Giuseppe Ungaretti

Poesie da Allegria:Poesie da Il porto sepolto:
– MATTINA
– NATALE
– GIROVAGO
– SOLDATI
– I FIUMI
– IL PORTO SEPOLTO
– IN MEMORIA
– SAN MARTINO DEL CARSO
– SONO UNA CREATURA
– VEGLIA

Giuseppe Ungaretti

Una figura emblematica della nuova poesia del Novecento. Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto 1888 – Milano 1970) ha incarnato a lungo nell’immaginario degli italiani del secondo dopoguerra la figura del “poeta” per eccellenza, per le sue apparizioni televisive, per la voce solenne con cui leggeva i suoi versi, la folta barba bianca, ma soprattutto in virtù del ruolo fondamentale che ha ricoperto nel rinnovamento della lirica italiana nel XX secolo. Di fatto con la sua raccolta d’esordio, Il porto sepolto, Ungaretti ha superato di slancio la vecchia concezione lirica ottocentesca e si è posto come figura di riferimento nel canone poetico dei primi decenni del Novecento. Se da un lato D’Annunzio rappresentava ancora l’emblema del poeta vate e dell’eloquenza e, dall’altro, il futurismo ebbe il merito di svecchiare la lirica, Ungaretti riuscì a liberare la parola da ogni ornamento retorico, sfruttando al massimo la brevità del verso e l’essenzialità del dettato poetico: la parola nella sue poesie è calata nello spazio bianco della pagina e avvolta in un silenzio carico di significato; in questo modo ritrova una densità espressiva ed evocativa del tutto nuova nella lirica del tempo. Al contempo, la frammentarietà delle sue poesie, il misterioso ed inafferrabile senso dell’esistenza che emerge dai suoi componimenti danno voce alla precarietà dell’uomo nel nuovo secolo, alla fragilità della vita e al suo continuo dialogo con la morte di fronte alla barbarie della guerra e alle incertezze della modernità.

Ungaretti “nomade” e “girovago”. In alcune celebri poesie dell’Allegria, Ungaretti si cela dietro le figure del “nomade” (in Dolina notturna), del “girovago” (nella poesia omonima), del naufrago “lupo di mare” (Allegria di naufragi), che sono altrettante metafore della condizione esistenziale di chi è in perenne ricerca e costantemente in bilico nella vita. Tuttavia queste figure rispecchiano anche il vissuto personale di Ungaretti – la vita del poeta è stata caratterizzata da continui spostamenti di città in città e di paese in paese –, e denotano una condizione di inappartenenza che si esprime pienamente nelle sue liriche, così come è espressa l’urgenza di approdare in una «terra promessa» e in un «paese innocente» dove «Godere un solo / minuto di vita / iniziale» (Girovago). Non è un fattore di poco conto la nascita di Ungaretti fuori dei confini nazionali, ad Alessandria d’Egitto, evocata in diverse liriche tramite le figure del nomade e del beduino sullo sfondo di un paesaggio desertico. In Egitto Ungaretti studiò in una scuola svizzera, lontano dalla tradizione letteraria che caratterizzava l’Italia del tempo e che avrebbe costretto altri poeti a fare i conti con il dannunzianesimo o l’accademismo di Carducci. Ungaretti, al riparo dalle influenze della madrepatria, trovò ben presto i suoi modelli, che non avrebbe mai abbandonato: Leopardi, Baudelaire e Mallarmé, oscillando tra la ricerca della musicalità e la suggestione per il simbolismo. Fondamentale per la sua maturazione letteraria è stata in seguito Parigi, dove ha vissuto dal 1912 al 1914, frequentando le lezioni di Bergson e stringendo amicizia con poeti e scrittori, tra cui Apollinaire. Qui maturò la sua poetica della memoria e del sentimento del tempo, che emergerà in parte nel Porto sepolto e pienamente nella raccolta Sentimento del tempo. Decisiva per la poetica ungarettiana e per il suo primo importante nucleo di versi, Il porto sepolto, fu tuttavia l’esperienza al fronte sul Carso, nella Prima guerra mondiale.

La ricerca dell’origine. L’asse portante di tutta la lirica di Ungaretti è il tema della ricerca di un luogo felice, formulata tramite l’allegoria del viaggio verso la patria, che è nello stesso tempo luogo geografico e ideale: il poeta parte dalla condizione di esiliato alla ricerca di un’innocenza originaria, dal deserto alla Terra promessa (che è anche il titolo di una delle ultime raccolte poetiche). La terra promessa non è semplicemente un luogo geografico e storicamente determinato, ma una metafora di più ampia portata. In essa si può scorgere sì l’Italia (dove il poeta approderà per la prima volta nel 1912), ma è soprattutto un luogo utopico e metafisico: Ungaretti evoca la terra promessa attraverso il viaggio di Enea verso l’Italia, ma la meta dell’eroe troiano è per il poeta qualcosa che trascende la realtà degli uomini: è il «minuto di vita / iniziale», un paradiso perduto da recuperare, un’origine – non solo biologica – che si colloca prima del tempo e ha a che fare contemporaneamente con l’ispirazione poetica e con un’esperienza ai limiti del divino. In questa ricerca ha un ruolo fondamentale l’esercizio della memoria (uno dei temi più importanti della poesia di Ungaretti, che parla nella fattispecie di “reminiscenze” di un’origine), una memoria non legata semplicemente a una stagione passata della propria vita, ma rivolta anch’essa verso un “prima”, non meglio individuabile in termini storici e temporali. E memoria è anche quanto hanno tramandato i poeti precedenti, che hanno cercato di tradurre in versi l’eternità. Non a caso lo strumento privilegiato per condurre questa ricerca è la poesia. Quindi il poeta è investito di una nuova missione: deve attraversare il dolore della storia e del tempo, farsi carico delle tragedie dell’uomo contemporaneo per cercare il senso dell’esistenza. In questo modo la poesia è un’esperienza interiore, un “naufragio” che il poeta compie negli abissi del proprio animo per portare alla luce «quel nulla / d’inesauribile segreto», cioè quel mistero di una condizione prossima all’inesprimibile che è il paradiso (in un articolo del 1922 Ungaretti scriveva che il «mistero è il soffio che circola in noi e ci anima» e altrove che «misterioso è l’aggettivo che s’addice meglio al vocabolo poesia»). Come accadeva con il Dante paradisiaco, secondo il quale la condizione divina non è dicibile per un essere umano, allo stesso modo per Ungaretti la condizione di purezza originaria è un’esperienza al limite dell’umano che il poeta è in grado di dire solo per frammenti e folgorazioni.

Una poesia di “versicoli”. La poesia di Ungaretti è il frutto di un lungo lavoro di prosciugamento del verso e procede per illuminazioni improvvise ed espressioni laconiche. Del resto, se il poeta deve tirare fuori dal silenzio una parola che evochi l’“inesauribile segreto”, non può che affidarsi a una poesia fatta di versi brevissimi, talvolta coincidenti con una sola parola o una sola sillaba, che isolata negli spazi bianchi sappia evocare l’eco di quell’origine perduta. Come ha scritto Carlo Ossola, ogni singola parola che compone le liriche ungarettiane è in grado di «vibrare nel vuoto metrico […] come fosse pronunciata per la prima volta» e risuona come una formula incantatoria. Non a caso Ungaretti nel leggere le sue stesse poesie tendeva a scandire ogni sillaba, come a volerle caricare di un potere evocativo che conferisse loro un senso nuovo e originario allo stesso tempo. Talvolta questa tensione verso l’essenziale e l’estrema brevità dei componimenti comporta una certa oscurità in taluni passaggi, più evidente nella raccolta Sentimento del tempo: in parte l’oscurità è un’eredità della poesia simbolista, apprezzata da Ungaretti, che faceva leva sull’analogia e sulla relazione segreta tra le parole.