Riassunto capitolo 13 del romanzo I Promessi Sposi

La folla inferocita si dirige verso il palazzo del vicario, che avvertito troppo tardi del pericolo, della tempesta che sta per abbattersi su di lui, non può fare altro che barricarsi in casa e nascondersi in uno cantuccio. Renzo questa volta si caccia deliberatamente nella mischia, con l’intenzione di fare tutto il possibile per salvare l’uomo. Sono molti infatti a volerlo morto, ma ci sono anche quelli che come lui, spinti dall’orrore per il possibile omicidio, sono decisi ad opporsi a tale crudeltà.
Si cerca di scardinare la porta o di aprire un varco nelle mura in qualunque modo e con qualunque mezzo.
Arrivano i soldati spagnoli inviati dai magistrati, ma la folla che si è radunata è oramai troppo numerosa e l’ufficiale al comando non osa intervenire. La loro immobilità viene interpretata come paura e la gente inizia quindi anche a schernirli.
L’intenzione dei più facinorosi di uccidere il vicario è più che evidente. Un uomo anziano mostra spavaldo il martello ed i chiodi con cui è intenzionato ad attaccare il pover uomo ad una battente della porta. Renzo non riesce a trattenere il proprio orrore e rischia per questo il linciaggio. Viene salvato dagli uomini a lui vicini e dalla confusione creata da una lunga scala che si tenta di far arrivare fino al palazzo.
Un movimento iniziato ad una estremità della folla annuncia l’arrivo di Ferrer. I più violenti vorrebbero portare a termine l’impresa, la fama del cancelliere aiuta però i loro oppositori a muovere la folla ad accettare che il vicario venga portato in prigione. La loro intenzione in realtà è solo quella di metterlo in salvo lontano dal tumulto. La fazione violenta è costretta ad abbandonare ogni tentativo di scardinare la porta del palazzo; la fazione buona diviene ora quella attiva, operando per far avanzare la carrozza di Ferrer. Tra i più attivi c’è Renzo, che ha saputo essere quel Ferrer lo stesso citato nella grida che tratta il caso suo.
Durante tutto il viaggio attraverso quel mare di folla, breve per distanza ma lungo per durata, il cancelliere comunica a gesti e parole con le persone che lo circondano. Abbonzanza, pane, prigione e castigo sono le parole che usa maggiormente, consapevole che sono quelle che il popolo si aspetta si sentire. Alterna a queste anche espressioni spagnole, non comprese dalla folla, che esprimono le sue vere intenzioni: sarà gastigato… si es culpable.
Giunto finalmente alla porta del palazzo, il cancelliere entra nell’abitazione e porta poi fuori in salvo il pover uomo, facendolo infine salire ed acquattare nella carrozza. La fazione buona è nel frattempo riuscita a mantenere una corsia libera nella folla e il viaggio di ritorno avviene più facilmente. Anche in questa occasione Ferrer mantiene un dialogo con la folla, utilizzando questa volta le espressioni in spagnolo per spiegare il senso vero delle sue parole al vicario.
Giunti all’estremità della folla e quindi oramai in salvo, il cancelliere ringrazia ironicamente l’ufficiale dell’esercito per l’aiuto dato. Il guidatore della carrozza lancia i cavalli al galoppo, senza più curarsi di doversi mostrare benevolo verso le persone a piedi. Ferrer inzia poi a preoccuparsi per le possibili reazioni dei suoi superiori ed il vicario, infine, si dimette dalla carica e si dichiara intenzionato a vivere il resto della vita da eremita.

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