Parafrasi canto 12 (XII) del Paradiso di Dante

Parafrasi del Canto XII del Paradiso – Bonaventura da Bagnoregio (un francescano) racconta la storia di San Domenico, splendore di sapienza e saldo comandante nella guerra contro gli eretici. Alla fine del canto il frate muove una critica alla corruzione dei frati francescani del tempo di Dante.

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Non appena l’ultima parola
fu pronunciata da San Tommaso,
il cerchio di anime sante cominciò a ruotare;

e non fece in tempo a completare un giro intero
che fu subito circondato da un altro cerchio di anime,
che accordò a primo il proprio movimento ed il proprio canto;

un canto tanto superiore all’arte
ed alla dolcezza dei nostri poeti, in quei suoi dolci strumenti,
quanto la luce diretta supera quella riflessa.

Come si incurvano nel cielo attraverso una tenue nuvola
due arcobaleni tra loro paralleli ed identici nei colori, quando
Giunone ordina alla sua ancella Iride di scendere in Terra,

e quello interno nasce da quello esterno,
simile alla voce della ninfa Eco (voce errante)
che per amore ci consumò come nebbia al sole,

e rendono la gente della Terra certa
che, grazie al patto che Dio fece con Noè,
sul mondo non si abbatterà più il diluvio universale:

allo stesso modo quelle anime eternamente beate
facevano ruotare intorno a noi le loro due corone,
e così quella più esterna si adeguò a quella interna.

Dopo che la danza ed il grande ardore del canto,
svolti all’unisono e con un rispondersi a vicenda nello splendore
tra quelli luci beate e caritatevoli,

si arrestarono nello stesso momento e con volontà unanime,
come solo gli occhi, reagendo allo stimolo che li muove,
riescono a fare chiudendosi ed aprendosi insieme;

dal profondo di una delle anime appena arrivate uscì una voce,
che all’ago della bussola, attratto dalla stella polare,
mi fece assomigliare, obbligandomi a girarmi verso lei;

e cominciò: “La carità, che mi fa risplendere di bellezza, mi
induce a parlarti del fondatore dell’altro ordine (S. Domenico),
che ha spinto altri a tessere le lodi del fondatore del mio di ordine (San Francesco).

È giusto che dove si parli di uno si ricordi poi anche l’altro:
in modo che, così come essi combatterono insieme,
allo stesso modo la loro gloria risplenda insieme.

L’esercito dei cristiani, che Cristo acquistò ad un così
caro prezzo, seguiva l’insegna della Santa Chiesa
lentamente ed in modo confuso, ed era scarso di uomini,

quando Dio, eterno comandante, venne in soccorso
ai suoi soldati, che erano incerti del futuro, spinto solo
dalla sua misericordia, non perché essi lo meritassero;

e, come è già stato detto, venne in soccorso alla Chiesa
con due difensori, intorno alle cui opere e parole
si raccolse il popolo smarrito.

Ad occidente, dove il dolce vento di Zefiro si leva
in primavera per svegliare le verdi foglie
con cui si riveste l’Europa,

non molto lontano dalla costa atlantica, dietro le cui onde,
dopo il suo lungo corso estivo, il sole talvolta,
nel solstizio d’estate, tramonta nascondendosi all’uomo,

si trova la fortunata città di Calaruega,
protetta dal re di Castiglia, nel cui stemma
sono rappresentate due torri e due leoni disposti a scacchiera:

in quella città nacque l’appassionato amante
della fede cristiana, il santo atleta
benevolo verso i suoi simili e spietato con i nemici della fede;

e non appena creata, la sua anima fu riempita
di virtù tanto efficace da rendere
sua madre presaga, quando ancora era nel suo grembo.

Dopo che ebbe ricevuto il battesimo, fu compiuto il
il suo matrimonio con la fede alla sacra fonte,
dove si portarono entrambi in dote la salvezza,

la sua madrina, che diede il consenso per lui al battesimo,
vide in sogno le mirabili opere
che avrebbero dovuto compiere lui ed i suoi eredi;

ed affinché il suo nome potesse esprimere la sua natura,
dal cielo discese l’ispirazione di chiamarlo con il nome
che indica la completa appartenenza a Dio.

Fu chiamato Domenico; ed io ne parlo
come dell’agricoltore che Cristo
scelse per aiutarlo a coltivare il suo orto.

Si mostrò subito un buon inviato e servitore di Cristo:
tanto che il primo il primo sentimento che si manifestò in lui
fu per il primo consiglio dato da Cristo (umiltà e povertà).

Spesse volte fu trovato giacere silenzioso e sveglio
a terra dalla sua balia,
come se dicesse: “Io sono venuto al mondo per questo.”

Beato suo padre, Felice di nome e di fatto!
Beata sua madre, veramente una Giovanna,
se davvero il nome si deve interpretare come “Grazia di Dio”!

Non per desiderio di gloria mondana, per cui oggi ci si affanna
dietro al vescov di Ostia, Enrico di Susa, e Taddeo d’Alderotto,
ma solo per amore del cibo spirituale

Domenico diventò in poco tempo un gran teologo;
tanto che iniziò subito a vegliare, girandogli intorno,
sulla vigna di Dio (la Chiesa), che fa presto a seccarsi se il vignaiolo è disonesto.

Ed alla Santa Sede, che in passato fu più benevola di oggi
verso i poveri onesti, non per causa sua ma a causa di colui
che la detiene, il pontefice, allontanatosi dal retto cammino,

non chiese di distribuire solo un terzo o la metà di quanto
raccolto, di avere la rendita del primo posto vacante,
di godere delle decime (tasse), che appartengono ai poveri di Dio,

ma chiese invece soltanto il permesso di combattere contro
gli errori del mondo cristiano, in difesa di quel seme
della fede cristiana da cui nacquero le ventiquattro anime che ora ti circondano.

Poi, sostenuto dalla propria scienza teologica e  dalla volontà,
con il mandato del Papa partì impetuoso
come un torrente che sgorga dalle profondità;

e contro l’erbaccia dell’eresia scagliò
il proprio impeto, più violentemente laddove
trovava una maggiore resistenza.

Da lui si staccarono poi diversi suoi seguaci che, come
fossero ruscelli, irrigano il giardino della Chiesa
rendendo le sue piantine più resistenti.

Se tale fu una delle due ruote della biga
con cui la Santa Chiesa si difese
e vinse in battaglia la sua guerra civile contro gli eretici,

dovresti ben comprendere
l’eccellenza dell’altra ruota (San Francesco), di cui S. Tommaso
ti ha parlato con tanta venerazione prima che io arrivassi.

Ma la strada che fu tracciata dalla
sua ruota è stata ormai abbandonata,
cosicché c’è ora la muffa là dove prima c’era il buon vino.

La sua famiglia, i seguaci di S. Francesco, che da principio
si erano mossi dietro ai suoi passi, hanno ora tanto cambiato
direzione da procedere addirittura in senso contrario;

e presto si vedrà quale sarà il raccolto risultato di quel cattivo
modo di coltivare, quando la zizzania (i Frati) si dispiacerà
di non poter più entrare nel granaio (nel Paradiso).

Credo che chi cercasse tra i francescani, foglio per foglio,
come in un libro, potrebbe ancora trovare qualche pagina
su cui poter leggere “Io sono umile come ero solito essere”;

ma non saranno certamente i francescani seguaci di Ubertino
da Casale né di Matteo d’Acquasparta, da dove proviene chi
la Regola in un caso la elude e nell’altro la irrigidisce.

Io sono l’anima di Bonaventura da Bagnoregio,
e rispetto alle grandi cariche ecclesiastiche che rivestii,
misi sempre in secondo piano la cura dei beni terreni.

Ci sono qui anche Illuminato e Agostino,
che furono i primi poverelli scalzi, discepoli di S. Francesco,
ad entrare in contatto con Dio nel rispetto della Regola.

Qui con loro ci sono anche Ugo di San Vittore,
Pietro Mangiatore e Pietro Ispano, la cui fama
risplende ancora nei dodici libri delle ‘Summulae logicales’;

il profeta Natan ed il vescovo di Costantinopoli
Giovanni Crisostomo, Anselmo d’Aosta e quel Donato
che si occupò della prima delle arti liberali, la grammatica.

C’è qui Rabano Mauro, e risplende al mio fianco
l’abate calabrese Gioacchino da Fiore,
dotato di spirito profetico.

Ad elogiare un così grande paladino della fede
mi spinse l’ardente cortesia
di San Tommaso ed il suo sapiente discorso;

che seppe accendere di gioia anche queste anime che sono in mia compagnia.

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