Dante Alighieri, autore dell’opera Divina Commedia

Il padre della lingua italiana. Dante Alighieri (1265-1321) è senza dubbio l’autore più noto della letteratura italiana. Il suo nome è legato alla stesura della Commedia (successivamente ribattezzata “Divina commedia”), la cui immaginifica concezione è la summa della cultura medievale nonché la drammatica rappresentazione del mondo di allora. Dante è considerato il padre della lingua italiana, il “Sommo poeta”, e la sua Commedia riveste un’importanza decisiva per la cultura letteraria di tutto l’Occidente, introducendo di fatto una nuova epoca.

Una lunga storia di successo. La fama e il prestigio di Dante crebbero fin da subito, mentre lui era ancora in vita, grazie alla circolazione delle prime due cantiche del suo capolavoro. Il suo ruolo fondativo delle letterature occidentali in volgare è comprovato dal continuo dibattito che si è avuto nei secoli intorno alla sua opera e dagli approfonditi studi di eminenti critici italiani e stranieri del secolo scorso, tra cui Gianfranco Contini ed Erich Auerbach. Come scrisse Giambattista Vico nel suo Giudizio sopra Dante (1732), in un’epoca in cui la Commedia godeva di minore prestigio presso i letterati, Dante rappresenta per la letteratura in volgare del Duecento un nuovo Omero, quindi l’emblema di una tradizione letteraria mitica e imprescindibile.

Firenze e l’esilio. Il fulcro della sua formazione come uomo e intellettuale è stata la città di Firenze, che gli ha dato i natali e di cui nel 1300 è stato anche priore (massima carica cittadina). Qui studiò molto probabilmente presso la scuola domenicana di Santa Maria Novella, di tradizione aristotelica e tomistica, e quella francescana di Santa Croce, dove filtravano anche dottrine neoplatoniche tramite la lezione di Bonaventura da Bagnoregio. Fu tuttavia costretto all’esilio dalla sua città dopo che i guelfi neri – oppositori politici di Dante, che sosteneva i guelfi bianchi – presero il potere. Soggiornò in varie corti nel Nord Italia, tra cui quella dei Malaspina in Lunigiana e di Cangrande della Scala a Verona. Il tema dell’esilio emerge a più riprese nella Commedia, al punto da esserne uno dei motivi conduttori.

Non solo poeta. Lo straordinario talento letterario di Dante si è confrontato con generi molto diversi tra loro, trascendendo la mera letteratura per approdare in ambiti contigui come la filosofia, la politica, la linguistica. Per questa ragione la sua figura è paradigmatica di un’intera cultura, il riflesso e, al contempo, il superamento del sapere fino ad allora acquisito.

Dante e la filosofia. Nella formazione filosofica di Dante convergono le dottrine di diversi pensatori medievali, in primo luogo Tommaso d’Aquino e Alberto Magno, il cui pensiero emerge chiaramente nella Commedia. È nel pieno clima medievale, profondamente segnato dal cristianesimo e dalle dottrine tomiste, che matura quindi la riflessione dantesca intorno a Dio e alla religione. In piena continuità con il sapere medievale, la figura di Aristotele risulta decisiva e centrale nella concezione del mondo naturale e in quella cosmologica, come si evince sia nella Vita nova sia nella Commedia: si tratta di una conoscenza indiretta, di un aristotelismo filtrato dalla fede cristiana, come era tipico dell’epoca. Dante tuttavia aveva avuto modo di conoscere il pensiero di Aristotele tramite i commenti dei filosofi arabi Avicenna e Averroè, e non è escluso che di quest’ultimo avesse letto direttamente qualche testo. Un ruolo determinante ha avuto anche Boezio con il suo De consolazione philosophiae, letto da Dante, come egli stesso racconta nel Convivio.

Il rapporto con la politica. Dante è senza dubbio uno degli autori più “politici” della letteratura italiana. Innanzitutto egli ha vissuto in prima persona l’esperienza di governo, rivestendo cariche pubbliche di grande prestigio per la città di Firenze. Non sarebbe una forzatura parlare di “passione” politica, visto che è stato proprio il suo ruolo pubblico, come membro di spicco dei guelfi bianchi, a costargli l’esilio dalla città natale. Il suo pensiero politico è espresso in modo sistematico nel De Monarchia, un trattato in latino, ma è l’intera produzione letteraria di Dante a essere percorsa da temi politici che si intrecciano con quelli biografici. È spesso lo spinoso rapporto tra potere spirituale e potere temporale ad essere centrale nei suoi scritti, nello specifico quello tra il papa e l’imperatore. Basti pensare al sesto canto del Paradiso e alla figura dell’imperatore Giustiniano che vi compare, preso a pretesto da Dante per enunciare la teoria dei “due soli”, già presente nel De Monarchia, e la necessità di un impero universale. La passione politica in Dante si manifesta in tutta la sua forza corrosiva quando affronta la situazione dell’Italia dell’epoca, che agli occhi del poeta appariva come una «nave sanza nocchiero in gran tempesta» (canto VI del Purgatorio), in balia di poteri stranieri e interessi privati.

Il poeta vate. La passione politica non è l’unico fattore a rendere Dante un impegnato poeta civile. I versi di Dante hanno sempre un indirizzo morale, prima che spirituale: sono versi spesso di denuncia, di indignazione e sottendono un senso di giustizia ideale altissimo. Basti pensare al fervore con cui il poeta prende posizione contro le lotte intestine nella sua Firenze e soprattutto contro la corruzione della Chiesa. Per questa ragione i suoi versi aprono a un rinnovamento della società sotto ogni aspetto. Il viaggio oltremondano del Dante della Commedia oltre ad essere una missione spirituale, di redenzione per se stesso e per l’intera umanità, si configura come una missione civilizzatrice, un rinnovamento morale. Per questi motivi Dante può essere considerato un poeta vate.

La difesa del volgare. Il poeta “civile” si manifesta anche nella difesa del volgare. Dante è stato il primo scrittore della nostra letteratura a porre il problema di una lingua comune a tutti gli abitanti della penisola, in un’epoca in cui l’idea di unità nazionale era subordinata a una più grande sfida tra i due poteri universali: l’impero, erede di quello carolingio, e il papato. Dante si espose a favore del volgare come lingua letteraria sia per opere a carattere teorico e filosofico (il Convivio), sia per opere poetiche (la Commedia), in modo che esse fossero comprensibili a un vasto pubblico. Nel De Vulgari Eloquentia viene trattato in modo organico l’argomento, che talvolta si intreccia anche al discorso politico.

Plurilinguismo e poesia “sperimentale”. L’ampia produzione letteraria di Dante spazia dal volgare al latino, dalle rime ai trattati linguistici e filosofici, da un linguaggio “basso” e “grottesco” (si pensi alla tenzone con Forese Donati o ai canti XXI-XXII-XXIII dell’Inferno, quando Dante e Virgilio incontrano i Malebranche, i diavoli della V bolgia) alle vette poetiche del Paradiso, dalla dolcezza delle Rime e dei versi della Vita nova al linguaggio “aspro” delle “rime petrose”. In alcuni casi ci si imbatte perfino nella compresenza di più lingue nella stessa opera o addirittura nella stessa porzione di testo, come nei funambolici versi finali del XXVI canto del Purgatorio dedicati al poeta Arnaut Daniel, che si esprime in occitano. In virtù della versatilità e dell’equilibrismo stilistico, gli studiosi, e in particolare Gianfranco Contini, hanno parlato di plurilinguismo, cioè di uno sperimentalismo linguistico sempre teso alla varietà e alla compresenza di più stili e registri. Anche sul piano metrico Dante dimostra una febbrile ricerca del nuovo e della varietà: basti pensare all’invenzione della terzina e alla ripresa di quel complicatissimo congegno strofico che è la sestina. La varietà stilistica e contenutistica fanno di Dante un poeta “sperimentale”, sempre voglioso di superare i modelli precedenti nonché i suoi modelli, rilanciando la posta in gioco in nuove sfide sempre più ardite. Anche in questa volontà di superarsi Dante dimostra una grande consapevolezza: nel finale della Vita nova egli scrive: «io spero di dicere di lei quello che mai non fue detto d’alcuna», profetizzando o alludendo forse alla successiva composizione della Commedia. Non occorre qui ricordare l’unicità della Commedia, un’opera che rappresenta per concezione, struttura, metrica e argomento un caso unico nella storia letteraria occidentale, quindi di per sé un’opera altamente “sperimentale”.

Un’eredità preziosa. Paradossalmente proprio il plurilinguismo dantesco ha indotto i teorici rinascimentali (in primis Pietro Bembo) a preferirgli la lingua più omogenea e trasparente di Petrarca, facendo di quest’ultimo il punto di riferimento linguistico per quanto riguarda la poesia. Del resto la lingua “inclusiva” di Dante sarebbe stata un modello difficile da imitare. Ciononostante l’influenza sulla successiva letteratura occidentale è stata notevolissima a vari livelli: in Inghilterra Geoffrey Chaucer prese a modello, tra le altre opere, anche la Commedia di Dante per i suoi Racconti di Canterbury e John Milton rielaborò l’immaginifica concezione dantesca nel suo celebre Paradise Lost; in Italia autori come Pascoli e Pasolini hanno ripreso lo schema metrico della terzina, mentre Montale ha intrapreso un cammino poetico all’insegna del pluristilismo e plurilinguismo e ha rievocato la figura della donna-angelo in alcune sillogi poetiche; la grande fortuna novecentesca di Dante è stata inaugurata da due grandi poeti americani, Ezra Pound e T.S. Eliot, che hanno posto la poesia del fiorentino al centro della loro ricerca poetica. Dante è un poeta nell’accezione più nobile e completa, ha affrontato con la sua poesia le più alte questioni morali e spirituali e ha saputo conferire all’uomo piena dignità, tramite ritratti a volte indimenticabili: grazie alla ricchezza e alla complessità della sua opera hanno tratto giovamento le voci più alte della successiva storia letteraria, che hanno saputo raccogliere i frutti del suo altissimo magistero.