Parafrasi canto 27 (XXVII) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto XXVII dell’Inferno – Dante e Virgilio si trovano ancora nell’ottava bolgia, tra i consiglieri di frode. Dopo Ulisse parlano con Guido di Montefeltro il quale racconta che è a causa del consiglio frodolento dato a papa Bonifacio VIII per conquistare la fortezza di Palestrina che si trova tra i frodolenti.

Leggi il testo del canto 27 (XXVII) dell’Inferno di Dante


La fiamma di Ulisse si era appena raddrizzata e stava immobile
poichè egli non stava più parlando, e già si stava allontanando
da noi accompagnata dal saluto del dolce poeta Virgilio,

quando un’altra fiamma, che le veniva dietro,
ci fece voltare gli occhi verso la sua punta
a causa del suono confuso che ne fuoriusciva.

Come il bue (di bronzo) siciliano di Perillo che muggì
per la prima volta per effetto delle grida di colui, giustamente,
che l’aveva temprato con i suoi attrezzi,

e muggiva con la voce di chi viene gravemente punito,
così che, nonostanze fosse fatto tutto di rame,
sembrava lo stesso che fosse stato trafitto dal dolore;

allo stesso, non trovando una via nè un foro d’uscita, le parole
dolorose pronunciate dall’anima avvolta nella seconda fiamma
si convertivano nel fischio tipico del fuoco al vento.

Ma quando trovarono la via d’uscita
su per la punta della fiamma, facendola vibrare
come avrebbe avuto la lingua pronunciando delle parole,

sentimmo dire: “O tu a cui io rivolgo ora
la mia parola e che poco fa parlavi in lombardo,
dicendo “Ora va’; non ti spingo più a parlare”,

anche se sono giunto forse un poco tardi, non ti dispiaccia
restare a parlare un po’ con me: vedi come non dispiace
nemmeno a fermarmi a parlare, anche se sto bruciando!

Se tu sei caduto adesso in questo mondo buio
da quella dolce terra italiana
dalla quale io ho portato quaggiù tutto il peso della mia colpa,

dimmi se i Romagnoli sono in pace o in guerra;
perchè io fui di Montefeltro, tra Urbino e l’Appeninno toscano
lò dove nasce il fiume Tevere”.

Io ero ancora pronto ed attento a cogliere quelle parole,
quando Virgilio confidenzialmente mi toccò con il gomito,
dicendomi: “Parla tu con lui; costui è italiano come te”.

E io, che avevo già la risposta bella che pronta,
cominciai a parlare senza esitare:
“Oh anima che ti trovi laggiù, nascosta tra le fiamme,

la tua Romagna non è, e non lo è mai neanche stata,
senza che ci sia la guerra, l’odio nel cuore dei suoi tiranni;
ma non la lasciai con in atto guerre evidenti.

Ravenna è nella stessa condizione in cui è stata per molti anni:
lo stemma dei signori da Polenta la tiene sotto di sè gelosamente,
su un territorio che si estende fino a Cervia.

Forlì che fu già costretta a sostenere il famoso lungo assedio
e che fece una grande sanguinosa strage dei Francesi assedianti,
si trova sotto lo stemma del leone verde, la dominata dagli Ordelaffi.

Maltesta il Vecchio e Malatestino da Verrucchio, che fecero
strazio del nobile ghibellino Montagna, come già in passato,
usano ancora i denti come succhielli da sangue per straziare Rimini.

Le città di Faenza (Lamone) e di Imola (Santerno) sono governate
dal signore che ha come stemma il leone su sfondo bianco,
e che cambia fazione a seconda della stagione. (guelfo in Toscana e ghibellino in Romagna)

E la città che è bagnata dal fiume Savio, Cesena,
così come si trova tra la pianura e la montagna, anche
politicamente è divisa in istituzioni libere e signoria assoluta.

Ora ti prego di dirmi chi sei: non avere meno voglia nel raccontarti
di quanto io ti abbia dimostrato di averne nel rispondere, così
che il tuo nome possa essere ricordato nel tempo, lassù nel mondo”.

Dopo che la fiamma ebbe ruggito per un pò di tempo
al suo solito modo, la punta aguzza si mosse vibrando
di qua e di là, e poi disse queste parole:

“Se sapessi che la mia risposta sta per raggiungere
una persona che deve tornare lassù nel mondo,
la mia fiamma non vibrerebbe affatto per parlare;

ma dal momento che da questo abisso mai
nessuno tornò alla vita mortale, se ho udito il vero,
ti rispondo liberamente senza temere d’incorrere nell’infamia.

Io fui un guerriero, e poi fui anche frate di San Francesco
(cordigliero), credendo, cingendomi con il suo cordone, di fare
penitenza; e sicuramente avrei raggiunto anche il mio scopo,

se non fosse stato per il Papa (che lo pigli un accidente!),
che mi fece ricadere nei miei primi peccati;
e il come e il perchè successe, io voglio che tu li sappia.

Nel tempo in cui io fui vivo, nella forma di quel corpo di carne
ed ossa che mi diede la mia madre, le mie azioni non furono
mai di persona coraggiosa come il leone, ma astuta come la volpe.

gli accorgimenti e le vie nascoste, le finzioni,
io li conobbi tutti, e li utilizzai con così tanta arte,
che la loro fama arrivò sino ai confini del mondo.

Quando mi vidi giunto in quella parte della
vita (la vecchiaia) in cui tutti dovrebbero
calare le vele e raccogliere le corde,

mi pentii di quello che prima ero così contento d’aver fatto,
e mortificato e confessato entrai in religione;
ahi povero sciocco! e mi avrebbe certamente fatto bene.

Invece ecco Papa Bonifacio VIII, il principe dei nuoi farisei,
che muove guerra contro i Colonnesi vicino a Roma, presso Laterano,
e non contro i Saraceni o contro i Giudei,

perchè tutti i suoi nemici erano invece cristiani, ma nessuno
di loro era di quegl’infedeli che avevano preso d’assalto San Giovanni
d’Acri, e nemmeno avevano mercanteggiato in terra mussulmana;

né la somma dignità di ponteficie né il sacro carattere del sacerdozio
rispettò in sè, e nemmeno in me rispettò quel cordone francescano
che è solito rendere più magro chi lo porta, per spirito di penitenza.

Infatti, così come Constantino mandò a cercare il papa S. Silvestro,
rifugiatosi nel monte Soratte, per guarire dalla lebbra;
così Bonifacio VIII mi mandò a chiamare per essere il suo medico

e per guarirlo dalla sua superba febbre della prepotenza: mi chiese
consiglio sulla battaglia con i Colonnesi, ma io non dissi nulla
perchè le sue sembravano le parole di un folle.

Poi mi disse, per farmi coraggio: “Il tuo cuor non abbia sospetti
di ricadere nella colpa; io ti assolvo già da ora;
però tu insegnami come fare a sconfiggere Palestrina.

Le porte del paradiso io le posso aprire o chiudere,
come tu ben sai; perchè sono due le chiavi,
che al mio predecessore, Celestino V, non importarono molto”.

Allora questi argomenti tanto autorevoli mi spinsero fino
al punto di ritenere che il tacere sarebbe stato peggio che rispondere,
e dissi allora: “Padre, visto che tu già mi assolvi

da quel peccato in cui devo cadere, il mio consiglio è:
promettere molto per poi mantenere poco
ti farà trionfare nella tua suprema autorità”.

Quando morii, San Francesco venne da me per prendermi con sé,
ma uno dei neri demoni gli si oppose
e gli disse: “Non portarlo con te: lasciamelo, non farmi torto.

Deve venire giù nell’inferno tra i mie schiavi, perchè diede
un consiglio frodolento, dato il quale, gli sono sempre
stato vicino per riuscire a prenderlo per i capelli al momento opportuno;

perchè non si può assolvere chi non si pente, né, d’altra parte,
è possibile volere il peccato e allo stesso tempo pentirsene,
non si può per la contraddizione che non lo permette”.

Oh povero me! come trasalii
quando mi prese con sé e mi disse: “Forse
tu non pensavi che io fossi un buon ragionatore!”

Mi portò a Minosse; e lui si avvolse
per otto volte la coda attorno al proprio dorso duro;
e poi, dopo essersela morsa in un impeto di grande rabbia,

disse: “Costui deve andare con i peccatori del fuoco ladro,
che li nasconde”; perciò eccomi, dove mi vedi, perduto,
e così vestito di questa fiamma, che vago intorno e mi rammarico”.

Dopo aver terminato così il suo discorso,
Guido da Montefeltro se ne andò dolorante nella fiamma,
contorcendola e facendone vibrare la punta aguzza.

Io e Virgilio procedemmo oltre,
su per lo scoglio fino a raggiungere l’altro arco
che sovrasta la nona bolgia dove subiscono la giusta punizione

coloro che, portando a divisioni, si caricano la coscienza di peccati.

 < Parafrasi Canto 26Parafrasi Canto 28 >