Parafrasi COMPLETA canto 6 (VI) del poema Orlando Furioso

Parafrasi COMPLETA del Canto 6 (VI) del poema Orlando Furioso (Ruggiero sull’isola di Alcina e l’incontro con Astolfo) – Terminata l’avventura di Ariodante e Ginevra, Ariosto torna a raccontare nel canto 6 le vicende di Ruggiero ed in particolare il suo arrivo sull’isola della maga Alcina. Il cavaliere incontra Astolfo, trasformato in mirto dalla maga, e viene così a sapere gli inganni a cui potrebbe andare incontro. Nonostante gli avvertimenti, Ruggiero si lascia però comunque affascinare da due donne e fa il suo ingresso nel regno fatato.

Leggi il testo del canto 6 (VI) del poema Orlando Furioso

1
Povero colui che facendo del male si illude
che il suo misfatto possa rimanere sempre segreto;
perché quand’anche ogni altra persona lo taccia, intorno a lui
grida l’aria e la stessa terra in cui il misfatto è stato nascosto:
e Dio fa spesso in modo che il peccato porti
lo stesso peccatore, dopo avergli concesso del tempo per pentirsi,
a rivelarsi, senza essere sollecitato da altri,
involontariamente.

2
Il povero Polinesso aveva creduto
di poter completamente tenere segreto il suo delitto,
essendosi levato di torno, avendo ucciso, Dalinda,
l’unica persona che avrebbe potuto raccontarlo ad altri:
ma avendo così aggiunto al primo un secondo peccato,
affrettò quel male che avrebbe potuto invece rimandare,
che poteva rimandare ed anche forse evitare; ma invece,
precipitandosi da solo verso la propria rovina, affrettò la morte:

3
e perse così allo stesso tempo gli amici, la vita e la posizione
sociale, ed anche l’onore, che è il danno più grave tra tutti.
Dissi prima che il cavaliere fu pregato vivamente di mostrare
il suo volto, e che nessuno sa ancora chi lui sia.
Infine si tolse l’elmo, ed il suo viso amato da Ginevrà
scoprì, un viso che più volte tutti avevano visto:
e mostrò quindi di essere Ariodante,
fino ad allora pianto per morto in tutta la Scozia;

4
Ariodante, che Ginevra aveva pianto
per morto, ed anche il fratello aveva pianto per lui,
ed il re, la corte e tutto quanto il popolo:
risplendeva di una grande bontà, di una grande valore.
Dunque il pellegrino aveva mentitò a proposito
di quanto aveva raccontato di lui, almeno così sembrava;
eppure era vero che dalla scogliera
lo vide gettarsi di testa in mare.

5
Ma (come spesso capita ad una persona disperata,
che prima di essere sul punto di morire vuole e desidera la morte,
per poi odiarla quando la vede arrivare,
tanto gli sembra quel passo difficile da affrontare)
Ariodante, dopo essersi gettato in mare
si pentì di essersi voluto uccidere; ed essendo forte,
essendo abile e coraggioso più di ogni altra persona,
si mise a nuotare e ritornò sulla terra ferma;

6
e disprezzando e definendo folle
il desiderio che aveva avuto di morire,
si mise a camminare tutto bagnato fradicio,
fino ad arrivare al rifugio di un eremita.
In quel posto volle stare nascosto
fintanto che non fosse venuto a sapere
se Ginevra si rallegrasse alla notizia della sua morte,
o se invece fosse triste e commossa.

7
Venne a sapere inizialmente, che per il grande dolore
Ginevra era stata anche sul punto di morire
(la notizia di questa sua condizione si sparse in modo tale,
che se ne parlò in tutta l’isola):
risultato completamente opposto a quello che aveva erroneamente
pensato di ottenere con il suo suicidio.
Venne poi a sapere come Lurcanio aveva
accusato Ginevra di fronte al padre.

8
Non arse d’ira verso il fratello Lurcanio meno
di quanto già ardesse d’amore per la bella Ginevra;
perché gli sembrò una azione troppa ingiusta e crudele,
sebbene l’avesse fatta per lui stesso.
Avendo sentito infine che per Ginevra non si era presentato
nessun cavaliere intenzionato a difenderla
(poiché Lurcanio era tanto forte e valoroso,
che chiunque si guardava bene dallo sfidarlo;

9
e chi lo conosceva, lo giudicava,
tanto assennato, e tanto saggio e cauto,
che se non fosse stato vero ciò che aveva raccontato,
non avrebbe di sicuro rischiato di essere ucciso;
per questo motivo la maggior parte della gente temeva
di assumere la difesa di Ginevra contro la ragione);
Ariodante, dopo averci ragionato a lungo,
decise di opporsi personalmente all’accusa mossa dal fratello.

10
Si ripeteva: “Ahimè, io non potrei
venire a sapere che lei è morta per colpa mia:
la mia morte sarebbe troppo crudele e severa
se dovessi vedere morire lei prima di me.
lei è pur sempre la mia donna e colei che adoro,
ed è pur sempre anche la luce dei miei occhi: conviene quindi
che a torto o a ragione, per la sua salvezza mi prenda carico
dell’impresa, e resti ucciso sul campo di battaglia.

11
So bene di scegliere la parte del torto; e che il torto sia:
e morirò per questo; ma ciò non mi scoraggia, se non
per il fatto che mi rendo conto che a causa della mia morte
una così bella donna verrà a sua volta uccisa.
Un solo pensiero mi sarà di conforto alla mia morte,
che, se anche il suo Polinesso la ama,
lei avrà comunque potuto chiaramente vedere
che non si è però ancora mosso per darle il suo aiuto;

12
e me, che ha invece chiaramente offeso,
vedrà andare incontro alla morte per salvarla.
Di mio fratello anche, lui che ha acceso
tutto questo fuoco, mi voglio vendicare allo stesso tempo;
perché io lo farò soffrire, quando avrà capito
quale è stato l’esito (la mia morte) del suo crudele proposito:
crederà di essere riusciuto a vendicare suo fratello
quando invece gli avrà dato la morte con la sua mano.”

13
Dopo aver concluso questo suo pensiero,
trovò nuove armi ed un nuovo cavallo;
ed una sopravveste dell’armatura di colore nero, ed uno scudo nero
(a lutto) portò con sé, con fregi di colore verdegiallo (dolore
ed una punta di speranza). Trovò per caso uno scudiero
che era sconosciuto in quel paese, e lo portò con sé;
e da sconosciuto (come vi ho già raccontato)
andò armato incontro a suo fratello.

14
Vi ho già raccontato ciò che è successo dopo,
come Ariodante venne riconosciuto da tutti.
Il Re non provò gioia minore di quella che aveva provato
poco prima per la liberazione della figlia.
Tra sé pensò che mai si sarebbe potuto
trovare un amante più fedele e sincero;
che dopo un simile affronto, una simile offesa, aveva
comunque preso la difesa di Ginevra contro il suo stesso fratello.

15
E assecondando una sua stessa inclinazione (poiché l’amava tanto)
e assecondando le preghiere di tutta la corte,
ed anche di Rinaldo, che insisteva più degli altri,
lo fece consorte della sua bella figlia, lo sposò a Ginevra.
Il ducato di Albany, che torneva in possesso del Re
dopo che Polinesso era stato ucciso,
non avrebbe potuto restare vacante in tempi migliori,
dal momento che fu subito dato dal Re in dote alla figlia.

16
Rinaldo ottenne con preghiere la grazia per Dalinda,
che se ne potè quindi andare via assolta da una così grave colpa;
la quale Dalinda, per vocazione e per il fatto che era
oramai stanca del mondo, rivolse poi a Dio la propria mente:
andò fino in Danimarca per farsi monaca,
e se ne andò quindi immediatamente dalla Scozia.
Ma è oramai giunto il momento di andare a ritrovare Ruggiero,
che sta ancora percorrendo il cielo in sella al cavallo volante.

17
Sebbeno Ruggiero sia di animo imperturbabile e non abbia
nemmeno perso il suo solito colore, non sia impallidito,
non voglio però credere che non abbia
nel petto un cuore tremante più di una foglia.
Aveva oramai lasciato a grande distanza
tutta l’Europa ed aveva anche oltrapassato
di gran lunga il limite che aveva prefissato molto tempo prima
Ercole per tutti i marinai (le colonne d’Ercole).

18
Quell’Ippogrifo, grande e strano ucello,
lo porta via, lontano, con una tale rapidità di ali,
che avrebbe lasciato molto indietro anche l’aquila, che,
secondo la leggenda, porta velocemente a Giove i fulmini.
Nessun altro animale si muove nell’aria tanto agilmente
da essergli pari per velocità:
credo che a malapena il tuono e la saetta
riescano a giungere a terra dal cielo in minore tempo.

19
Dopo che l’uccello ebbe percorso una lunga distanza
in linea retta senza mai cambiare direzione,
eseguendo una ampia spirale, ormai stanco del cielo, cominciò
infine a scendere di quota per raggiungere un’isola (di Alcina),
simile a quella (la Sicilia) dove, dopo aver fatto soffrire a
lungo il suo amante (Alfeo) ed essersi a lungo da lui nascosta,
la ninfa Aretusa (trasformata in fonte) si trasferì inutilmente
(seguita da lui) lungo un corso sotterraneo in fondo al mare.

20
Mai un paese più bello ed allegro vide
dal cielo in cui aveva finora volato, spiegato le sue ali;
e mai se avesse comunque cercato in tutto il mondo,
avrebbe potuto vedere un paese più leggiadro,
dove, dopo aver compiuto ampie spirali,
il grande uccello discese portando con sé Ruggiero:
pianure coltivate e morbide colline,
acque limpide, rive ombrose e soffici prati.

21
Bei boschetti di profumati allori,
di palme e di gioiosi mirti,
cedri ed aranci che avevano frutti e fiori
intrecciati in varie e sempre belle forme,
davano riparo dall’ardente calore dei giorni estivi
con i loro fitti ombrelli, con la loro fitta chioma;
e tra quei rami con voli sicuri (senza timore)
si muovevano cantando gli uccellini.

22
Tra le rose rosse ed i gigli bianchi,
che un tiepido venticello conserva freschi ogni ora,
si vedevano conigli e lepri sicuri,
e cervi con la loro fronte alta ed orgogliosa,
senza il timore che qualcuno li possa uccidere o catturare,
pascolare o intenti a ruminare l’erba;
saltellano in giro daini e caprioli veloci ed abili,
presenti in grande quantità in quei luoghi di campagna.

23
Non appena l’Ippogrifo è abbastanza vicino alla terra
che il salto non può risultare meno pericoloso,
Ruggiero si libera in fretta dall’arcione, salta giù,
e viene quindi a trovarsi sul prato erboso;
tiene tuttavia bene strette nella mano le redini,
non volendo che il destriero torni nuovamente in cielo:
quindi lo lega in riva al mare
ad un verde mirto cresciuto tra un pino ed un lauro.

24
E vicino a quel luogo, là dove sgorgava una fonte
circondata da cedri e da palme ricche di frutti,
depose il suo scudo, si tolse l’elmo dalla fronte,
e disarmò infine entrambe le mani (si tolse i guanti di ferro);
e ora verso il mare ed ora verso il monte
rivolgeva la faccia ai venticelli freschi e vivificatrici
che, con dolci mormorii, le alte cime
dei faggi e degli abeti faceno vibrare.

25
Si bagna a volte nell’acqua fresca e trasparente della fonte
le sue labbra asciutte, ed agita in acqua le sue mani
per fare in modo che dalle sue vene se ne vada quel calore
che gli provoca il portare ancora la corazza. Non c’é
da meravigliarsi che la corazza gli dia fastidio; dal momento
che il viaggio non era stato certo una passeggiata in piazza:
al contrario, completamente armato, senza mai fermarsi,
aveva percorso tre mila miglia senza mai rallentare.

26
Mentre stava lì, alla fonte, il destriero che aveva lasciato
alla fresca ombra dove la boscaglia era più fitta,
si ribella per riuscire a fuggire, spaventato
da non so che cosa, che dentro al bosco lo atterrisce, lo adombra:
e fa così crollare il mirto al quale era stato legato,
che gli ostruisce le zampe con i rami caduti in terra:
fa crollare il mirto e fa cadere anche le sue foglie;
senza però riuscire a liberarsi dall’albero.

27
Come a volte fa il ceppo, che ha la parte più interna
meno densa e vuota, quando viene messo sul fuoco,
dopo che per il grande calore l’aria più umida
che riempiva la sua parte centrale viene consumata,
(il ceppo) emette suoni dal suo interno, e ribolle con strepitii
fintanto che quell’aria ardente non trova la via per uscire;
allo stesso modo emette mormorii e stride e si lamenta quella
pianta di mirto lesionata, ed infine si lacera la sua corteccia.

28
Dalla lacerazione con una triste e lamentosa voce
uscirono chiare e fluenti parole,
e disse: “Se tu sei gentile e pietoso,
come può dimostrare la tua bella presenza,
togli questo animale dal mio albero:
può ben bastare che mi faccia soffrire il mio proprio male,
senza un’altra pena, senza un altro dolore
che venga a tormentarmi dall’esterno.”

29
Al sentire il primo suono di quella voce
Ruggiero piegò il viso verso l’albero e subito si alzò in piedi;
e dopo essersi accorto che veniva proprio dall’albero,
restò più sorpreso di quanto fosse mai stato in vita sua.
Corse subito a togliere il destriero da in mezzo ai rami;
e con le guancie rosse di vergogna:
“Qualunque cosa tu sia, perdonami (disse),
sia tu uno spirito umano o una ninfa dei boschi.

30
Il non aver saputo che si nascondeva
uno spirito umano sotto una ruvida corteccia,
mi ha lasciato danneggiare la bella chioma
e arrecare danno al tuo vivo mirto:
ma non fare però che tu non mi faccia sapere
chi tu sia, che in un corpo ispido e pungente,
vivi con una voce ed una anima razionale;
possa sempre il cielo proteggerti dalla grandine.

31
E se adesso o se per caso in futuro potrò a questo mio torto
porre rimedio con qualche atto benefico,
ti prometto sul nome di quella bella donna (Bradamante),
quella che possiede la mia parte migliore, la mi anima,
che con le parole e con i fatti io farò sì che
potrai poi avere una buona ragione per essere soddisfatto di me.”
Non appena Ruggiero pose fine al suo discorso,
il mirto tremò dalla sua cima fino alle radici.

32
Si potè poi vedere che il mirto lacrimava da tutta la sua
corteccia, come fa un pezzo di legno appena tagliato dal bosco,
quindi ancora verde, quando sente arrivare la forza del fuoco,
dopo che invano ha cercato di porre resistenza;
e cominciò a dire: “La tua gentilezza mi costringe
a rivelarti allo stesso tempo
chi io sono stato prima, quando ero uomo, e chi mi ha trasformato
poi in questa pianta di mirto su questa piacevole spiaggia.

33
Il mio nome era Astolfo; ed ero un paladino
della Francia molto temuto in guerra:
ero cugino di Orlando e di Rinaldo,
la fama dei quali non ha confini in tutto il mondo;
e sarebbe spettato a me tutto il dominio
dell’Inghilterra, dopo la morte di mio padre Oton.
Era talmente bello e grazioso, da fare innamorare di me più di
una donna; ma alla fine la mia bellezza danneggiò solo me stesso.

34
Durante il viaggio di ritorno dalle Isole Lontane,
situate a Levante e bagnate dall’oceano Indiano,
là dove Rinaldo ed alcuni altri insieme a me
erano stati fatti prigionieri (da Monodante) in una caverna buia,
dalla quale fummo poi liberati dalla suprema
forza del cavaliere Orlando, conte di Brava;
stavo navigando verso ponente, lungo le coste di mare
che sentono la rabbia della tramontana, del vento freddo da Nord.

35
E come il nostro tragitto ed il duro ed avverso
destino vollero condurci, ci ritrovammo così una mattina
sopra la bella spiaggia dove un castello
sorge a ridosso del mare, il castello della potente maga Alcina.
Trovammo lei in persona che era uscita da quella sua dimora
e stava tutta sola in riva al mare;
e senza usare nessuna rete o amo, tirava
a riva tutti i pesci del mare che voleva.

36
Correvano veloci a riva i delfini,
il grosso tonno ci andava con la bocca aperta;
i capodogli con le foche (vitelli marini)
vengono svegliati dal loro pigro sonno;
triglie, salpe (piccoli invertebrati), salmoni ed ombrine
nuotano in schiera il più in fretta che possono;
pesci sega, capodogli, orche e balene
fuoriescono dal mare con le loro mostruose schiene.

37
Vediamo una balena, la più grande
che sia stata mai avvistata in tutti i mari:
per più di undici passi di altezza mostra fuori
dalle onde salmastre il suo enorme dorso.
Facciamo tutti insieme lo stesso grosso errore perché
l’animale era immobile e non si stava minimamente muovendo:
crediamo che si tratti in una isoletta,
tanto erano distanti le sue estremità, tanto era estesa.

38
La maga Alcina faceva uscire i pesci dall’acqua
semplicemente pronunciando parole ed eseguendo chiari incantesimi.
Alcina era nata insieme con la fata Morgana (erano sorelle),
non so se dallo stesso parto, prima o dopo.
Alcina mi guardò: e subito le piacque
il mio aspetto, come mostrò chiaramente la sua espressione:
e pensò quindi con l’astuzia e con l’inganno
di separarmi dai miei compagni: e riuscì in questo suo intento.

39
Ci venne in contro con un viso allegro,
con modi graziosi e rispettosi,
e disse: “Cavalieri, se volete oggi
prendere alloggio presso di me,
io vi farò vedere, con la mia caccia,
tutte le possibili differenti specie di pesci: alcuni
coperti di scaglie, altri molli e altri ancora coperti di peli;
e saranno in numero superiore alle stelle in cielo.

40
E se volete anche vedere una sirena
intenta a calmare le acque del mare con il suo dolce canto,
passiamo da qui fino ad arrivare a quell’altra spiaggia,
là dove è solita tornare sempre a quest’ora.”
E ci indicò quindi quella enorme balena
che, come vi ho detto, sembrava essere una isoletta.
Io che sono stato sempre (purtroppo per me)
desideroso di nuove esperienze, andai sopra quella balena.

41
Rinaldo mi faceva cenni, ed allo stesso modo me li faceva
Dudon, affinché non ci andassi: ma servirono a poco, io ci andai.
La maga Alcina con viso ridente,
lasciando gli altri due dove erano, saltò dietro di me.
La balena, attenta al proprio compito,
nuotando se ne andò quindi tra le onde salmastre.
Mi pentii subito della mia stupidità;
ma oramai ero già troppo lontano dalla costa.

42
Rinaldo si buttò in acqua per venire a nuoto
in mio soccorso, e rischiò quasi di annegare,
perché si levò furioso il vento del sud, chiamato Noto,
adombrando il cielo e coprendo di nuvole il mare.
Quel che successe dopo a lui, non lo conosco.
Alcina si rivolse a me per darmi conforto;
e per tutto il giorno ed anche la notte
mi tenne prigioniero in mezzo al mare su quel mostro.

43
Finché raggiunsimo infine questa bella isola,
posseduta per la maggior parte dalla stessa maga Alcina,
avendola usurpata ad una sua sorella (la maga Logistilla)
che dal padre era stata fatta unica erede,
perché Logistilla era l’unica legittima proprietaria dell’isola;
e (stando alle notizie che mi diede qualcuno,
completamente a conoscenza di questi avvenimenti)
le altre due, Alcina e Morgana, sono invece nate da un incesto.

44
E tanto queste sono ingiuste e malvagie
e piene di ogni vizio vergognoso e brutto,
tanto quell’altra (Logistilla), vivendo in castità,
ha invece posto nelle virtù tutto il suo cuore.
Contro di lei complottano Morgana ed Alcina;
e già più di un esercito hanno schierato
per riuscire a cacciarla dall’isola, ed in più riprese
le hanno sottratto più di cento castelli:

45
e non avrebbe oramai più neanche un palmo di terra
l’altra maga, il cui nome è appunto Logistilla,
se non ci fosse da un lato un golfo a bloccare il passaggio
ed dall’altro una montagna disabitata,
così come mantiene separate la Scozia e l’Inghilterra
la presenza dei monti (Cheviot) e di un fiume (Tweed);
ma Alcina e Morgana non abbandonano comunque l’intenzione
di togliere a Logistilla tutto ciò che ancora le resta.

46
Perché questa coppia di maghe è colpevole di vizi,
ed odia l’altra in quanto pudica e santa.
Ma, per tornare a quello che ti stavo raccontando,
e continuare a dirti come fui poi trasformato in pianta,
sappi che Alcina mi teneva prigioniero di grandi piaceri,
ed ardeva tutta d’amore per me;
ed una eguale fiamma d’amore accese anche il mio cuore
nel vedere quanto lei fosse bella e gentile.

47
Io mi godevo il suo delicato corpo:
mi sembrava che su questa isola fosse stata raccolta tutta quanta
la felicità che nel mondo è divisa tra i mortali,
a chi di più, a chi di meno ma a nessuno in grande misura;
non mi ricordavo né della Francia né di nessun altro:
stavo sempre e solo a rimirare quel bel volto:
ogni pensiero, ogni mia intenzione
si esauriva in lei e non oltrepassava questo limite.

48
Io ero da lei amato in eguale misura, se non di più, di quanto
io l’amavo: Alcina non si interessava più agli altri;
la maga aveva lasciato ogni suo altro amante,
perché prima di me ce ne sono ben stati di altri.
Aveva me come consigliere, aveva me a fianco di giorno e di notte,
e diede a me il compito di comandare gli atri;
credeva a me, a me si affidava;
con gli altri non parlava più né di giorno né di notte.

49
Deh! Perché voglio toccare le mie ferite,
senza avere nessuna speranza di trovare loro rimedio?
Perché continuo a ripensare al bene che ho avuto,
quando mi trovo a soffrire per il massimo tormento?
Quando credevo di essere felice, e quando
credevo che Alcina non avrebbe potuto amarmi di più,
lei si riprese il cuore che mi aveva dato,
e rivolse tutta sé stessa verso un nuovo amore.

50
Conobbi tardi il suo animo mutevole
abiutato ad amare ed a smettere di amare nello stesso istante.
Non avevo regnato nel cuore di Alcina per più di due mesi,
che già un nuovo amante fu assunto per prendere il mio posto.
La maga mi allontanò da sé con ira,
e mi privò così dei suoi favori: e venni
poi a sapere che aveva condotto ad una simile conclusione
mille altri amanti prima di me, e tutti senza nessuna loro colpa.

51
Ed affinché tali amanti non vadano poi in giro per il mondo
a raccontare la sua vita lussoriosa,
chi da una parte e chi dall’altra, su questo terreno fertile,
li trasforma, alcuni in un abete, altri in ulivo,
altri ancora in un palma, altri in un cedro, altri in mirto, come
puoi vedere essere il mio caso su questa verde riva,
altri in una fonte d’acqua, alcuni altri in animali selvaggi,
come più piace a quella altezzosa maga.

52
Ora, tu che seguendo una insolita via (dal cielo) sei,
signore, giunto su questa isola fatata,
affinché un altro amante per fare posto a te venga
trasformato in una pietra, in una onda, o in una pianta come me;
riceverai lo scettro ed il dominio del cuore di Alcina,
e sarai il più felice tra tutti i mortali:
ma sappi da subito per certo che giungerai ben presto al punto
in cui ti trasformerai anche tu in animale, fonte, albero o masso.

53
Io ti metto molto volentieri in guardia avvisandoti del pericolo;
non che mi illuda che ciò possa esserti di aiuto:
eppure sarà meglio che tu non vada impreparato,
e che tu conosca almeno in parte quelle che sono le sue usanze;
perché forse, come è differente l’aspetto degli uomini,
è differente anche la loro astuzia e le loro capacità.
Tu saprai forse trovare un rimedio al danno, quel rimedio
che mille altri uomini prima di te non hanno saputo trovare.”

54
Ruggiero, che era in precedenza venuto a conoscenza, per fama,
che Astolfo era il cugino della sua donna, di Bradamante,
si addolorò molto per il fatto che in quella di una sterile
e stentata pianta fosse stata trasformata la sua vera forma;
e per amore di quella donna che così tanto amava
(se solo avesse saputo come poterlo fare)
decise che gli avrebbe prestato soccorso: ma per aiutarlo
non poteva al momento fare altro che dargli conforto.

55
Lo fece nel modo migliore che seppe trovare; e gli chiese
poi se esisteva una via che lo potesse condurre al regno
di Logistilla, o per pianure o per monti,
una via tale che non lo facesse passare per il regno di Alcina.
Esisteva una via diversa da quella che portava ad Alcina, tornò
a dire la pianta, ma era piena di duri sassi, l’avrebbe trovata
se proseguendo un poco avanti verso sinistra, fosse salito
lungo la collina fino a raggiungere la cima montuosa.

56
Ma non creda assolutamante di poter proseguire
il suo cammino lungo quella strada per tanto tempo:
perché incontrerà gente valorosa, raggruppata in una forte
e numerosa schiera, con cui doversi scontrare duramente.
Alcina li tiene lì come insormontabile ostacolo da opporre
a chi fosse intenzionato a fuggire dalla sua trappola.
Ruggiero ringraziò quel mirto di tutto,
poi si allontanò da lui informato ed istruito sulla situazione.

57
Andò verso il cavallo alato, sciolse la corda che lo teneva
legato, lo prese per le redini e se lo portò dietro;
ma non gli salì in groppa, come aveva fatto in precedenza,
così da evitare che lo portasse in giro contro la sua volontà.
Tra sé e sé pensava a come raggiungere il regno
di Logistilla per riuscire a mettersi in salvo.
Era fermamente deciso ed intenzionato ad usare ogni mezzo
per evitare che Alcina acquistasse potere su di lui.

58
Pensò alla possibilità di rimontare sul cavallo
e di lanciarlo in corsa verso una nuova destinazione:
ma ebbe timore di compiere così facendo uno sbaglio maggiore;
dal momento che l’animale non ubbidiva al morso.
“Riuscirò a passare con la forza, se non commetto errori,”
si diceva, ma il suo discorso era totalmente inutile.
Non si allotanò per più di due miglia dalla costa,
che subito intravide la bella città di Alcina.

59
Vide da lontano un lunga muraglia che vi girava
tutto intorno, racchiudendo al suo interno un vasto territorio;
e sembrava che la sua bellezza continuasse sino al cielo,
e che fosse completamente d’oro dalla cima alla base.
Alcuni non condividono però il mio parere, e sostengono
che si tratti di oro artificiale: ma forse si sbaglia;
ma forse se ne intendono anche più di me:
a me sembra essere vero oro, tanto risplende.

60
Non appena fu vicino alle tanto ricche mura, che per qualità
non hanno eguali in tutto il mondo, Ruggiero abbandonò la strada
che lunga e diritta portava alla grande porta d’ingresso;
e verso destra, verso la strada più sicura dalle insidie
di Alcina, che portava al monte, svoltò il forte guerriero:
ma subito si trovò di fronte la schiera malvagia,
e la sua via fu ostacolata ed interrotta dal loro furioso assalto.

61
Non fu mai vista prima d’allora una schiera più stravagante,
non furono mi visti volti più mostruosi e fatti peggio:
alcuni di loro dal collo in giù hanno le sembianza di un uomo,
ma hanno poi la testa alcuni da scimmia, altri da gatto;
alcuni lasciano impronte al suolo come quelle delle capre; alcuni
di loro sono centauri (busto umano e corpo di cavallo) agili ed
abili; ci sono tra loro giovani sfacciati e vecchi stupidi,
alcuni sono nudi, altri invece sono coperti da strane pellicce.

62
Chi di loro monta un cavallo senza freno,
chi avanza lento sul dorso di un asino o di un bue,
chi sale in groppa ad uno dei centauri presenti,
molti cavalcano degli struzzi, delle aquile o delle gru;
alcuni si portanno alla bocca il corno, altri la coppa per bere;
ci sono femmine, ci sono maschi, e c’è anche chi è di ambo i
sessi; alcuni hanno con sé un uncino, altri una scala di corda,
alcuni una pala di ferro, altri una lima nascosta.

63
Il capitano di tutte queste creature
aveva il ventre gonfio ed il viso grasso;
sedeva sul dorso di una tartaruga,
che avanzava con un passo estremamente lento.
Aveva da ogni lato chi lo reggeva in piedi,
perché era in stato di ebbrezza, e teneva gli occhi chiusi;
altri gli asciugavano la fronte ed il mento
altri scuotevano dei panni per riuscire a fargli aria.

64
Uno di loro che aveva i piedi ed il ventre con sembianze umane,
ma aveva poi il collo, la testa e le orecchie da cane,
abbaiò contro Ruggiero per farlo entrare
nella bella città che si trovava alle sue spalle.
Rispose il cavaliere: “Non lo farò, fintanto che
la mi mano avrà la forza sufficiente per reggere questa!”
e gli mostrò la sua spada, della quale
aveva indirizzato la punta accuminata verso di lui.

65
Quel mostro lo vuole quindi ferire con un colpo di lancia,
ma Ruggiero subito gli si avventa addosso:
e gli tirò una stoccata alla pancia con la sua spada,
fino a farla uscire di un palmo dalla schiena. Ruggiero si
mette al braccio lo scudo e si lancia all’attacco da una parte
e poi dall’altra, ma la schiera nemica è troppo numerosa;
uno lo punge da una parte, l’altro lo afferra dall’altra:
lui fa roteare la spada e muove loro una violenta guerra.

66
Uno sino ai denti ed un altro fino al petto, Ruggiero
prosegue dividendo in due i corpi di quella malvagia razza;
perché alla sua spadda non si oppone nessun elmo,
né uno scudo, né la panciera, né una corazza:
ma è circondato da tutte le parti a tal punto
che ci sarebbe il bisogno, per trovare spazio, per farsi largo,
e tenere lontano da sé quel popolo malvagio, di avere più braccia
e mani di quante ne aveva Briareo (gigante dalle 100 braccia).

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Se solo avesse pensato a scoprire
quello scudo incantato che era appartenuto al mago Atlante
(mi riferisco a quello in grado di abbagliare, quello che
Atlante aveva ppunto lasciato appeso all’arcione dell’Ippogrifo),
avrebbe subito sconfitto quella mostruosa schiera
e l’avrebbe fatta tutta cadere accecata davanti a sé;
ma è forse anche un bene che non prese in considerazione questo
modo, perché volle usare il valore e non l’inganno.

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Accada quel che accada, Ruggiero è disposto a morire piuttosto
che cadere prigioniero di una tanto spregievole gente.
Ed ecco intanto uscire dalla porta
del muro, che io avevo detto essere d’oro lucente,
due giovani ragazze che per il portamento ed il modo di vestire
non potevano essere di certo considerate di umili origini,
né essere state cresciute da un pastore tra tante difficoltà, ma
piuttosto essere state cresciute tra le delizie di palazzi reali.

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Entrambe, l’una e l’altra, sedevano in sella ad un unicorno, più
candido, più bianco, di quanto lo può essere un ermellino bianco;
entrambe erano belle, e con indosso abiti tanto abbelliti,
ed erano di modi tanto raffinati,
che un uomo, anche guardandole e riguardandole da ogni lato,
dovrebbe avere un occhio sovrannaturale, divino, per poterle
giudicare, per trovare loro un difetto; e simili a loro sarebbe
anche la Bellezza e l’Eleganza, se potessero avere corpo.

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Entrambe, l’una e l’altra, raggiunsero il prato dove
Ruggiero era assalito da quel rozzo gruppo di mostri.
Tutta la schiera si fece allora da parte;
e quelle giovani donne porsero la loro mano al cavaliere,
che, acceso in viso da un colore rossastro,
le ringraziò subito per il loro gesto cortese:
e fu anche contento, per farle felici, di fare ritorno
a quella porta d’oro che conduceva al regno di Alcina.

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L’ornamento che circonda la parte superiore
di quella bella porta e che sporge un poco in fuori,
non ha nessuna piccola sua parte che non sia ricoperta
delle gemme e pietre preziose più rare di tutto l’oriente.
Da quattro parti la porta appoggia sopra
quattro colonne fatte tutto d’un pezzo di diamante.
Sia vero o sia falso ciò che può apparire alla vista,
non c’è sicuramente al mondo una cosa più bella e piacevole.

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Oltre la soglia ed ai lati delle colonne
correvano scherzando tra loro delle vivaci ragazze, che,
se il doveroso pudore femminile fosse stato da loro rispettato
maggiormemente, sarebbero state più belle di quanto già apparivano.
Tutte loro vestivano una gonna di colore verde
ed avevano in testa una corona fatta con freschi rametti.
Tutte queste ragazze, con molte offerte e con buon viso,
fecero entrare Ruggiero in quel paradiso:

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e può ben essere chiamato in questo modo quel luogo,
dove se non mi sbaglio dovrebbe essere nato Amore.
Non si fa altro in quel luogo che ballare e giocare,
e tutte le ore del giorno vengono passate a festeggiare:
nessun pensiero da vecchio, né molto né poco,
può in questo luogo trovare posto in qualche cuore:
non può entrare qui la mancanza di agio e la miseria, ma si può
trovare invece ad ogni ora l’Abbondanza con la sua cornucopia.

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Qui, dove con una espressione serena e felice
sembra che il piacevole mese di Aprile rida ad ogni ora,
ci sono solo donne e giovani: c’è chi, nei pressi di una fonte,
canta con uno stile dolce e piacevole;
c’è chi, all’ombra di un albero o di un monte,
o gioca o danza o compie altre attività non volgari;
ed anche chi, lontano dagli altri, ad una sua confidente
espone le sue pene d’amore.

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Tra le cime dei pini e degli allori,
degli alti faggi e dei folti e pungenti abeti,
volano scherzosamente i figlioletti di Amore (i cupidi):
alcuni godendo delle proprie vittorie, altri,
per trafiggere i cuori con le proprie frecce, intenti a prendere
la mira da qui, altri intenti a tendere le reti amorose;
c’é chi stà temprando le frecce in un ruscello,
e chi fà loro la punta usando una mola.

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Lì, fu dato a Ruggiero un maestoso cavallo,
forte, robusto e con il pello completamente giallo rossiccio,
che aveva il suo bel telo di ornamento tutto ricamato
di pietre preziose e di oro puro;
l’Ippogrifo fu invece dato in affidamento, parlo
del cavallo alato che aveva avuto come padrone il vecchio Atlante,
ad un giovane affinché lo conducesse al seguito
del buon Ruggiero, con un passo meno frettoloso.

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Quelle due belle giovani, capaci di sucitare amore,
che avevano difeso Ruggiero da quella malvagia schiera di mostri,
quella malvagia schiera che prima gli si era opposta
su quel sentiero che il cavaliere aveva preso verso destra,
gli dissero: “Signore, le valorose
vostre imprese che abbiamo già conosciuto,
ci rendono tanto ardite, audaci, da chiedere il vostro aiuto
per una azione che va a nostro vantaggio.

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Troveremo a breve sul nostro cammino un corso d’acqua
che divide in due questa pianura.
Una donna crudele, di nome Erifilla,
difende il ponte di passaggio, ed aggredisce, inganna e deruba
chiunque sia intenzionato a raggiungere l’altra riva;
Erifilla ha la statura di un gigante,
ha lunghi denti ed il suo morso è velenoso,
ha unghie tagliente e graffia come un orso.

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Oltre ad ostacolare sempre il nostro cammino,
che sarebbe libero se non ci fosse lei,
spesso, facendo scorrerie lungo tutta la pianura, Erifilla
va anche a disturbare tutto, ora questa ed ora quell’altra cosa.
Sappiate che di quella schiera crudele
che vi ha aggredito fuori dalla bella porta,
molti sono suoi figli, tutti sono invece suoi seguaci,
crudeli, come lo è lei, feroci e ladri.”

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Ruggiero rispose: “Non solo una battaglia,
per voi sarei disposto a farne cento di battaglie:
delle mia persona, in tutto ciò che possa valere,
fatene l’uso che più vi piace;
perché la ragione per cui indosso le armi,
non è di guadagnare terre o ricchezze,
ma solo di fare del bene agli altri,
tanto più a delle belle donne come voi.”

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Le donne fecero tanti ringraziamenti
degni di una cavaliere, come lui era:
e così discutendo giunserò là dove
si poteva vedere il ponte ed il fiume;
e, armata di una spada d’oro adornata con smeraldi e zaffiri,
videro così anche la superba donna.
Ma rimando al prossimo canto il racconto di come
Ruggiero mise a rischio la propria vita contro di lei.