ROSSO MALPELO di Giovanni Verga

Rosso malpeloTitolo: Rosso Malpelo
AutoreGiovanni Verga

In breve:
Malpelo si chiamava così perchè aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perchè era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicchè tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.
Del resto, ella lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo c’era anche a temere che ne sottraesse un paio, di quei soldi; nel dubbio, per non sbagliare, la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.

Introduzione:
La novella Rosso Malpelo, scritta da Giovanni Verga, comparve per la prima volta sul “Fanfulla” nel 1878 e venne in seguito pubblicata insieme ad altre novelle nel 1880 nella raccolta “Vita dei campi.”
In Rosso Malpelo vengono descritte la povertà e lo sfruttamento delle classi disagiate siciliane alla fine del XIX secolo, che Verga conosceva molto bene e che emersero anche dalle inchieste dell’appena nato Regno d’Italia, attraverso il ritratto di un adolescente condannato, dai pregiudizi popolari e dalla violenza della gente, all’emarginazione, ad un duro lavoro nelle cave di rena siciliane e ad una tragica fine, simile a quella del padre.

Nonostante il principio dell’impersonalità, che caratterizza gli scrittori veristi e quindi anche Verga, lo scrittore lascia trasparire la pietà che prova per il protagonista: un “vinto” che non ha alcuna possibilità di sottrarsi al suo destino.
L’analisi svolta dallo scrittore su Malpelo mostra come i ragazzi reagiscono al male che viene fatto loro, facendo a loro volta del male e cercando di reprimere ogni sentimento di compassione con il solo scopo di sopravvivere. Emblematici sono da questo punto di vista i comportamenti rudi del protagonista nei confronti dell’amico Ranocchio e dell’asino.
Per rendere più realistico il racconto, Giovanni Verga decide inoltre di fare largo uso di parole dialettali e di modi di dire e di pensare popolari. Ad esempio, nel descrivere Malpelo, caratterizzato già dal nome come personaggio negativo, Verga lo paragona ad una bestia, assecondando così le credenze popolari secondo le quali i capelli rossi erano immagine del male.
Dall’altro lato, il linguaggio realistico e le descrizioni neutre e oggettive dei maltrattamenti che il protagonista subisce, hanno lo scopo di causare un profondo disagio nel lettore, forzandolo ad una profonda riflessione sulle pessime condizioni di vita del povero ragazzino.

La novella di “Malpelo” è uno dei primi esempi dello stile dell'”impersonalità”, dove non vi è un narratore onnisciente che da un punto di vista distaccato mette in scena i personaggi, li presenta, li giudica o li compatisce. L’imparzialità in questa novella è raggiunta da Verga attraverso la tecnica dello “straniamento”, mostrando cioè come strano qualcosa di diverso, o viceversa, e prendendo un punto di vista diverso dal consueto. Verga ottiene questo effetto facendo coincidere il suo punto di vista con l’opinione comune del villaggio di Malpelo, e lo si capisce subito dall’incipit:
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone. Sicché tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi dimenticato il suo nome di battesimo.
Verga narratore utilizza delle relazioni causa effetto che non possono che stonare all’orecchio del lettore, il quale percepisce che la vera opinione del Verga autore è in realtà ben diversa.

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Riassunto:
Malpelo lavora in una cava dove si estrae la rena insieme al padre, Mastro Misciu, al quale è stato dato il soprannome di “la bestia”. I due sono molto legati: Misciu è infatti l’unico ad avergli mai dato affetto, e Malpelo prende quindi sempre le difese del pover’uomo ogni volta che gli altri operai lo deridono.

Un giorno il padre deve terminare un lavoro preso a cottimo, deve in particolare eliminare un pilastro dalla cava. Il lavoro è molto pericoloso e si dice che soltanto un uomo testardo come lui avrebbe potuto accettare di eseguire un lavoro di quel genere. La sera tardi, mentre Malpelo gli sta dando una mano, il pilastro cade all’improvviso addosso al padre schiacciandolo. Rosso Malpelo, preso dalla disperazione, inizia ad urlare ed a scavare tra le macerie con le unghie fino a farle sanguinare.
Quando Zio Mommu, detto “lo sciancato”, viene a sapere della disgrazia, è ormai troppo tardi; sono già passate quattro ore dal crollo e Mastro Misciu è già di sicuro morto, anche se il cadavere non viene subito ritrovato. Nessuno dei presenti fa caso al figlio di Misciu, Malpelo, che, tenendo viva la speranza, scava inutilmente nella rena fino a lacerarsi le unghie nello sforzo di salvarlo.

Dopo la morte del padre, Malpelo, diventantato ancora più cattivo agli occhi di chi lo osserva, riprende a lavorare alla cava nella stessa galleria in cui era morto il padre. Qualche tempo dopo viene a lavorare alla cava anche un ragazzino piccolo e debole, che prima faceva il muratore ma era stato poi costretto ad abbandonare il mestiere in seguito ad una caduta da un ponteggio, in cui si era lussato il femore. Il ragazzo, soprannominato Ranocchio per il modo in cui cammina, diventa subito oggetto di sfogo di Malpelo. Il protagonista tormenta il ragazzino: lo picchia, lo insulta, e se Ranocchio non si difende, continua a percuoterlo, perché vuole che impari a reagire.
In realtà il motivo di tale apparente cattiveria è l’affetto che Malpelo prova nei confronti di Ranocchio e la volontà di insegnargli la dura lezione della vita. Malpelo infatti spesso dà al ragazzo la sua razione di cibo pur di non farlo morire di fame, altre volte lo aiuta nei lavori più pesanti.

Dopo qualche tempo viene ritrovato il corpo di Mastro Misciu. Per lo shock Malpelo si allontana per qualche giorno dalla cava e quando torna decide di andare a lavorare in un’altra galleria. Tutto ciò che gli rimane del padre sono i suoi pantaloni, che la madre sistema per adattarli all’altezza del figlio, il piccone e un paio di scarpe, che Malpelo custodisce come tesori.

Quando un asino grigio muore per la fatica ed il carrettiere lo getta in un fosso, Malpelo trascina Ranocchio con sé a vedere i cani che lo divorano. Secondo Malpelo la morte è la liberazione di tutto ed anzi per i deboli sarebbe meglio non essere mai nati. Ranocchio invece gli spiega dell’esesistenza del Paradiso, il posto dove i vivi che sono stati brave persone in vita vanno a riposare in eterno da morti. Non molto tempo più tardi Ranocchio, che già da un pò di tempo si stava deperendo, si ammala di tubercolosi e muore in breve tempo.

Malpelo adesso è effettivamente solo, dato che la madre ha trovato un nuovo compagno, la sorella ha un marito e nessuno lo vuole quindi più in casa.
Alla fine del romanzo Malpelo segue il destino del padre e muore anch’esso nella cava. Gli era stato infatti affidato il compito di verificare un tratto ancora inesplorato di una galleria. Nessuno voleva prendersi un simile compito, Malpelo accetta invece subito dato che non ha nessuno che possa rimpiangerlo. Non farà più ritorno.
Prese gli arnesi di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, e il fiasco di vino, e se ne andò: né più si seppe nulla. Così si persero persin le ossa di Malpelo, e i ragazzi della cava abbassano la voce quando parlano di lui nel sotterraneo, ché hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi.