Introduzione al poema Orlando Furioso

La genesi. L’Orlando Furioso è un poema in ottave, che si inserisce nel filone cavalleresco, un genere molto popolare in Italia tra il Quattrocento e il Cinquecento. Ariosto vi lavorò dal 1505 al 1532, l’anno che precedette la morte del poeta. Le prime notizie certe circa la stesura del poema risalgono al 1507, con riferimenti in una lettera di Isabella d’Este al fratello cardinale Ippolito. Da una lettera scritta nel 1509 da Alfonso d’Este e destinata a Ippolito si può dedurre che in quell’anno il poema ariostesco avesse già una stesura avanzata e che il testo fosse presentato come una «gionta», un ampliamento dell’Innamoramento di Orlando del Boiardo.

Le tre edizioni del poema. La prima delle tre edizioni dell’Orlando Furioso risale al 22 aprile 1516: il poema conta 40 canti ed è dedicato a Ippolito d’Este. Sono passati 7 anni dalla lettera di Alfonso d’Este e 4 da quella in cui Ariosto stesso scrisse a Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, parlando di un poema ancora non pronto perché in attesa di un lungo processo di perfezionamento. In quei 4 anni verosimilmente Ariosto continuò a lavorare sul poema nel massimo riserbo.

Fu intorno al 1518 che l’autore progettò una revisione linguistica dell’opera, in seguito al dibattito culturale intorno al volgare. Per questa ragione i modelli dal punto di vista stilistico furono Le Stanze del Poliziano e il Morgante di Pulci, entrambi toscani e ritenuti esempi notevoli di italiano letterario. La struttura del poema non mutò. Questa revisione portò all’edizione del 1521.

La terza edizione, pubblicata nel 1532, risentì fortemente delle teorie di Bembo espresse nelle Prose della volgar lingua: la lingua subì un ulteriore processo di revisione, per essere il più possibile vicina ai modelli linguistici di Petrarca e Boccaccio. Ariosto aggiunse 6 canti che corrispondevano a 4 nuove vicende e diede maggiore risalto ai rapporti con la situazione politica della sua epoca.

Il rapporto con Boiardo. L’innamoramento di Orlando (meglio noto come L’Orlando innamorato) è la fonte principale del poema ariostesco: l’opera del Boiardo aveva rifondato il genere cavalleresco, con un’operazione raffinata tendente a ridare lustro ai valori cortesi alla luce del nuovo sistema etico dell’umanesimo. Al contempo lo sguardo di Boiardo era intriso di nostalgia, per un mondo che andava scomparendo, e di timori per un futuro che si preannunciava fosco (la discesa di Carlo VIII in Italia nel 1494, a cui l’autore fa cenno nelle ultime pagine, segnava a tutti gli effetti la fine di un’epoca). Come altri autori prima di lui, Ariosto si cimentò nell’impresa di portare a termine le vicende dei paladini lì dove Boiardo le aveva interrotte. Nell’Orlando Furioso tuttavia quel mondo cortese diventa quasi un pretesto per sviluppare un’indagine più complessa sulla vita umana: il cavaliere valoroso perde ogni tratto che possa legarlo a un sistema di valori riconoscibile e non c’è nessun fine escatologico né ideologico nelle sue azioni; il tempo sfuma in un indistinta temporalità mitica e perfino lo scontro tra cristiani e pagani non è più centrale nel poema, per via delle infinite ramificazioni delle vicende e motivazioni alla base delle battaglie.

Il genere cavalleresco e altre fonti. Ariosto eredita da Boiardo anche il rapporto con i due grandi filoni dell’epica cavalleresca: L’Orlando innamorato fondeva i due cicli, quello delle chansons de geste e quello bretone. Il primo esaltava i nobili valori dei cavalieri, nello specifico i paladini di Carlo Magno, con Orlando protagonista; il secondo, con protagonisti i cavalieri della tavola rotonda, esplorava tematiche più avventurose tra mondi misteriosi e fatati, ma soprattutto con al centro l’amore che muove gli eroi alle imprese. Nella complessa trama del Furioso tuttavia si riscontrano altri rimandi: i trattati latini, i miti greci, i cantari quattrocenteschi, i racconti orali che importavano nella grande tradizione novellistica italiana motivi esotici, i grandi poemi epici greci e latini. Questo complesso repertorio diede ad Ariosto il materiale per imbastire la sua mirabolante trama e trattare la grande varietà di temi che nutrono il poema.

“Le armi”. Come è evidente fin dai primi versi del poema, la materia guerresca è la base dell’opera. Lo scontro tra cristiani e pagani, e più nello specifico tra franchi e saraceni, fa da sfondo e costituisce il nucleo connettore delle molteplici vicende che arricchiscono la trama del Furioso. Orlando e Rinaldo sono prima di tutto dei cavalieri, i paladini di Carlo Magno, tenuti a difendere Parigi dall’assedio saraceno guidato dal re Agramante.

“Gli amori”. Orlando e Rinaldo tuttavia sono innamorati della bella e sfuggente Angelica e le loro peripezie sono innescate proprio dal desiderio amoroso, che si rivela come il vero motore primo della storia. Se l’argomento bellico rimanda dunque al ciclo carolingio delle chansons de geste, il tema erotico è un retaggio del ciclo arturiano. La fuga di Angelica di fatto dà il via al racconto e allarga anche l’orizzonte geografico delle vicende, consentendo all’autore di variare la materia narrativa e di distogliere l’attenzione dal campo di battaglia.

Il tema encomiastico. L’Orlando Furioso, come visto, è dedicato al cardinale Ippolito d’Este. I poemi cavallereschi della seconda metà del Quattrocento sono un notevole strumento di propaganda politica e celebrazione di una casata, in virtù dei nobili valori e dello spirito devoto dei cavalieri protagonisti. Nacquero con questi propositi il Morgante di Pulci, patrocinato dalla famiglia Medici, e L’Orlando innamorato di Boiardo, che già inserì tra le vicende di Orlando l’amore tra Bradamante (sorella di Rinaldo) e Ruggiero (guerriero saraceno), dalla cui unione sarebbe nata la famiglia d’Este. Si tratta in ogni caso di opere nate in seno a un ambiente cortigiano, promosse dagli stessi signori che ospitavano a corte gli autori. Ariosto, che come Boiardo viveva alla corte ferrarese, dà ancora maggior rilievo agli episodi che riguardano Bradamante e Ruggiero, appositamente per celebrare i nobili natali della famiglia d’Este; la profezia sulla loro unione e sull’origine della famiglia è affidata nel Furioso alla voce del mago Merlino (leggendario personaggio del ciclo arturiano), sul cui sepolcro si reca Bradamante, condotta dalla maga Melissa.

Una trama complessa. L’intreccio di questi tre temi dà vita a una struttura estremamente complessa, ricca di storie secondarie che si snodano dal ramo principale e godono di una propria compiutezza, quasi come fossero vicende a sé stanti. Raccontare la trama del Furioso è infatti impossibile: il lettore si perde, così come i personaggi, nella struttura labirintica del poema, in ragione di una forza centrifuga che si manifesta dalla prima apparizione di Angelica. Molte azioni si svolgono simultaneamente su di una mappa geografica estesa ben al di là del mondo fino allora conosciuto (basti pensare che Astolfo a cavallo dell’Ippogrifo giunge al paradiso terrestre, parla con san Giovanni Evangelista, si reca sulla Luna…), pertanto non è possibile individuare una linea narrativa principale: siamo piuttosto di fronte a una trama senza centro, che cresce su se stessa e si dipana all’infinito, dando addirittura la sensazione di potersi svolgere senza una fine. Più che un finale, infatti ci sono molti sotto-finali (la battaglia dei tre più valorosi paladini contro i tre guerrieri saraceni, la morte di Brandimarte, il discorso in suo onore di Orlando, il matrimonio di Ruggiero e Bradamante, la battaglia finale di Ruggiero contro Rodomonte) che potrebbero preludere ad ulteriori azioni. Ariosto riesce con un gioco d’equilibrio a tenere insieme le varie sotto-trame, a variare lo stile a seconda dei temi, interrompendo e riprendendo ciascuna storia, a riannodare i fili mediante opportuni rimandi stilistici e tematici: è questa la tecnica dell’entrelacement, che garantisce al poema un sublime equilibrio compositivo a dispetto della grande varietà alla trama, e solletica la curiosità del lettore, assicurandogli il divertimento.

Il desiderio inappagabile. Se da un lato la grande attenzione dei cavalieri alle proprie faccende private e ai propri desideri tradisce un primato dell’immanenza rispetto ai valori religiosi e ai codici cavallereschi del passato – nel pieno rispetto del clima rinascimentale entro cui l’opera è inserita –, dall’altro la grande varietà dei fatti raccontati, la dilatazione della trama all’infinito, la sensazione di una mancata conclusione sottendono un senso di precarietà e di crisi di quello stesso mondo di cui Ariosto è interprete. Nel poema ariostesco nessuno dei personaggi può dirsi pienamente realizzato: ogni sua azione è dettata da un desiderio immanente (prevalentemente di natura erotica) o da uno slancio di libertà. Non è un caso che tutto parta con la fuga di Angelica, oggetto del desiderio dei cavalieri. Angelica è la personificazione dell’eros, il cui soddisfacimento è destinato a rimanere frustrato. Tutti i paladini sono mossi dalla sua fuga, tutti vanno alla sua ricerca esponendosi al pericolo in foreste o in palazzi fatati da cui è quasi impossibile uscire. Al soddisfacimento del desiderio è legata la felicità, che resta così irraggiungibile, come testimonia il Castello di Atlante, una prigione in cui i cavalieri inseguono non a caso il fantasma del proprio desiderio, senza potersene liberare e uscire dalle sue ingannevoli mura.

Fortuna, follia e magia. Questo rincorrersi per terre, mari, cieli è uno sforzo vano. Il più delle volte è il caso, la fortuna a indirizzare le sorti dei protagonisti: Orlando si imbatte per caso nel bosco dove scorge i segni inequivocabili dell’amore scoccato tra Medoro e Angelica, e impazzisce. L’equilibrio mirabile dello stile ariostesco fa quindi da contraltare al folle svolgersi delle vicende, alle azioni talvolta illogiche, al mancato equilibrio dei personaggi, che spesso ricorrono a vari espedienti per perseguire i propri fini, non rinunciando all’inganno, all’astuzia, alla violenza. La conseguenza di tutto ciò è la perdita della lucidità se non della ragione, come avviene in Orlando. D’amore si può impazzire, per amore ci si illude e si cade vittima di tranelli (testimone è ancora una volta il Castello di Atlante, ma anche l’isola della maga Alcina). Il racconto della follia di Orlando avviene esattamente a metà poema, segno della sua centralità tematica e della forte valenza metaforica che riveste: la follia è la conseguenza estrema del mancato appagamento, della mancata felicità, ma anche della vana ambizione dell’essere umano, che rincorre desideri impossibili da realizzare. A sua volta la magia, e con essa tutti gli elementi fantastici che popolano il poema, non è un semplice espediente per vivacizzare l’intreccio e intrattenere il pubblico, ma la conferma dell’incapacità dell’uomo di padroneggiare il proprio destino: maghi, cavalli alati, anelli fatati sono altrettanti segni dell’illusione che imprigiona l’animo umano, simbolo quindi di inganno e sopraffazione.

L’ironia ariostesca. In quest’opera più che altrove emerge la saggezza ariostesca che vale anche come ammonimento: se la vita è inafferrabile, se l’amore è un simulacro, se la felicità non è un oggetto da acciuffare e possedere, allora occorre aspirare a una quotidianità serena, al riparo dagli inganni e dalle illusioni. L’atteggiamento distaccato con cui Ariosto guarda ai suoi personaggi è sicuramente un tratto tipico dello scrittore rinascimentale, l’ironia con cui descrive le loro mirabolanti e inverosimili azioni è una forma di investigazione psicologica e sociale, uno strumento per mettere a nudo la vanità dei desideri umani, i limiti stessi dell’uomo nonché le contraddizioni e le ambiguità del mondo cortigiano: le virtù dei cavalieri appartengono a un tempo ormai mitico e non sono più di questo mondo, sembra dirci Ariosto.

Classicità e varietà stilistica. Nell’apparente caos della narrazione lo stile ariostesco si rivela la quintessenza della classicità: cristallino e armonico, il linguaggio del poema tende a una musicalità naturale, senza forzature; la stessa enunciazione dei fatti avviene in modo distaccato e oggettivo, accentuando l’impressione di equilibrio e compostezza. La straordinaria abilità dell’autore è ancora più evidente nel sapiente dosaggio di toni differenti, a seconda delle azioni e delle vicende di cui sono protagonisti gli eroi della narrazione: il fiabesco e il meraviglioso si alternano al realistico e all’epico, il tragico e il comico coesistono, così come il lirico e il grottesco. L’armonizzazione degli opposti è quindi l’esito più sorprendente del poema e senza dubbio il capolavoro stilistico di Ariosto.

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