LA VEDOVA di Giacomo Coniglione

In quella chiesa lugubre e inondata di sì tanto incenso tutti piangono. Perfino il parroco, un omino in gonnella che non disdegna la compagnia dei masculi- in paesi tutti si dicono di saperlo da tempo-, benché aduso ai sermoni e alle parabole della vita, più volte, durante l’omelia, ha dovuto trattenere la commozione.

Ed anche io piango e sento che devo piangere più di tutti perché sono la moglie di Aldo Sinatra, l’uomo per cui tutto il paese si è raccolto in silenzio per celebrarne il funerale e venerarne la memoria.

Ed io sì che so come si piange, mentre mio figlio poggia la testa su di me  e, con l’altra mano, mi abbraccia tutta. Ed io anche per lui piango, per mio figlio Federico che è rimasto orfano di padre a giovine età, e non per altro, ché della sua morte se non posso dire di esserne proprio contenta, in egual misura non posso dire nemmeno di esserne cosi addolorata come devo far credere. Ché gli occhi del paese tutti su di me sono puntati, per vedere quante lacrime quella curnutazza di Rosetta verserà a quel disgraziato di suo marito.

Io soprattutto per me stessa piango. Ché in vent’anni di matrimonio di pene ne ho viste tante, e non tutte le racconterò a mio figlio ché voglio lasciargli un bel ricordo di suo padre. Ché molte cose le sa, ché molte volte abbiamo litigato in sua presenza.

Io non me lo ricordo più dove ho conosciuto Aldo, se qualcuno me l’ha presentato. Ricordo solo che mia madre ha insistito sin da subito a che ci sposassimo, manco potesse fuggire Aldo. E manco fossimo vecchi. Io ero appena uscita dall’adolescenza. Conoscevo appena il mio corpo. Sapevo solo che una volta al mese noi donne diamo il sangue e che dobbiamo nasconderlo nei panni di lino, tra le mutande, come fosse peccato mortale.

A suo tempo Aldo era un bell’uomo e soddisfazioni ne sapeva dare ma solo a letto, piaceri che solo col tempo ho saputo riconoscere e decifrare. Era solo in quei momenti, nel nascondimento delle lenzuola e nella segretezza delle candele spente- ché se era davvero peccato mortale come ci avevano insegnato i preti era meglio lasciare satanasso al buio- che io posso dire di averlo amato, di esserci stata bene con lui. Che poi io altri uomini non ne ho mai conosciuti e quindi non saprei dire in fin dei conti se fosse realmente così bravo, più bravo degli altri.

Per il resto solo pene, un continuo calvario.

Aldo l’arte del fabbro la conosceva bene. Aveva imparato sin da piccolo e poi era andato sino al continente a fare pratica. Ma voglia di lavorare ne aveva poca, si alzava tardi la mattina ché la sera giocava fino a tardi al Circolo ricreativo dei marpioni come dico io. E lì una volta si giocò pure dieci salme di terra ed io ci persi la salute. Ché le malattie non è che vengono a caso, soprattutto l’ulcera.

E che se oggi è morto, io … non sono poi così addolorata ché croci addosso me ne ha messe anche troppo, più delle corna stesse, ché io e la mia famiglia economicamente sempre bene siamo stati ed invece a causa della sua accidia  e incontinenza, io … a lavorare me ne sono dovuta andare. Ne lavo di scale io ogni giorno nei palazzi dei nobili del paese. Che mia madre dalla vergogna c’è pure morta di crepacuore e mio padre, con la scusa dell’artrosi, manco più in piazza scende più.

Aldo, Aldo si è perso grazie a suo compare Nunzio. Ché lui, figlio di quella buona donna di Mariuzza a sciancata, lui gliel’ha insegnata l’arte di andare di inseguire le sottane e di bere ogni giorno bicchierini. Ché prima, Alduzzo mio, solo il vizio del fumo aveva. Vero: un pacchetto e mezzo di Nazionali al giorno ma ad uomo almeno un vizio glielo vogliamo lasciare? Se no, che masculu è?

U figghiuzzu miu, Federico, piange a dirotto da ieri. Ed anche io piango insieme  a lui. Ma non perché sono addolorata di aver perso Alduzzo. Piango perché ho avuto la sventura di conoscerlo, sposarlo, di non aver avuto il coraggio di cacciarlo di casa. Piango e consumo fazzoletti. Piango perché è stato un cattivo marito. Piango perché andava a puttane. Piango perché non portava i soldi a casa e se li spendeva in osteria. Piango perché voglio che la gente pensi che Rosetta Marzullo, maritata Sinatra- com’è giusto che sia-  è una santa vedova che piange per il marito morto a causa di una caduta da un’impalcatura.