Parafrasi canto 8 (VIII) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto VIII del Purgatorio – Giunti nella valle fiorita che accoglie le anime dei sovrani ed è sorvegliata da due angeli, Dante e Virgilio incontrano prima Ugolino Visconti e poi Corrado Malaspina, che predice al poeta il suo futuro esilio.
Quando arriva il serpente del peccato originale, i due angeli guardiano si mettono subito in movimento e scacciano l’animale.

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Era ormai giunta l’ora del tramonto, che spinge
i marinari alla nostalgia e li fa commuovere ripensando al giorno
in cui sono partiti ed hanno detto addio agli amici più cari;

l’ora in cui il viaggiatore, da poco partito, viene spinto
a ricordare l’amore, se sente provenire da lontano il
suono di una campana, che sembra piangere il giorno che muore;

quando io incominciai a non preoccuparmi più
di ciò che udivo e guardai una delle anime che si era alzata,
e gesticolando con la mano chiedeva di essere ascoltata.

Quell’anima unì le mani e le alzò al cielo,
fissando il proprio sguardo verso oriente,
come per dire a Dio “Di altro non mi importa”.

L’inno ‘Te lucis ante’ con tanta devozione
le uscì dalla bocca e con una intonazione tanto dolce,
che fui come rapito, rimasi estasiato;

tutte le altre anime, con la stessa dolcezza e devozione,
la seguirono nel canto di tutto l’inno,
tenendo lo sguardo fisso alle sfere celesti.

Lettore, fai adesso molto attenzione alla verità in ciò che ti
racconto, perché il velo che la ricopre è ora tanto sottile
che è facile oltrepassarlo per poterla comprendere.

Io vivi quel gruppo di anime nobili
fissare lo sguardo al cielo in silenzio, come ad
aspettare qualcosa, in atteggiamento timoroso e umile;

e vidi quindi apparire in cielo, e scendere giù verso di loro,
due angeli con le spade infuocate,
troncate all’estremità, prive della loro punta.

Verdi, come tenere foglie appena spuntate,
erano le vesti dei due angeli, e le loro ali, anch’esse verdi,
le agitavano e smuovevano, facendole svolazzare.

Uno dei due si piazzò poco sopra di noi, al limite superiore della
valle, e l’altro si mise sul lato opposto della stessa,
così da chiudere tra di loro tutta la folla di anime.

La loro chioma bionda era facilmente distinguibile; il mio
sguardo si smarriva invece nel tentativo di guardarli in viso,
come una virtù tanto grande da non poter essere ben definita.

“Entrambi gli angeli sono stati inviati dalla Madonna”,
spiegò Sordello, “per stare a guardia della valle,
proteggendola dal serpente che prima o poi verrà a minacciarla.”

Allora io, che non sapevo da quale direzione sarebbe arrivato,
mi guardai intorno timoroso, e mi strinsi,
gelato dalla paura, alle spalle della mia fidata guida.

Sordello continuò il suo discorso: “Scendiamo adesso a valle,
tra le anime di quelle nobili persone, per parlare loro;
sarà per loro un grande piacere vedervi.”

Credo di aver fatto solo pochi passi verso il basso
che già mi trovai nella valle, e vidi uno che mi osservava
attentamente, come sforzandosi di riconoscermi.

Era ormai giunta l’ora in cui il cielo diventa nero,
ma non tanto che ai suoi occhi ed ai miei non apparisse chiaro
ciò che che prima era incerto, se ci conoscevamo.

Lui venne verso di me ed io andai verso di lui:
nobile giudice Nino, Ugolino Visconti, quanto mi fece piacere
vedere che non ti trovavi tra le anime dannate!

Ci salutammo in tutti i modi più cortesi, senza saltarne uno;
poi lui mi domandò: “Da quanto tempo sei arrivato
ai piedi del monte del purgatorio, attraverso l’immenso oceano?”

Risposi: “Oh, ti sbagli! Attraversando i luoghi tristi dell’inferno,
sono arrivato questa mattina, vivo ancora la mia vita mortale,
e con questo viaggio cerco di meritarmi l’altra, quella eterna.”

Subito dopo aver ascoltato la mia risposta,
Sordello e Nino indietreggiarono un poco,
come chi rimane confuso per un improvviso stupore.

Uno guardò Virgilio, l’altro rivolse invece lo sguardo ad un’anima
che sedeva lì vicino, gridandogli: “Alzati Corrado!
Viene a vedere che cosa ha voluto la grazia di Dio.”

Poi, rivolto a me disse: “Per quella particolare gratitudine
che devi a Dio, colui che nasconde tanto bene
il motivo delle sue azioni, che non c’è modo di scoprirla,

quando sarai dall’altra parte dell’oceano, nuovamente tra i vivi,
chiedi a mia figlia Giovanna di pregare Dio in mio favore,
là dove le richieste degli innocenti possono trovare una risposta in Dio.

Non credo che sua madre mi ami ancora, dopo che abbandonò,
per sposarsi nuovamente, le bianche bende del lutto,
che, povera infelice, dovrà però indossare nuovamente.

Dal suo atteggiamento si vede facilmente
quanto possa durare in una donna il fuoco d’amore, quando gli
occhi e le mani dell’amante non lo alimentano di frequente.

Non le darà una sepoltura così bella, non le ornerà la tomba così
bene, lo stemma con la vipera sotto il quale i milanesi
combattono, come avrebbe potuto invece fare il mio gallo, stemma della Gallura.”

Disse queste parole, segnato
nell’aspetto da un’espressione di indignazione
che senza eccessi, in modo misurato, gi ardeva nel cuore.

I miei occhi, curiosi, si rivolgevano spesso al cielo,
verso il polo, là dove le stelle sono più lente nel movimento,
così come una ruota è più lenta in prossimità del proprio asse.

Mi chiese Virgilio: “Figliolo, cosa guardi su in cielo?”
Gli risposi: “Sto guardando quelle tre stelle,
la cui luce fa risplendere tutto il polo antartico.”

Mi disse allora la mia guida: “Le quattro stelle luminose
che hai visto questa mattina, sono ormai basse sotto l’orizzonte,
e queste tre hanno preso il loro posto in cielo.”

Mentre Virgilio parlava, Sordello lo tirò a sé,
dicendo: “Guarda il nostro nemico!”
e stese il dito per indicare dove guardare.

Dalla parte in cui non era riparata dal monte
quella piccola valle, c’era un serpente, forse quello stesso
che spinse Eva a mangiare la mela, per poi subirne le amare conseguenze.

Quel malefico serpente strisciava tra l’erba ed i fiori,
girando da una parte e dall’altra il capo, e leccandosi il dorso
come fanno le bestie quando si lisciano il pelo.

Non vidi, e perciò non posso raccontare,
in che modo i due angeli celesti si mossero, come uccelli rapaci;
ma li vidi molto bene dopo che si lanciarono verso il serpente.

Sentendo il rumore dell’aria percossa da quelle ali verdi,
il serpente subito fuggì e gli angeli poterono tornare indietro,
volando in alto insieme verso i due posti di guardia.

Lo spirito che si era avvicinato al giudice, dopo essere stato
da lui chiamato, durante tutta la durata di quell’attacco
tenne sempre fisso su di me lo sguardo.

“Ti auguro che la luce della Grazia divina che ti conduce
fino al cielo, possa trovare in te tutta quella forza di volontà
che è necessaria per poter salire fino al Paradiso, alla vetta del monte”,

cominciò a dire quell’anima, “se hai notizie vere
sulla Val di Magra o sui luoghi vicini,
raccontameli, perché là, in vita, ero un personaggio importante.

Il mio nome fu Corrado Malaspina;
non il Corrado capostipite dei Malaspina, ma un suo discendente;
rivolsi troppo amore alla mia famiglia, e per questo sconto qui la mia pena.

Dissi io a lui: “Nelle vostre terre
non sono mai stato; ma esiste un luogo abitato
in tutta l’Europa dove esse non siano conosciute?

La fama che onora la vostra famiglia
esalta i vostri signori ed il vostro territorio,
così che sono conosciuti anche da chi non c’è ancora stato là;

e vi giuro, possa mai salire in cima al monte,
che la vostra gente non ha smesso di meritarsi
la massima ricchezza e il massimo valore militare.

Le sue abitudini e la sua stessa natura la rendono tanto
straordinaria che, nonostante Roma corrotta distolga il mondo
intero dal seguire la retta via, essa prosegue da sola nella giusta via e disprezza il male.

Mi disse Corrado: “Vai ora; perché il sole non passerà per più di
sette volte nella costellazione dell’Ariete, che con le sue quattro
zampe copre il cielo, non passeranno più di sette primavere, più di sette anni,

prima che questa tua gentile opinione riguardo ai Malaspina,
ti sarà inchiodata nella testa
con chiodi più convincenti delle dicerie d’altre persone,

a meno che non si arresti il corso delle decisioni divine.”

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