ribelle!”

“Flegiàs, Flegiàs, tu gridi a vuoto, inutilmente, questa volta:”,
gli disse la mia guida, “ci avrai con te
solo fintanto che non attraverseremo la palude.”

Come colui che viene a sapere di aver commesso
un grande errore e quindi se ne dispiace,
allo stesso modo Flegiàs si mutò in volto e depose l’ira.

La mia guida scese dalla riva nella barca,
poi fece scendere anche me dietro a lui;
e solo quando ci fui entrato io, la barca si mostrò carica.

Non appena Virgilio ed io fummo sulla barca,
l’antica prora riprese il largo verso l’altra riva fendendo
l’acqua molto più di quanto facesse con gli altri suoi ospiti.

Mentre stavamo attraversando quello stagno morto,
si presentò dinnanzi a me una di quelle anime infangate
e mi chiese: “Chi sei tu, che viene qui prima di essere morto?”

Gli risposi io: “Se io ci vengo, comunque non ci rimango;
chi sei invece tu, che sei così imbruttito dal fango?”
Rispose il dannato: “Puoi vedere bene che sono uno che paga per le sue colpe.”

Ed io a lui: “Resta pure con le tue lacrime e con il tuo dolore
spirito maledetto; perché che ti ho riconosciuto,
sebbene tu sia completamente sporco (è Filippo Argenti).”

Allora lo spirito allungò entrambe le mani verso l’imbarcazione;
ma il mio maestro lo respinse prontamente
dicendogli: “Vattene via di qua, torna con gli altri cani!”

Virgilio mi cinse poi il collo con le sue braccia; mi baciò
il volto e mi disse: “Anima sprezzante di ogni ingiustizia,
sia benedetta colei che ti partorì!

Al mondo quel dannato fu una persona molto orgogliosa;
non ha lasciato cosa degna di memoria che gli dia onore:
per questo motivo la sua anima e quaggiù tanto furiosa.

Quanti sono quelli che in terra si ritengono dei gran signori
e che poi qui dovranno stare nel fango come porci,
dopo aver lasciato tra gli uomini orribili motivi di disprezzo per la loro persona!”

Ed io a lui:”Maestro, avrei proprio voglia di vedere
quello spirito completamente immerso in questo fango
prima che usciamo da questa palude.”

Ed egli a me: “Prima di poter scorgere l’altra riva,
tu verrai accontentato: e giusto
che tu goda per l’appagamento di questo tuo desiderio.”

Vidi infatti poco dopo lo strazio che fecero di questo spirito
le altre anime dannate ricoperte di fango,
strazio tale che ancora oggi mi fa lodare e ringraziare Dio.

Gridavano tutti: “Dagli a Filippo Argenti!”;
e quel capriccioso spirito fiorentino
affondava i denti per la gran rabbia nella propria carne.

Lo lasciammo là nello Stige, e non racconto altro di lui; il mio
orecchio fu nel frattempo percosso da un doloroso suono,
e sbarrai perciò i miei occhi dinnanzi a me per cercare di capire da dove provenisse.

Il mio buon maestro mi disse: “Figliolo, si avvicina ormai
a noi quella città chiamata Dite, con i suoi spiriti
carichi di pena e con la sua numerosa schiera di demoni.”

Ed io dissi: “Maestro, riesco già a distinguere le sue torri,
laggiù nella valle oltre la palude,
arrossate come se fossero uscite dal fuoco.

Mi disse allora lui: “Il fuoco eterno
che le rende roventi dal loro interno le mostra poi così rosse,
come puoi vedere da questo basso inferno.”

Giungemmo infine con l’imbarcazione dentro alle profonde
fosse che circondano quella città sconsolata, come per difesa:
le mura di Dite mi sembravo realizzate in ferro.

Solo dopo aver percorso un lungo tratto intorno alle mura,
giungemmo ad un punto dove il traghettatore gridò forte:
“Uscite dalla barca, qui è l’ingresso della città.”

Vidi sulle porte di Dite più di mille demoni,
angeli ribelli precipitati dal cielo, che con ira
dicevano tra loro: “Chi è costui che, ancora in vita,

va attraverso il regno dei morti?”
Ed il mio saggio maestro accennò loro
di volergli parlare privatamente.

I demoni frenarono allora un poco la loro indignazione
e dissero: “Vieni pure, ma da solo, e quell’altro se ne vada,
che fu tanto audace da entrare in questo regno.

Ritorni da solo in terra, seguendo la strada percorsa per
venire temerariamente qui: ci provi, se riesce; perché
rimarrai invece qui con noi tu che gli hai mostrato questi regni bui.”

Pensa, lettore, a quanta paura provai
al suono di quelle parole maledette, perché
provai proprio il terrore di non poter tornare più in terra.

“Cara guida mia, che già molte
volte mi hai dato sicurezza, togliendomi
dai gravi pericoli che si paravano di fronte a me,

non mi lasciare”, dissi io a Virgilio, “senza alcuna difesa;
e se ci viene proprio negato di procedere oltre nel nostro
viaggio, ritorniamo allora subito insieme sui nostri passi.”

Quell’uomo generoso, che mi aveva guidato fin lì,
mi disse allora: “Non temere; perché il nostro passaggio
nessuno lo può impedire: essendo voluto da Dio.

Aspettami però qui, e  nel frattempo conforta e nutri
di buona speranza il tuo spirito stanco, perché
io non ti abbandonerà mai in questo mondo infernale.”

Detto questo se ne va e mi lascia lì da solo
quel dolce padre, ed io rimango in dubbio, con la mente
combattuta tra il buon esito o meno della sua impresa.

Non potei ascoltare ciò che Virgilio disse loro;
ma non stette a lungo insieme a loro, prima che
ciascun demone, a gara, tornò correndo dentro la città.

Quei nostri avversari chiusero le porte
in faccia a Virgilio, che restò quindi fuori dalle mura
e tornò da me a passi lenti.

Teneva gli occhi fissi a terra ed aveva lo sguardo privo
di ogni spavalderia, e diceva tra sé sospirando: “Ma guarda
chi mi ha negato l’accesso in questa dimora del dolore!”

Disse poi a me: “Non spaventarti se mi mostro indispettito,
perché vincerò comunque questa prova, chiunque sia
che si ponga a guardia là dentro per impedirci l’ingresso.

Questa loro arroganza non è cosa nuova; la usarono già
alla prima porta dell’inferno, più in superficie di questa, che,
aperta da Gesù, vincitore, si trova ora ancora spalancata.

Sopra quella porta hai potuto vedere la scritta che minaccia
la morte: e, dopo averla attraversata, sta già ora scendendo
il pendio infernale, attraversando senza guida i diversi cerchi,

un personaggio che ci farà avere la via libera in questa terra.

 < Parafrasi Canto 7Parafrasi Canto 9 >