Parafrasi canto 21 (XXI) del Purgatorio di Dante

Parafrasi del Canto XXI del Purgatorio – Dante e Virgilio incontrano il poeta Stazio che spiega loro il motivo del recente terremoto e del canto che lo accompagnava: una anima, lui stesso in particolare, si è purificata e può salire in Paradiso.

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La sete naturale di conoscenza, che non si sazia mai
se non bevendo l’acqua della verità divina, quella che
la donna samaritana chiese a Gesù,

in quel momento mi tormentava, e nello stesso tempo ero
stimolato dalla fretta di seguire la mia guida lungo quella
strada ostruita dalle anime, con le quali condividevo la sofferenza per il loro giusto tormento.

Ed ecco che, proprio come nel vangelo Luca è scritto
che Cristo apparve a due discepoli che erano in cammino,
dopo essere risorto dal suo sepolcro,

ci apparve all’ora un’ombra, che avanzava dietro a noi, mentre
facevamo attenzione a non calpestare la folla di anime distese
sulla via; ma non ci accorgemmo subito di lei, se non quando ci parlò,

dicendoci: “Fratelli miei, possa Dio darvi la pace.”
Ci voltammo subito indietro e Virgilio
le restituì subito un adeguato cenno di saluto.

Comincio poi a dire: “Possa concederti la pace nell’assemblea
dei beati l’infallibile giudizio divino,
che pone invece me in un eterno esilio.”

“Come è possibile?” disse all’ora l’anima, mentre tutti e tre
comminavamo intanto in fretta: “Se voi siete anime indegne
di salire fino a Dio, chi vi ha condotto così in alto sulla scala che conduce a lui?”

Disse il mio maestro: “Se tu osservi i segni che costui porta
sulla fronte, che vengono incisi dall’angelo custode, puoi ben
comprendere che è giusto che lui faccia parte il regno dei buoni.

Ma perché la Parca Lachesi, colei che fila giorno e notte,
non aveva ancora finito di filare tutta la lana della sua vita,
che la Parca Cloto pone ed avvolge sulla rocca,

la sua anima, sorella mia e tua, nel suo salire non
poteva procedere dal sola, senza una guida, non essendo
in grado di percepire la realtà come possiamo noi puri spiriti.

Per questo motivo fui chiamato fuori dal profondo imbuto
infernale per mostrargli la via, e gli farò ancora da guida
fin dove il mio insegnamento potrà condurlo.

Ma dimmi tu ora, se lo sai, perché ha tremato così tanto
poco fa il monte, e perché all’unisono ha innalzato
un grido fin dalla sua parte più bassa, immersa nel mare.”

Virgilio, ponendo questa domanda, colpì così bene nel segno
il mio desiderio inespresso, che già solo con la speranza
di essere soddisfatta la mia sete di sapere divenne meno intensa.

Cominciò a rispondere quell’anima: “Non esiste cosa che
la legge sacra della montagna faccia senza obbedire
all’ordine divino, o che non sia per lei usuale.

Questo luogo è immune da ogni perturbazione atmosferica:
solo da ciò che il Cielo riceve in sé e produce da sé,
non da altro, possono essere originate delle perturbazioni.

Perciò né pioggia, né grandine o neve, né rugiada o brina
può cadere sul monte al di sopra del punto in cui
si trova la piccola scala di ingresso formata da tre soli gradini, ingresso del Purgatorio;

non si vedono nuvole, né voluminose né tenui, non si vedono
fulmini e neanche Iride, l’arcobaleno, figlia di Taumante,
che nel mondo terreno cambia spesso luogo;

il vapore secco non sale in cielo oltre il terzo,
e più alto, dei tre gradini ai quali mi sono riferito,
là dove tiene appoggiati i piedi il vicario di san Pietro, l’Angelo portiere del Purgatorio.

Si verificano forse terremoti più o meno intensi al di sotto dei
tre gradini; ma per il vento secco che resta chiuso nella terra,
non so come, qua su non si verificarono mai dei terremoti.

Qui i terremoti si verificano solo quando un’anima
si sente ormai purificata, così da potersi alzare o muoversi
per salire in Paradiso; ed il canto che hai potuto udire accompagna queste scosse della montagna.

L’unica prova dell’avvenuta purificazione è il desiderio,
che, del tutto libero di cambiare luogo e compagnia,
si impadronisce dell’anima è la rende appagata.

Anche prima l’anima desidera salire, ma non glielo permette la
volontà relativa, che la giustizia divina, contro la volontà
assoluta (che tende a Dio), spinge verso la pena così come in vita la volontà relativa ha spinto l’anima a peccare.

Ed io, che ho subito questa pena stando sdraiato per più
di cinquecento anni, solo poco fa ho sentito la volontà, ora
libera da impedimenti, di raggiungere una dimora più elevata:

per tale motivo hai potuto sentire prima il terremoto e le
anime buone ringraziare da ogni luogo del monte
il Signore, pregandolo di farle salire presto fino a lui.”

Parlò così quell’anima; e poiché si ottiene tanta più
soddisfazione dal bere quanto più si ha sete, non
saprei esprimere a parole quanto mi fu gradito il suo discorso.

Disse allora la mia saggia guida: “Comprendo ora quale sia
l’impedimento che vi trattiene qui e come ve ne liberate,
perché il monte tremi e per che motivo gioite tutte insieme.

Ti piaccia però di rivelarmi ora anche chi sei stato nella vita
terrena, ed il perché per così tanti secoli sei rimasto disteso
qui me lo faccia capire le tue parole.”

“Nel tempo in cui il valoroso Tito, con l’aiuto di Dio,
il supremo re, vendicò le ferite
da cui uscì il sangue venduto per tre danari da Giuda,

con il nome di poeta, che dona la fame più longeva e più
grande,” rispose a Virgilio quello spirito, “ero al mondo
molto famoso, ma non avevo ancora la fede in Cristo.

La mia poesia fu tanto armoniosa
che, nato a Tolosa, fui chiamato a Roma, dove ottenni
il merito di essere incoronato con le foglie di mirto.

Nel mondo terreno sono ancora noto con il nome di Stazio:
cantai la città di Tebe e scrissi poi dell’eroe Achille; ma morii
mentre ero ancora intento a compiere questa seconda opera.

Alimentarono il mio entusiasmo di poeta le scintille,
ed anche mi scaldarono, di quella somma fiamma
da cui furono accesi moltissimi poeti;

sto parlando dell’Eneide, che fu per me come una madre
e come una balia, nel campo della poesia: senza di essa non
avrei fissato con la penna nulla che potesse avere il minimo peso.

E per poter essere vissuto al mondo al tempo
in cui visse Virgilio, sarei disposto ad uscire
dal mio esilio in Purgatorio anche un anno oltre il dovuto.”

Queste ultime parole fecero volgere Virgilio verso di me con
un’espressione tale che, senza bisogno di parole, mi diceva
‘Taci’; ma la volontà non può tutto;

perché il riso ed il pianto seguono così rapidamente
le passioni dalle quali hanno origine, da essere nelle persone
più sincere molto poco assoggettate al controllo della volontà.

Feci infatti un sorriso che fu come un cenno;
perciò l’anima tacque e mi fissò quindi negli occhi,
là dove si concentra maggiormente l’espressione del viso;

e “Possa tu concludere bene la tua grande fatica”,
mi disse Stazio, “ma dimmi, perché il tuo viso
è stato illuminato poco fa da un sorriso?”

Mi trovo questo punto combattuto tra due fuochi:
uno mi ordina di tacere, l’altro mi supplica di parlare;
sospiro nell’indecisione, viene poi compresa la mia condizione

dal mio maestro, che “Non avere paura”,
mi dice, “di parlare; ma parla pura e dagli
la risposta che chiede con tanto interesse.”

Dissi io pertanto: “Se ti sei prima stupito,
oh antico spirito, del fatto che io sorridessi;
voglio adesso che tu abbia un motivo di maggiore meraviglia.

Questa anima che mi guida verso l’alto
è quel Virgilio dal quale tu hai assunto l’abilità poetica
per cantare le vicende degli uomini e degli dei.

Se hai creduto che fosse un altro il motivo del mio sorriso,
lascialo ora perdere in quanto non vero, credi invece al fatto
che la causa furono le parole che hai detto riguardo a lui.”

Stanzio si era già inchinato per abbracciare i piedi
del mio maestro, che però gli disse: “Fratello, non lo fare,
perché sei uno spirito e davanti a te vedi un altro spirito.”

Stazio, rialzandosi in piedi, rispose: “Puoi adesso
comprendere l’intensità dell’amore che provo per te, per il
fatto che mi fa dimenticare la nostra condizione incorporea,

e tratto gli spiriti come fossero corpi solidi.”

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