Parafrasi canto 14 (XIV) dell’Inferno di Dante

Parafrasi del Canto XIV dell’Inferno – Dante e Virgilio raggiungono il terzo girone de VII Cerchio dove sono puniti i violenti contro Dio: i bestemmiatori, tra i quali Capaneo, distesi sulla sabbia infuocata; i sodomiti, violenti contro la natura, costretti a correre sotto una pioggia di fuoco; e gli usurai, i violenti contro l’arte, seduti sotto la pioggia di fuoco. Procedendo lungo il fiume rosso sangue Flagetonte, Virgilio spiega a Dante l’origine dei fiumi infernali, generati dalle lacrime del Veglio di Creta.

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Sentendomi pervaso dall’amore per la mia patria (Firenze) raccolsi
i ramoscelli sparsi ai piedi del cespuglio e le resi all’anima
fiorentina, rimasta anonima, la cui voce era già diventata debole.

Giungemmo poi al punto di confine dove il secondo girone
si separa dal terzo, e dove è possibile vedere
la spaventosa arte della giustizia divina.

Per meglio spiegare le novità delle cose che vedemmo,
vi dico che arrivammo ad una pianura
che non lascia mettere radici a nessuna pianta.

Il doloroso bosco dei suicidi le fà da cornice tutt’intorno, così
come poi lo stesso è circondato dal fossato dove ribolle il sangue:
ci fermammo in quel punto ad osservare, stretti stretti all’orlo.

Il suolo era fatto da sabbia arida e spessa,
non diversa da quella che fu calpestata dai piedi di Catone Uticense
quando guidò i resti dell’esercito sconfitto.

Oh vendetta di Dio, quanto devi essere temuta
da chiunque legga il racconto di
quello che si mostrò allora ai miei occhi!

Vidi molti gruppi di anime nude
che tutte insieme piangevano in modo assai compassionevole,
e sembrava che ognuna di loro era punita secondo una diversa legge.

Alcune anime erano distese a terra supine, con il viso in alto,
alcune erano invece sedute e tutte rannicchiate in sé stesse,
altre ancora camminavano invece continuamente, senza mai fermarsi.

Le anime che camminavano erano molto più numerose,
quelle invece distese in posizione supina erano meno numerose
ma si lamentavano molto più delle altre per il dolore.

Sopra tutto quel sabbione, con un cadere lento,
piovevano dall’alto larghe strisce di fuoco,
come in montagna, quando non spira il vento, scende dal cielo la neve.

Simili a quelle fiamme che Alessandro,
nelle regioni calde dell’India,
vide cadere compatte fino a terra sul suo esercito;

tanto che chiese ai suoi soldati
di stropicciare subito la terra con i piedi, affinché le fiamme
si estinguessero meglio mentre erano ancora sole, isolate tra loro;

allo stesso modo scendevano le fiamme dell’ardore eterno;
per le quali si accendeva la sabbia, come si accende l’esca quando
viene percossa dall’acciarino, a raddoppiare il dolore dei dannati.

Continuavano ad operare confusamente, senza riposo,
le povere mani delle anime, per cercare di smuovere ora da una parte
ed ora dall’altra le nuove fiamme cadute dall’alto.

Cominciai a dire: “Maestro, tu che sai superare
tutte le difficoltà, ad eccezione dei demoni ostinati
che sono usciti contro di noi all’ingresso della porta di Dite,

chi è quel grande che non sembra curarsi minimamente
dell’incendio che lo avvolge, e giace in modo tanto stizzoso e losco
che non sembra che la pioggia di fiamme possa correggerlo?”

E quella stessa anima (Capaneo), accortasi
che io chiedevo alla mia guida informazione su di lei,
gridò: “Come sono stato da vivo, allo stesso modo sono ora da morto.

Giove faccia pure stancare il suo fabbro Vulcano,
dal quale, tutto adirato, prese il fulmine appuntito
che mi colpì l’ultimo giorno della mia vita, uccidendomi;

e stanchi pure gli aiutanti di Vulcano, i ciclopi,
che gli uni dopo gli altri, nella fumosa fucina dell’Etna,
urlano “O buon Vulcano, aiutami, aiutami!”,

come già fece nella battaglia di Flegra,
e mi colpisca pure con i suoi fulmini con tutta la forza che ha;
potrà vendicarsi di me, ma non potrà gioire per avermi sottomesso.”

La mia guida Virgilio, per zittirlo, rispose allora con tanto impeto
che io prima di allora non l’avevo mai sentito parlare tanto irato:
“Capaneo, quanto tu più ti ostini

nella tua superbia, tanto più severamente verrai punito:
nessun tormento, se non il tuo stesso furore,
sarebbe adeguato alla tua rabbiosa malvagità.”

Detto questo, si rivolse poi a me con più calma
e mi disse: “Costui fu in vita uno dei sette re
che misero sotto assedio Tebe; disprezzò Dio, e sembra disprezzarlo

ancora adesso, e sembra anche tenerlo in poco conto,
ma, come gli ho appena detto, gli stessi insulti che rivolge a Dio
sono la più giusta ferita che può essere inferta al suo petto.

Adesso seguimi, e presta attenzione a non mettere
i piedi sulla sabbia che è ancora infuocata; ma tienili
invece sempre radenti al bosco che circonda il girone.”

Procedendo in silenzio, arrivammo nel punto in cui
si libera dalla selva un piccolo fiumiciattolo,
il cui colore rosso intenso ancora adesso mi fa rabbrividire.

Così come dal Bulicame di Viterbo esce un ruscello
che viene poi spartito tra le donne peccatrici del posto,
allo stesso modo quello proseguiva il suo corso lungo la sabbia.

Il suo fondo ed anche entrambe le sue rive
era tutte fatte di pietra, così come anche i suoi margini laterali;
capii perciò che il nostro percorso sarebbe passato da lì.

“Tra tutte le cose che ti ho mostrato fino a questo momento,
da quando siamo entrati attraverso quella porta, dell’Inferno,
che non nega a nessuno il passaggio,

i tuoi occhi non hanno visto nessuna cosa che abbia meritato
tanta attenzione quanto questo fiume rosso,
che spegne su di sé (con i vapori) tutte le fiamme che vi cascano sopra.”

Queste furono le parole della mia guida Virgilio;
perciò lo pregai di soddisfare quel desiderio
che aveva fatto nascere in me.

“In mezzo al mare si trova un paese decaduto dall’antico splendore”
disse allora lui, “che si chiama Creta, che, nel tempo in cui
il mondo era ancora casto, fu già dominata da un re (Saturno).

C’é là una montagna che fu ricca
di acqua e di vegetazione e che si chiama Ida:
ed ora è invece deserta, abbandonata come una cosa vecchia.

Rea scelse quella montagna come asilo sicuro per il suo
figlioletto Giove, per meglio nasconderlo al padre Saturno,
e quando il piccolo piangeva faceva fare frastuono per coprire il suo pianto.

Nella cavità del monte sta ritto un vecchio gigante (il Veglio di
Creta),che tiene le spalle rivolte verso Damietta d’Egitto
e guarda invece Roma come se fosse il suo specchio.

La sua testa è fatta d’oro puro,
e di argento puro sono fatte le sue braccia ed il suo petto,
è poi di rame fino al punto in cui si divaricano le gambe (il ventre);

dalle gambe in giù è tutto fatto di ferro selezionato,
ad eccezione del piede destro che è di terracotta;
ma si tiene in piedi più su questo che sull’altro, il destro.

Ogni parte del suo corpo, tranne la testa d’oro, è rotta
da una fessura dalla quale gocciolano delle lacrime,
che, raccolte ai piedi, attraversano il fondo della grotta.

Il percorso di quelle lacrime arriva fin qua di roccia in roccia:
e formano il fiume infernale Acheronte, la palude Stige ed il
Flagetonte; ed infine scendono ancora più giù attraverso questo stretto canale

fino ad arrivare al punto più profondo, dove non è possibile scendere
oltre: e là formano lo stagno Cocito; ma come sia fatto questo,
tu lo vedrai; perciò qui, ora, non ti dico nulla a riguardo.”

Ed io gli chiesi allora: “Se questo rigagnolo
nasce, come hai appena detto, nel nostro mondo,
perché lo vediamo solo ora, vicino a questo lato della selva?”

E lui mi rispose: “Tu sai bene che questo abisso è tondo;
ma sebbene tu ne abbia già girato un bel pezzo camminando
quasi sempre verso sinistra, scendendo verso il fondo,

non sei ancora arrivato a compiere un intero giro:
perciò, se improvvisamente ti appare alla vista una novità,
non devi mostrare in volto nessuna meraviglia.”

Ed io chiesi ancora: “Maestro, dove si trovano i fiumi
Flagetonte e Léte? Quest’ultimo non lo hai neanche citato, dell’altro
mi hai invece detto che si forma dalle lacrime che piovono quaggiù.”

“Tutte le tue domande mi piacciono molto”
mi rispose; “però quelle acque bollenti e color rosso sangue
dovevano aver già risolto uno dei tuoi due dubbi (sul Flagetonte).

Vedrai anche il fiume Léte, ma fuori da questo abisso infernale,
lo vedrai là dove vanno a lavarsi le anime del Purgatorio
quando hanno finalmente pagato le colpe di cui si sono pentiti.”

Infine disse “Ma è oramai giunto il momento di allontanarsi
dal bosco; fai in modo di seguirmi, di venirmi dietro: indirizziamo
il cammino lungo gli argini, che non sono bruciati dal fuoco,

perché sopra di loro tutte le fiamme si spengono.”

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