Letteratura italiana del 900: dal secondo dopoguerra al XXI secolo

I GRANDI AUTORI DEL NOVECENTO ITALIANO:
Calvino Italo
Montale Eugenio
Pavese Cesare
Pirandello Luigi
Saba Umberto
Svevo Italo
Ungaretti Giuseppe


L’inizio secoloTra le guerreDal secondo dopoguerra al XXI secolo

Il ruolo degli intellettuali. All’indomani della Seconda guerra mondiale, l’Italia è un paese lacerato che deve fare i conti con il recente passato. Gli intellettuali nel clima fiducioso e ottimistico dell’immediato dopoguerra rivendicano un ruolo di primo piano nella costruzione della nuova società democratica dalle macerie del fascismo. La difesa della propria indipendenza dai condizionamenti politici porta spesso scrittori e intellettuali a confrontarsi in un serrato dibattito con esponenti di spicco dei partiti politici: è celebre lo scontro tra Elio Vittorini e Palmiro Togliatti, segretario del PCI da cui Vittorini prese via via le distanze. L’impegno e la testimonianza diventano quindi parole d’ordine e rimarcano il ruolo attivo di intellettuali e scrittori in quell’epoca. All’ottimismo iniziale fa seguito tuttavia il timore della minaccia atomica e alla fiducia nella costruzione di un paese civile e democratico segue l’amara constatazione che il potere e la politica sono svincolati dall’opinione e dai buoni propositi degli intellettuali, che di conseguenza si ergono a coscienza critica del paese e manifestano il proprio dissenso nei confronti della speculazione imperante negli anni della ricostruzione.

Il Neorealismo e la letteratura dell’impegno. La letteratura si fa a sua volta carico dei problemi del paese, diventa testimonianza della Resistenza e delle fasi decisive della guerra, della difficile ricostruzione post-bellica e dell’epopea degli ultimi e dei diseredati. Nasce da questa vocazione alla denuncia e alla testimonianza tutto il filone del Neorealismo che coinvolge scrittori come Cesare Pavese, Beppe Fenoglio (1922-1963), Primo Levi (1919-1987), Carlo Levi (1902-1975), Elio Vittorini…
Gli anni Cinquanta e Sessanta, quelli del boom economico sono a loro volta contraddistinti dalla letteratura dell’impegno, che si cala talvolta nelle trame più oscure delle vicende politiche, degli scandali che coinvolgono il paese, come si evince dalla produzione di Pier Paolo Pasolini (1922-1975) e di Leonardo Sciascia (1921-1989).

Il “romanzo di fabbrica”. Negli anni Sessanta la centralità dell’industria e i problemi sociali del paese attraggono anche uno scrittore come Italo Calvino, che dedica alcuni romanzi ai cambiamenti in atto nella nuova società industriale e all’alienazione dell’uomo dinanzi a un mondo in trasformazione.
Il ruolo dell’industria e della fabbrica nell’era moderna è indagata da Paolo Volponi (1924-1994), mentre le conseguenze del boom economico e il contraddittorio rapporto tra l’uomo e il potere costituito, e tra l’uomo e il lavoro sono in evidenza nel romanzo a matrice autobiografica e ad alto tasso di ribellismo anarchico La vita agra, capolavoro di Luciano Bianciardi (1922-1971).

L’impegno in poesia. Anche la poesia non può sottrarsi a un rapporto con la storia e con la realtà, come testimonia il capolavoro di Eugenio Montale La bufera e altro È a partire da quegli stessi anni che la poesia vive la sua stagione più florida, manifestandosi in svariate forme e temi. Il gruppo di “Officina”, formatosi intorno a Francesco Leonetti (1924) e Roberto Roversi (1923-2012), non fa mistero delle implicazioni ideologiche e dell’atteggiamento militante: non a caso Pasolini è un assiduo collaboratore della rivista, al punto da tracciarne in un saggio apparso tra le sue pagine (La libertà stilistica) l’indirizzo poetico, ovvero una poesia che si abbassa al livello della prosa e si confronta con il ragionamento, la denuncia, la discussione. Nel solco della poesia dell’impegno e dalla forte connotazione ideologica va citato anche Franco Fortini (1917-1994), la cui poesia risponde a un imperativo categorico: testimoniare la verità.

La Neoavanguardia. La Neoavanguardia ha giocato un ruolo di primo piano nell’interpretare la nuova stagione del consumismo e della mercificazione, da cui non si sottrae nemmeno l’arte: l’unico modo per testimoniare la fine della letteratura e dell’arte è quello di svuotare di senso la parola, di ridurla a collage, mimando il caos del mondo. Edoardo Sanguineti (1930-2010) e Nanni Balestrini hanno portato alle estreme conseguenze questa indagine sull’inattendibilità del segno linguistico e sul suo rapporto con il reale attraverso poesie dall’impianto straniante e dall’alto tasso di sperimentazione.

L’esigenza della discorsività. Dall’altro lato si avverte l’esigenza di una forma più chiara e prossima al parlato, sulla strada tracciata da Umberto Saba, ancora operante negli anni Cinquanta: è quella linea antinovecentista che si esprime nelle liriche limpide e cesellate di Sandro Penna (1906-1977), nella forma poematica di Attilio Bertolucci (1911-2000), nell’andamento dialogico e aderente al reale, non privo di impegno critico ed esigenza di moralità, di Vittorio Sereni (1913-1983), nell’autobiografismo di Giovanni Giudici (1924-2011) e nella facilità della rima e nelle forme epigrammatiche di Giorgio Caproni (1912-1990).

Zanzotto, Rosselli, Luzi. Un percorso isolato è quello di Andrea Zanzotto (1921-2011), uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, che prende le mosse da un ermetismo di maniera per indagare in seguito, attraverso una poesia altamente sperimentale, sul difficile rapporto tra il soggetto e il mondo, rapporto reso ancora più fragile dalla crisi del linguaggio che si scopre svuotato di ogni significato; ciononostante Zanzotto non cede alla tentazione del non-sense praticato dalla coeva Neoavanguardia, ma tenta di riconnettere strenuamente un filo che tenga uniti soggetto, realtà esterna e linguaggio attraverso una rigenerazione del segno linguistico per via “fonica”, in stretta connessione con l’inconscio. Le sue raccolte più importanti sono IX Ecloghe (1962), La Beltà (1968) e Il Galateo in bosco (1978).
Una ricerca per certi versi simile a quella di Zanzotto è condotta da Amelia Rosselli (1930-1996), che mette in poesia le lacerazioni dell’io, attraverso una forma strofa e metrica che rievoca talvolta una partitura musicale.
Anche Mario Luzi, dopo il periodo ermetico, intraprende una strada personale, associando all’ansia metafisica un confronto diretto con la realtà contemporanea e la società del benessere: abbandonato l’astrattismo iniziale, i suoi versi diventano più discorsivi, sebbene di una discorsività franta, l’unica in grado di denunciare l’aridità del mondo e il venir meno delle certezze.