Parafrasi canto 39 (XXXIX) del poema Orlando Furioso

Parafrasi del Canto 39 (XXXIX) del poema Orlando Furioso – Mentre si stanno ultimando i preparativi per l’imminente assalto a Biserta, giunge dal mare la nave con i prigionieri fatti da Rodomonte. Astolfo e Dudone liberano e festeggiano l’incontro con Brandimarte, Sanonetto e Oliviero. Durante i festeggiamenti giunge però un uomo completamente nudo e provoca disordine, è Orlando. I paladini riescono ad immobilizzarlo e Astolfo gli ridona il senno recuperato sulla Luna. Nel frattempo re Agramante è costretto a fuggire dalla Francia per cercare la salvezza in Africa. Viene però intercettato dalla flotta di Dudone.

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19
Ma posticipando di un poco il racconto di questa battaglia,
io voglio oltrepassare il mare senza bisogno di nessuna nave.
Non mi devo occupare dei personaggi sul suolo di Francia così tanto,
da potermi dimenticare di Astolfo.
La grazia che gli fece il santo apostolo Giovanni, trasformando i sassi in cavalli,
vi ho già raccontato, e mi sembra di avervi anche già detto
come il re Branzardo ed il re di Algazera
avessero armato ogni loro schiera di soldati per muovergli battaglia.

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Raccogliendo coloro che potevano essere facilmente riuniti
in giro per l’Africa furono formate queste schiere,
sia di età idonea, uomini, che non idonea, vecchi e bambini, alla guerra;
ci mancò poco che furono arruolate anche le donne.
Agramante, ostinato nel volersi vendicare,
aveva già svuotato due volte l’Africa dei suoi guerrieri.
Erano così rimaste poche persone, e queste
costituivano ora un esercito pauroso ed inefficace, debole.

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E lo mostrarono subito molto bene; perché non appena videro i nemici
da lontano, abbandonarono il campo in una fuga disordinata.
Astolfo li conduce, come fossero pecore,
di fronte ai suoi guerrieri più abili,
li fa uccidere tutti e riempie il campo con i loro corpi:
pochi riescono a rifugiarsi nella città di Biserta.
Bucifaro, re di Algazera, viene fatto prigioniero;
il re Branzardo si salva invece nella città,

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unico ad essere molto più addolorato di Bucifaro,
addolorato come se avesse perduto tutto.
La città di Biserta è grande, ed è necessario allestire grandi opere di difesa,
ma senza di lui non può assolutamente riuscirci in modo opportuno:
vorrebbe molto poterlo riscattare e riavere con sé.
Mentra ci pensa e se ne sta triste e sofferente,
gli viene in mente di tenere prigioniero
oramai da molti mesi il paladino Dudone.

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Lo aveva fatto prigioniero in riva al mare presso Monaco
il re Rodomonte durante la prima spedizione in Francia.
Da quel giorno era stato sempre in prigione
Dudone, che di Uggieri il Danese era figlio.
Branzardo pensò a scambiare costui con il re di Alzagera,
e mandò quindi un messaggio
al capitano dell’esercito dei Nubi, perché
aveva avuto notizia certa che si trattava dell’inglese Astolfo.

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Essendo Astolfo stesso un paladino, capisce
che doveva avere di sicuro interesse a liberare un altro paladino.
Il gentile duca, non appena capisce la situazione,
trova subito l’accordo con il re Branzardo.
Un volta libero, Dudone chiede grazie
ad Astolfo, e si mette subito ad organizzare insieme a lui
i dettagli che riguardano l’imminente guerra,
sia quella di mare che quella di terra.

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Avendo Astolfo a sua disposizione un esercito infinito,
contro il quale tre volte l’Africa intera non avrebbe potuto difendersi;
e ricordandosi di come fu rimproverato
dal vecchio santo, San Giovanni, che gli aveva affidato l’impresa
di togliere la Provenza e la costa di Aigues-Mortes
dalle mani dei Saraceni che l’avevano conquistata;
scelse nuovamente un gran numero di cavalieri
che gli sembrarono essere in grado di combattere per mare.

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Ed essendosi riempito entrambe le mani,
di varie foglie, tante quante potevano starci,
strappate a lauri, a cedri, a ulivi ed a palme,
andò sulla riva del mare e le gettò tra le onde.
Oh anime felici e così tanto amate dal cielo!
Grazia che Dio così raramente riversa sugli uomini!
Che stupendo miracolo fu generato
da quelle foglie non appena toccarono l’acqua!

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Crebbero in modo totalmente instimabile;
si fecero curve e grosse e lunghe e imponenti;
le venature che prima le attraversavano,
divennero dure spranghe e grosse travi;
e rimanendo appuntite verso la loro parte estrema (la prua),
tutto ad un tratto diventarono delle navi di differente qualità, tante in numero,
quanto prima lo erano sate le foglie raccolte da varie piante.

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Fu un miracolo vedere le foglie sparse sull’acqua produrre fuste (imbarcazioni
leggere), galee e grosse navi, capaci di sostenere gabbie per vedette.
Fu anche un miracolo il fatto che di vele e sartie
e remi fossero equipaggiate come qualunque altra nave.
Non mancarono al duca Astolfo soldati in grado
di governare una nave nella rabbia del vento;
perché dalla Corsica e dalla Sardegna, non lontane dall’Africa
ricevette timonieri, capitani, magazzinieri e addetti alla rotta.

29
Quelli che presero la via del mare furono contati
essere ventiseimila, popoli di ogni genere.
Andò come loro comandante Dudone,
un cavaliere saggio, forte sia sulla terra che per mare.
L’armata cristiana si trovava ancora sulla costa
in attesa di un vento favorevole, che la potesse condurre,
quando giunse su quella stessa riva una nave,
che giungeva in Africa carica dei cavalieri fatti prigionieri in Francia.

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Conduceva quelli che sul ponte pericolante,
troppo stretto come luogo per affrontarsi in duello,
erano stati catturati dal potente Rodomonte,
come vi ho raccontato in precedenza in più occasioni.
Tra questi c’erano il cognato del duca Astolfo, Oliviero,
il fedele Brandimarte e Sansonetto,
ed altri ancora, che non ho necessità di nominare,
provenienti dall Germani, dall’Italia e dalla Guascogna.

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Su quella riva il timoniere, che ancora non si era accorto
dalla presenza dei nemici, andò con la sua galea,
lasciando molte miglia indietro il porto sicuro
di Algeri, dove prima aveva voluto approdare,
a causa un forte vento che era si era scatanato e aveva spinto
la poppa della nave più avanti di quanto avrebbe dovuto.
Credette di giungere tra i suoi ed in un luogo sicuro,
allo stesso modo in cui la rondine raggiunge il suo fischettante nido.

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Ma non appena l’aquila, l’uccello simbolo dell’impero,
i gigli d’oro di Francia ed i leopardi d’Inghilterra, vide da vicino,
divenne pallido in faccia, come colui
che il proprio piede ha messo improvvisamente ed in modo incauto
proprio sopra un serpente velenoso ed crudele,
distrubando così il suo pigro sonno in mezzo all’erba;
e così, spaventato e smorto in viso, scappa
fuggendo dall’animale pieno di veleno e d’ira.

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In realtà non poté fuggire da lì il timoniere,
e non seppe nemmeno tenere nascosti i suoi prigionieri.
Con Brandimarte, con Oliviero,
con Sansonetto e con molti altri fu condotto
dove Astolfo e Dudone, figlio di Uggieri,
mostrano una espressione contenta alla vista dei loro amici;
e come ricompensa, il timoniere che li aveva lì condotti
vollero che fosse condannato al remo, a remare.

34
Come vi dico, da Astolfo
i cavalieri cristiani furono visti con piacere,
onorati con un banchetto allestito nel padiglione,
forniti d’armi e di tutto ciò di cui avevano bisogno.
Per affetto nei loro confronti Dudone rimandò
la sua partenza; perché un guadagno non inferiore
ritiene essere il poter parlare con baroni di un tale livello,
rispetto al partire due o tre giorni prima.

35
Sulla condizione, sulla situazione in cui si trova
la Francia e Carlo, ricevette una informazione certa;
e su dove in modo più sicuro, e su dove
per avere un maggiore efficacia deve approdare.
Mentre stava apprendendo delle notizie da loro,
si udì nell’accampamento un rumore che andava sempre più aumentando;
a cui seguì un rumore di armi agitate tanto feroce,
da fare venire a tutti più di un pensiero.

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Il duca Astolfo e tutta la sua compagnia,
che si era trovati insieme per discutere,
in un istante si armarono e salirono a cavallo,
ed andarono in fratta là dove le grida erano maggiore,
cercando di ottenere in giro qualche notizia sull’origine
di quel frastuono; raggiunsero infine il punto da cui proveniva,
e là videro un uomo tanto feroce (Orlando),
da riuscire a recare danno, nudo e solo, a tutto l’accampamento.

37
Faceva roteare tutt’intorno un suo bastone di legno,
che era tanto duro, tanto pesante e tanto robusto,
che quando lo calava, faceva ogni volta
cadere a terra un uomo morto (peggio che ammalato, infortunato).
Aveva già tolto la vita a più di cento uomini;
e non ci si riusciva più a riparare ed a proteggere da lui,
se non lanciando da lontano freccie:
non c’è oramai più nessuno vicino a lui ad aspettarlo.

38
Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in fretta là dove proveniva il rumore, ed anche Oliviero,
per la forza e per l’incredibile valore
di quell’uomo crudele erano poi rimasti attoniti, meravigliati;
quando videro giungere di corsa su di un cavallo
una donzella con un vestito nero,
che corse incontro a Brandimarte e lo salutò,
e gli getto entrambe le braccia al collo allo stesso tempo.

39
Questa donna era Fiordiligi, che tanto acceso
d’amore per Brandimarte aveva il suo cuore,
e che quando l’aveva lasciato prigioniero di Rodomonte allo stretto ponte,
fu quasi vicina ad impazzire per il dolore.
Aveva così oltrepassato il mare, avendo
saputo dallo stesso pagano che l’aveva fatto prigioniero (da Rodomonte),
che, imbarcato insieme ad altri prigionieri,
era ora un prigioniero nella città di Algieri.

40
Al momento di imbarcarsi, aveva trovato
a Marsiglia una nave proveniente dall’Oriente,
che aveva portato lì un vecchio cavaliere della corte del re Monodante (padre di Brandimarte);
il quale aveva girato per molte provincie,
alcune volte vagando per mare, altre volte per terra,
alla ricerca di Brandimarte; avendo ricevuto notizia
lungo il suo viaggio che avrebbe potuto trovarlo in Francia.

41
E lei, avendo riconosciuto in costui Bardino,
quel Bardino che aveva sottratto
Brandimarte a suo padre quando era ancora un bambino,
per nutrirlo presso Roccasilvana (avendolo venduto al suo conte),
ed avendo anche saputo il motivo del suo viaggio,
l’aveva fatto salpare con sé dalla costa francese,
dopo avergli raccontato come
Brandimarte era giunto in Africa.

42
Non appena scesero a terra, in Africa, appresero le ultime notizie,
che Biserta era stata assediata da Astolfo;
che con lui si trovava anche Brandimarte
avevano sentito dire, ma non come notizia certa.
Ora Fiordiligi si muove con grande fretta,
non appena lo vede, e mostra apertamente
una contentezza che i guai precedenti
resero la più grande che lei avesse mai provato.

43
Il gentile cavalliere, non meno felice
nel vedere la sua cara e fedele moglie,
che amava più di qualunque altra cosa al mondo,
la abbraccia, la stringe a sé e la accoglie teneramente:
non si lasciava saziare né con il primo, né con il secondo
e neanche con il terzo bacio il suo acceso desiderio;
se non che, alzando gli occhi, vide
Bardino, che era arrivato insieme alla donna.

44
Stese le mani, e volle abbracciarlo
ed allo stesso tempo domandare il perché della sua venuta;
ma gli impedì di riuscire nel suo intento
l’accampamento che fuggiva in modo disordinato
di fronte a que bastone che l’uomo folle e completamente nudo
agitava tutt’intorno, e gli faceva lasciare via libera.
Fiordiligi guardò in viso quell’uomo nudo,
e gridò a Brandimarte: “Ecco a voi il conte Orlando!”

45
Nello stesso istante anche Astolfo, che si trovava lì,
vide chiaramente che si trattava di Orlando
grazie ad alcuni segni che dai vecchi Santi
aveva appreso quando si trovava lassù in Paradiso.
Non fosse stato grazie a loro due, tutti gli altri
sarebbero rimasti all’oscuro dell’identità di quel gentile signore;
che per il lungo trascurarsi, per la sua follia,
aveva il volto più simile a quello di un animale che di un uomo.

46
Astolfo a causa della commozione che gli trafisse
il petto ed anche il cuore, si volse piangendo;
e disse a Dudone (che era vicino a lui),
ed anche ad Oliviero: “Ecco a voi Orlando!”
Quei due, gli occhi e le palpebre tenendo a lungo
fisse su di lui, iniziarono a riconoscerlo;
ed il ritrovarlo in una tale disgraziata condizione,
li riempì di meraviglie a di pietà.

47
Piangeva la maggior parte di quei signori: tanto a loro
faceva provare dolore, tanto si dispiacevano per ciò che vedevano.
“È il momento (disse loro Astolfo) di trovare il modo
per farlo rinsavire, e non di dovergli fare un lamento funebre.”
E saltò da cavallo, si mise in piedi, lo stesso fecero Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero ed il santo Dudone;
e si avventarono, si lanciarono sul nipote di Carlo, Orlando,
tutti nello stesso istante; con l’intenzione di immobilizzarlo.

48
Orlando che si vide circondato,
agitò il suo bastone da disperato e da pazzo;
e a Dudone, che si faceva protezione
alla testa con lo scudo e voleva farsi avanti,
fece sentire che era anche molto pesante:
e non fosse stato grazie ad Oliviero che con la spada tolse
parte della potenza al colpo, quel bastone ingiusto avrebbe
rotto non solo lo scudo, ma anche l’elmo, la testa ed il busto.

49
Ruppe solamente lo scudo, e su l’elmo
si abbatté con tale forza che Dudone cadde a terra.
Sansonetto menò la sua spada nello stesso istante;
e colpisce il bastone a più di due braccia dall’estremità
con una tale forza, da tagliarlo completamente di netto.
Brandimarte che gli si getta addosso, gli stringe
i fianchi, tanto forte quanto può, con entrambe
le braccia, mentre Asfolfo gli afferra le gambe.

50
Si scuote Orlando, e dieci passi lontano da sé
lancia e fa cadere riverso sulla schiena l’inglese:
ciò non fa però lasciare la presa a Brandimarte,
che con più forza l’aveva afferrato di traverso.
Ad Oliviero che si era fatto troppo avanti,
tirò un pugno tanto forte e violento,
che lo fece cadere pallido ed esangue,
con il sangue che gli usciva dal naso e dagli occhi.

51
E non fosse stato per l’elmo, più che di buona fattura,
che indossa Oliviero, quel pugno l’avrebbe anche ucciso:
cadde però come morto, come se avesse fatto dono
della sua anima al Paradiso.
Dudone ed Astolfo che si sono rialzati,
sebbene Dudone abbia il viso tutto gonfio,
e Sansonetto che ha inferto il bel colpo di spada,
sono improvvisamente ancora tutti addosso ad Orlando.

52
Dudone lo abbraccia da dietro con grande forza,
tentando più volte di fargli lo sgambetto:
Astolfo e gli altri gli hanno preso le braccia,
ma tutti insieme non riescono ancora a tenerlo fermo.
Chi ha visto un toro a cui viene data la caccia,
e che sia stato azzannato alle orecchie dai cani,
correre muggendo, e portare con sé ovunque corre
i cani, e non potersi liberare da loro;

53
immagini ora come Orlando si trovasse in una identica
situazione, portandosi dietro attacchati tutti quei guerrieri.
In quel momento Oliviero si rialza da terra,
da dove era stato steso da quel gran pugno ricevuto;
e visto che il quel modo si poteva soltanto
fare male ciò che Astolfo aveva intenzione di fare con lui,
pensò ad un modo per agire, e lo mise anche in pratica,
di fare cadere Orlando, e riuscì nel suo intento.

54
Si fece portare sul posto più di una fune,
e subito le preparò con nodi scorsoi;
ed alcune le fece porre intorno alle gambe ed alle braccia
del conte, il resto invece di traverso al suo corpo.
Ripartì poi i capi di tutte le funi fra tutti i presenti, ed li diede da tenere a questo ed a quel soldato.
Allo stesso modo in cui il maniscalco atterra
un cavallo o un bue, Orlando fu fatto cadere, fu messo a terra.

55
Non appena il conte è a terra, gli saltano tutti addosso,
e gli legano più forte sia le mani che i piedi.
Orlando si agita molto da una parte e dall’altra,
ma i suoi sforzi sono tutti inutili.
Astolfo comanda quindi che venga spostato da lì,
perchè dice che vuole fare in modo che riabbia il senno.
Dudone che è grande e grosso, se lo mette sulla schiena,
e lo porta al mare fino all’estremità della spiaggia.

56
Astolfo lo fa lavare sette volte,
e sette volte lo immeerge nell’acqua;
così che dal viso e dal suo corpo folle
venga tolta tutta la sporcizia incrostata:
poi con certe erbe, raccolte a questo scopo,
gli fa tenere chiusa la bocca, che soffia e sbuffa;
non volendo che avesse nessuna altra apertura
da cui rilasciare il proprio fiato, se non il naso.

57
Astolfo si era preparato il vaso
nel quale si trovava rinchiuso il senno di Orlando;
e glielo avvicinò al naso in modo tale
che quando il conte fece per tirare dentro il fiato,
lo vuotò completamente: fatto meraviglioso!
che la mente di Orlando ritornò alle sue vecchie abitudini;
e nei suoi bei discorsi ricomparì l’intelletto,
più che mai lucido e chiaro.

58
Come chi si riprende da un sonno pesante e tormentoso,
nel quale o ha visto forme abominevoli
di mostri che non esistono, e che non possono neanche esistere,
o gli è sembrato di compiere un gesto strano o fuori dall’ordinario,
ancora si meraviglia, dopo che è tornato padrone
dei suoi sensi e non dorme più; allo stesso modo,
Orlando, dopo che fu tolto dalla sua condizione di errore,
restò meravigliato e stupefatto.

59
E Brandimarte, ed Oliviero, fratello di Aldabella,
ed Astolfo, colui che nella testa gli aveva fatto tornare la ragione,
guarda, ripensando, senza dire nulla,
come e quando aveva potuto raggiungere quel posto.
Girava gli occhi da questa e da quella parte,
e non sapeva neanche immaginare dove si trovava.
Si meraviglia di vedersi nudo,
e con tante funi addosso, dalle spalle ai piedi.

60
Poi improvvisamente disse, come aveva già detto Sileno
a quelli che lo avevano legato nella caverna:
“Slegatemi”, con una espressione tanto serena, con uno sguardo
ancora meno malvagio di quello che era solito avere, che
che ottenne di essere slegato; ed alcuni dei vestiti cha avevano fatto
portare li condivisero con lui,
dandogli tutti conforto dal dolore
che lo opprimeva, causato dalla sbaglio fatto in passato.

61
Dopo che Orlando fu tornato come era prima,
saggio e forte più che mai,
si trovò anche liberato dalle catene d’amore;
così che lei, Angelica, che tanto bella e gentile
gli era sembrata in passato, e che aveva tanto amato,
non considera più di quanto consideri una cosa di poco conto.
Ogni sua attenzione, ogni suo desirio rivolse alla volontà
di riacquistare quanto aveva perduto a causa dell’amore (onore e gloria).

62
Bardino raccontò intanto a Brandimarte
che suo padre Monodante era morto;
e che lui era venuto per richiamarlo al suo regno
incaricato prima da suo fratello Gigliante,
e quindi dalle persone che abitano le isole
sparse in mare, e le ultime d’oriente; in confronto
non c’era nessun altro regno al mondo
tanto ricco, popoloso e tanto gioioso.

63
Disse, tra i molti motivi per cui doveva tornare,
che la patria era una piacere molto dolce; e quando
avesse deciso di volerlo provare,
avrebbe poi sempre avuto in odio il girovagare.
Brandimarte rispose di voler ancora servire
durante tutta la guerra in corso sia Carlo che Orlando;
e se avesse potuto vederne la fine, avrebbe poi
meglio riflettuto sulle sue questioni.

64
Il giorno seguente Dudone, figlio del Danese,
spinse la sua flotta verso la Provenza.
Quindi Orlando si ritirò a colloquio con Astolfo,
e venne così a sapere in quale stato si trovava la guerra:
cinse poi d’assedio tutta la città di Biserta,
concendo però al duca inglese l’onore
di ogni vittoria; ma il duca faceva tutto
ciò che gli veniva detto di fare dal conte.

65
Quali accordi abbiano preso tra loro, come venne assaltata
la grande città di Biserta, da che lato e quando,
come fu conquistata già alla prima battaglia,
chi condivise l’onore con Orlando,
non vi dispiaccia se io non continuo a raccontarvelo ora;
perché comunque non voglio ritardarlo troppo.
Nel frattempo vi faccia piacere invece ascoltare
come i pagani vennero cacciati dalla Francia.

66
Re Agramante venne quasi abbandonato
nel momento di maggior pericolo di tutta quella guerra;
perché, con molti pagani, si erano già rifugiati dentro
alle mura della città di Arles sia re Marsilio che Sobrino;
sia l’uno che l’altro erano quindi anche saliti sulla flotta,
avendo il dubbio di non riuscire a salvarsi stando sulla terra;
e molti capitani e cavallieri del popolo moro
avevano seguito il loro esempio.

67
Agramante porta avanti la battaglia nonostante tutto;
e quando alla fine non ne può più,
si gira indietro, e prende la via dritta
verso le porte della città, non molto lontane da lì.
Rabicano lo insegue a grande velocità,
stimolato alla corsa e percorso da Bradamante:
essendo la guerriera molto desiderosa di uccidere il re;
che tante volte le aveva tolto il suo amato Ruggiero.

68
Marfisa ardeva dello stesso desiderio, spinta dalla volontà
di vendicare suo padre, seppure con ritardo;
e con gli speroni, quanto più poteva,
faceva sentire al cavallo tutta la sua fretta.
Ma né l’una né l’altra riuscì a raggiungerlo
in tempo per tagliargli la strada
ed impedire al re di entrare nella città cinta dalle mura,
e quindi salvarsi sulla flotta navale.

69
Come due belle e generose gheparde
che siano state liberate contemporaneamente dal guinzaglio,
dopo che i cervi e le capre robuste
capiscono di avere inseguito invano,
quasi vergognandosi di essere state lente
ritornano indietro irritate e pentite;
allo stesso modo tornarono indietro le due donne
sospirando, quando videro in salvo il pagano.

70
Non rimasero però ferme; ma si cacciarono nel gruppo
degli altri nemici che tentavano la fuga;
facendone, con ogni colpo della spada, da ogni parte,
cadere morti senza possibilità di alzarsi più.
I pagani fuggivano senza alcuna possibilità di successo, perché
per quanto fuggissero non potevano più mettersi in salvo;
perché Agramante, per la sua sicurezza, aveva fatto
chiudere le porte rivolte verso il campo di battaglia,

71
e fatto anche tagliare tutti i ponti
sul Rodano. Ah popolo sfortunato,
che quando è in gioco l’interesse del tiranno,
è sempre considerato alla pari di un gregge di pecore e capre!
C’è chi affoga nel fiume e chi nel mare,
ed anche chi bagna con il suo sangue la terra.
Molti morirono, pochi furono fatti prigionieri;
perché pochi erano in grado di pagarsi il riscatto.

72
Del gran numero di persone che fu uccisa
durante questa ultima battaglia dall’una e dall’altra parte
(benché il numero non fu certo ripartito in misura uguale;
essendo molti di più i saraceni che furono uccisi
per mano di Bradamante e di Marfisa),
è possibile vederne ancora le traccie in quella terra;
presso ad Arles, dove il Rodano diviene palude,
la campagna è infatti piena di sepolcri.

73
Il re Agramante aveva intanto fatto salpare
e mettere al sicuro in alto mare le navi più grosse,
lasciando alcuni, con le navi più leggere, a prendere
quelli che volevano salvarsi sulle navi.
Rimase lì due giorni interi per raccogliere tutti quelli che
fuggivano, anche perché i venti erano violenti e non favorevoli:
il terzo giorno fece spiegare le vele al vento;
credendo di riuscire a fare ritorno in Africa.

74
Il re Marsiglio che ha una grande paura
che tocchi alla sua Spagna pagare le conseguenza della guerra,
e teme quindi che quella tempesta orribilmente scura
vada alla fine a scatenarsi sulle sue terre;
si fece lasciare a Valensia, e con grande cura
iniziò a fare riparare tutti i castelli e le roccaforti,
ed a preparare quella guerra che fu poi
la sua rovina ed anche la rovina dei suoi amici.

75
Agramante spiegò verso l’Africa le vele
di quelle navi male armate e quasi vuote;
vuote di uomini ma piene di lamenti,
perché tre quarti di loro erano rimasti in Africa.
C’é chi dice che il re è arrogante, chi che è crudele,
chi che è uno stupido; e come avviene in queste situazioni,
tutti nel segreto del loro animo lo odiano;
ma hanno anche paura e stanno calmi contro voglia.

76
Nonostante questo a volte due o tre di loro parlano,
perché sono amici, e si fidano l’uno dell’altro,
e sfogano così la collera e la rabbia repressa.
ma il povero Agramante è invece ancora convinto
che ognuno lo ama, e lo venera.:
e gli succede questo, perché non vede
altro che visi che fingono, e non ascolta
altro che adulazioni, bugie ed inganni.

77
Il re africano aveva deciso
di non sbarcare nel porto di Biserta,
avendo ricevuto notizia certa che il popolo nubiano
aveva oramai il controllo di quella costa:
ed aveva invece deciso di oltrepassare la città tanto da evitare uno sbarco difficile e pieno di ostacoli;
per scendere a terra, e ritornare indietro dritto di filato
a dare soccorso al suo popolo oppresso.

78
Ma il suo crudele destino che non rende conto
di quella sua decisione accorta e saggia,
volle invece che la flotta nata per miracolo
dalle foglie sulla costa africana,
e che andava solcando i mari in direzione della Francia,
si incontri con quella di Agramante di notte,
con un tempo nuvoloso, buia e triste, così che sia colto
alla sprovvista e le conseguenze siano peggiori.

79
Agramante non ha ancora ricevuto nessuna notizia, sul fatto
che Astolfo abbia mandato una flotta tanto imponente;
ma non avrebbe neanche creduto a chi glielo avesse detto
che un ramoscello possa dar vita a cento navi:
ed avanza quindi senza temere che intorno a lui ci possa
essere chi abbia il coraggio di muovergli contro;
non fa mettere quindi né guardie né vedetta nella gabbia,
che lo avvisi di ciò che ha scoperto, che ha avvistato.

80
Così che le navi che da Astolfo aveva ricevuto
Dudone, armate con genti valida,
che la sera avevano avvistato quelle di Agramante,
e si erano quindi indirizzate subito verso di loro,
assalirono i nemici quando questi non se lo aspettavano,
gettarono gli arpioni ed incatenarono tra loro le navi,
dopo essersi prima accertati, dal loro parlare,
che fosse gente pagana e quindi loro nemici.

81
Le grandi navi cristiane, nell’arrivare,
(soffiando il vento a favore del loro desiderio)
si scagliarono contro quelle dei saraceni con una tale forza,
che molte ne furono subito affondate e buttate sul fondo del mare.
Iniziarono poi ad agire con le mani e con la saggezza,
e ferro e fuoco e sassi molto pesanti
lanciarono contro il nemico in una così intensa e violenta tempesta,
che mai fu mai vista in mare una simile a questa.

82
I soldati di Dudone, ai quale la forza ed il coraggio
vengono dati dall’alto, da Dio, in misura superiore al solito
(essendo arrivato il momento di punire
i saraceni per le lore numerose cattive azioni),
sanno colpire così bene sia da vicino che da lontano,
che la gente di Agramante non trova luogo dove potersi riparare.
Gli cade sulla testa una nuvola di freccie;
ai lati ha spade, lancie, uncini ed accette.

83
Sente cadere dall’altro sassi grossi e pesanti
scagliate da catapulte e da macchine per scagliare proiettili;
e distruggono le prue e le poppe delle navi nemiche,
ed aprono larghi e profondi squarci dai quali ha accesso il mare;
ma il danno maggiore lo fanno i malvagi incendi,
veloci a nascere e lenti ad attenuarsi.
Lo sfortunato equipaggio vuole sottrarsi
da quel grande pericolo, che vivono ogni ora sempre di più.

84
C’é chi, spinto dalle armi del nemico,
si getta nel mare, affoga e vi resta morto:
un altro che sa invece muovere braccia e piedi a tempo (nuotare),
va a cercare la salvezza su una o sull’altra barca;
ma quella che trova, carica più del giusto, lo caccia,
e la sua mano, troppo insistente nel voler salire,
fa rimanere attaccata, mozzata, al bordo:
il resto del corpo torna in mare e lo colora di rosso sangue.

85
Un altro che spera di poter salvare la vita nel mare,
o perderla almeno in modo meno doloroso,
dopo che muovendosi a nuoto non ha trovato nessun aiuto,
e si sente mancare sia il coraggio che la forza,
all’incendio violento dal quale è riuscito a scappare,
viene infine riportato dalla pura di annegare:
si avvinghia ad un legno in fiamme, e per la paura
che ha di morire, viene ucciso sia dal fuoco che dall’acqua.

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Un altro, per la paura dello spuntone e dell’accetta
che si vede vicino, cerca invano la salvezza in mare,
perché gli viene dietro una pietra o una freccia
che non lo lascia andare troppo lontano, lo uccide subito.
Ma sarebbe forse, ora che risulta piacevole
il mio racconto, un consiglio utile e sensato,
di farlo terminare piuttosto che proseguire troppo oltre,
e rischiare di annoiarvi con il mio troppo parlare.