30
Era una de le fonti di Merlino,
de le quattro di Francia da lui fatte,
d’intorno cinta di bel marmo fino,
lucido e terso, e bianco più che latte.
Quivi d’intaglio con lavor divino
avea Merlino imagini ritratte:
direste che spiravano, e, se prive
non fossero di voce, ch’eran vive.
31
Quivi una bestia uscir de la foresta
parea, di crudel vista, odiosa e brutta,
ch’avea l’orecchie d’asino, e la testa
di lupo e i denti, e per gran fame asciutta;
branche avea di leon; l’altro che resta,
tutto era volpe: e parea scorrer tutta
e Francia e Italia e Spagna ed Inghelterra,
l’Europa e l’Asia, e al fin tutta la terra.
32
Per tutto avea genti ferite e morte,
la bassa plebe e i più superbi capi:
anzi nuocer parea molto più forte
a re, a signori, a principi, a satrapi.
Peggio facea ne la romana corte,
che v’avea uccisi cardinali e papi:
contaminato avea la bella sede
di Pietro e messo scandol ne la fede.
33
Par che dinanzi a questa bestia orrenda
cada ogni muro, ogni ripar che tocca.
Non si vede città che si difenda:
se l’apre incontra ogni castello e rocca.
Par che agli onor divini anco s’estenda,
e sia adorata da la gente sciocca,
e che le chiavi s’arroghi d’avere
del cielo e de l’abisso in suo potere.
34
Poi si vedea d’imperiale alloro
cinto le chiome un cavallier venire
con tre giovini a par, che i gigli d’oro
tessuti avean nel lor real vestire;
e, con insegna simile, con loro
parea un leon contra quel mostro uscire:
avean lor nomi chi sopra la testa,
e chi nel lembo scritto de la vesta.
35
L’un ch’avea fin a l’elsa ne la pancia
la spada immersa alla maligna fera,
Francesco primo, avea scritto, di Francia;
Massimigliano d’Austria a par seco era;
e Carlo quinto imperator, di lancia
avea passato il mostro alla gorgiera;
e l’altro, che di stral gli fige il petto,
l’ottavo Enrigo d’Inghilterra è detto.
36
Decimo ha quel Leon scritto sul dosso,
ch’al brutto mostro i denti ha ne l’orecchi;
e tanto l’ha già travagliato e scosso,
che vi sono arrivati altri parecchi.
Parea del mondo ogni timor rimosso;
ed in emenda degli errori vecchi
nobil gente accorrea, non però molta,
onde alla belva era la vita tolta.
37
I cavallieri stavano e Marfisa
con desiderio di conoscer questi
per le cui mani era la bestia uccisa,
che fatti avea tanti luoghi atri e mesti.
Avenga che la pietra fosse incisa
dei nomi lor, non eran manifesti.
Si pregavan tra lor, che se sapesse
l’istoria alcuno, agli altri la dicesse.
38
Voltò Viviano a Malagigi gli occhi,
che stava a udire, e non facea lor motto:
– A te (disse) narrar l’istoria tocchi,
ch’esser ne déi, per quel ch’io vegga, dotto.
Chi son costor che con saette e stocchi
e lance a morte han l’animal condotto? –
Rispose Malagigi: – Non è istoria
di ch’abbia autor fin qui fatto memoria.
39
Sappiate che costor che qui scritto hanno
nel marmo i nomi, al mondo mai non furo;
ma fra settecento anni vi saranno,
con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator britanno,
fe’ far la fonte al tempo del re Arturo;
e di cose ch’al mondo hanno a venire,
la fe’ da buoni artefici scolpire.
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