VERRA’ LA MORTE E AVRA’ I TUOI OCCHI di Cesare Pavese | Testo, parafrasi e commento

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi –
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Parafrasi:
La morte verrà e avrà i tuoi occhi (quelli della persona amata)-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, senza farci dormire,
sorda, come un pensiero ossessivo
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
non comunicheranno più niente,
ma saranno come un grido soffocato, un silenzio.
Così vedi i tuoi occhi ogni mattina
quando ti pieghi su te sola
davanti allo specchio. O cara speranza,
nel giorno della morte anche noi sapremo
che sei la sola ragione di vita e nello stesso tempo sei la sua negazione.

La morte ha uno sguardo per tutti.
La morte verrà e avrà i tuoi occhi.
E quando verrà sarà come liberarsi di un pensiero ossessivo,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare labbra chiuse [incapaci di parlare].
Scenderemo nell’abisso senza essere in grado di comunicare.

Analisi:
La raccolta postuma. Scritta da Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi è la poesia che dà il titolo a un gruppo di poesie postume, pubblicate nel 1951 e che comprende un nucleo degli anni 1945-46, intitolato La terra e la morte (precedentemente pubblicate in rivista), e il nucleo che reca il titolo complessivo della raccolta, scritto tra marzo e aprile del 1950 in seguito all’ultimo amore vissuto amaramente dal poeta, quello per l’attrice Constance (Connie) Dowling.

La forma e lo stile. Contrariamente a quanto sperimentato da Pavese nella sua prima raccolta poetica, Lavorare stanca (1936), caratterizzata da un verso lungo e narrativo, che ricalca quello di alcuni poeti americani tradotti da Pavese (in primis Walt Whitman), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi segna un ritorno alla tradizione italiana, fondata sull’urgenza di esprimere liricamente il mondo interiore del poeta. Infatti nella lirica e in tutta la raccolta Pavese adotta versi e misure brevi. Ciò non significa che Pavese cede alle istanze ermetiche: non c’è oscurità nella sua ultima fase poetica, non c’è allusività, ma chiarezza e una certa perentorietà del dettato, benché sia caratterizzata da una fitta trama di metafore e simboli. A tratti si registrano rimandi diretti e indiretti a motivi leopardiani, come la “vita” e il “nulla” che compaiono nello stesso verso, così come accade nella celebre lirica A se stesso del poeta di Recanati. All’insegna del Leopardi del ciclo di Aspasia sono anche la perentorietà e l’asciuttezza dei versi, la desolazione e la rassegnazione amara a una vita che conduce verso «un grido taciuto, un silenzio», quindi lontana persino dalla possibilità di aprirsi all’espressione, alla parola. La lirica è di 19 versi, suddivisi in due strofe di novenari, che presentano uno scarso ricorso alle rime, a eccezione della rima identica “occhi”, che ricorre ai versi 1, 5 e 14 (quest’ultimo riprende esattamente l’incipit della poesia).

I temi. La poesia nasce da un amore conclusosi amaramente, quello per Constance Dowling che abbandonerà Pavese, dopo una breve relazione, pertanto la lirica è segnata dal senso dello scacco e del fallimento, dal destino inevitabile e dalla sconsolata desolazione. La triplice occorrenza della parola “occhi” introduce il tema principale della poesia, tipico delle tradizioni petrarchesca e stilnovista, ma in questo caso Pavese capovolge l’assunto tipico di quella poesia, che vuole gli occhi e lo sguardo dell’amata come forieri di un nascente amore e di una sorta di incantesimo al quale cede il poeta. Gli occhi dell’amata sono quelli della morte, quelli di un «viso morto» e di «un labbro chiuso». Da qui il secondo motivo della lirica: la morte, tipico dell’ultimo Pavese e innestato sul recupero del mito e dell’archetipo, non solo in chiave antropologica, ma simbolico-esistenziale, richiamando in prima persona il poeta che manifesta la sua delusione nei confronti della vita, rivelatasi leopardianamente “nulla”. La vita, l’amore e la morte: questi tre motivi che fondano l’esistenza di ogni essere umano (motivo che sembra riassunto nei primi due versi della seconda strofa, in cui si sottolinea che la morte ha lo sguardo della persona amata per ognuno: «Per tutti la morte ha uno sguardo. / Verrà la morte e avrà i tuoi occhi») sono per Pavese “archetipi ancestrali”, come riportato in una pagina del suo diario, Il mestiere di vivere, e sono strettamente legati tra loro: sulle prime due incombe la morte, che vanifica ogni speranza, in un’eco ancora una volta leopardiana.